Non è poco, per avanzare bene, avere un vero desiderio di appartenere a Dio: ecco il primo passo e il più importante per incamminarci nella vera perfezione...
Madre Mectilde de Bar
Se sei una giovane in ricerca della tua strada,
se avverti che il Signore ti sta chiamando…
qui puoi leggere di più sul nostro carisma...
Chi siamo noi:
Monache Benedettine Adoratrici
Perpetue del SS. Sacramento
L’Istituto delle Monache Benedettine Adoratrici perpetue del SS. Sacramento è stato fondato, in Parigi, rue de Bac, nel lontano 1653 da Madre Metilde del SS. Sacramento, la lorenese Caterina de Bar. È sorto dal suo acceso desiderio che Gesù, nell’Eucaristia non sia – MAI – neppure un minuto, lasciato senza adoratrici, che avranno per norma fondamentale della propria vita monastica la riparazione degli oltraggi, delle freddezze, delle incurie che rispondono, spesso anche da parte degli stessi cattolici, al Divino Dono, elargito da Gesù nella ineffabile ultima Cena.
L’Istituto s’innesta sulla Regola di san Benedetto da Norcia, il quale, dopo aver dato al mondo un breve codice universale di meravigliosa ricchezza liturgica, di profonda equilibrata disciplina interiore, d’agile adattamento esterno sopra solide linee strutturali, è spirato, in piedi, sorretto dai discepoli, avendo ricevuto appena l’adorato Corpo del Signore.
Madre Metilde de Bar, morendo a 84 anni il 6 aprile 1698, lascia sette monasteri. Di lei rimangono pure scritti austeri ed amabili insieme, di cui ogni linea è pervasa d’un impareggiabile amore alla divina Eucaristia. L’Istituto si diffonde poi in Polonia, Germania, Olanda, Scozia.
In Italia ne viene portato il seme da Madre Maria Teresa Lamar l’8 maggio 1880 accolta a Seregno da Mons. Angelo Ballerini.
Ne riceve poi l’eredità la Serva di Dio Madre Caterina Lavizzari che, da Seregno trapianta nel 1906, l’ancor tenero arbusto, a Ronco di Ghiffa, sulla ridente sponda del Lago Maggiore in diocesi di Novara.
Irrorato da lacrime e fecondato dagli innumerevoli sacrifici della Madre e delle Figlie, il virgulto si sviluppa e si trasforma in frondoso albero, che propagherà i suoi rami dal Verbano sino all’ardente Sicilia, aggregando antichi monasteri benedettini, ricchi di storia, desiderosi di innestarsi sul ramo mectildiano, recuperando vitalità e fervore.
Attualmente l’Istituto in Italia è una Congregazione comprendente una decina di monasteri.
CENTRO E FONTE della nostra vita è il MISTERO DELL’ALTARE.
La spiritualità nostra è: vivere il Cristo realmente presente tra noi nel Mistero dell’Altare nel Suo stato Sacrificale.
La nostra Vocazione è una chiamata ad imitare, mediante la vita contemplativa, l’Offerta che di Sé GESÙ fece al Padre, un giorno sul Calvario, e che rinnova perennemente nel Sacrificio Eucaristico: per la Gloria di Dio e la salvezza delle anime dei fratelli.
Incontriamo Cristo nella Sua Carne e nel Suo Sangue adorandoLo giorno e notte, prolungando così, in un modo personale e consapevole, in nome dei “fratelli”, ciò che nella celebrazione Liturgica – Sacramentale si compie, rendendolo fecondo per noi e per tutto il mondo (ecco l’aspetto del nostro apostolato, nascosto e fecondo di grazie).
Abbiamo inoltre il vantaggio di trovare nella S. Regola di san Benedetto, che professiamo, i mezzi che ci conducono a realizzare questa nostra vocazione che nella Chiesa ci consacra alla Adorazione ed alla Riparazione:
Mezzi che pongono noi, Figlie di S. Benedetto e di Mectilde de Bar, nello stato sicuro di offrire a Dio dei sacrifici continui, e di offrire al tempo stesso alla Chiesa, mediante la nostra offerta in unione al Signore, la nostra opera attiva, pur tanto nascosta, per dilatare, consolidare e irradiare nelle anime il Regno di Cristo, rendendoci così, non estranee ma partecipi alla vita degli uomini, “loro collaboratrici per la realizzazione di quel Regno in tutte le varie esplicitazioni della umana attività” (LG 44, 46).
La vocazione di una
Benedettina del SS. Sacramento
Clicca l'immagine per leggere i 5 punti che definiscono la vocazione di una Bendetttina del SS. Sacramento, prese dalle nostre Costituzioni.
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Certamente ci devono essere delle “spie accese” nel tuo cuore, per orientarti verso una forma di
Vita come questa. La realtà di un Monastero benedettino parla subito di essenzialità, di semplicità, di regolarità.
Oltre alla Regola di San Benedetto, oltre alla vivacità della preghiera liturgica che scandisce le Ore canoniche, e ci raccoglie costantemente in Coro, per noi l’ adorazione eucaristica è al centro:
L’adorazione eucaristica dal 1906 ad oggi nel nostro Monastero è continua. Un vero “miracolo”, un segno dell’Amore di
Dio, che non si sia mai interrotta un istante, nemmeno nei tempi duri delle due guerre mondiali. Perché non solo l’adorazione per noi è come il respiro, ma, ne siamo certe, è proprio qui, ai piedi del tabernacolo, che si “giocano” le vere sorti del mondo!
Per questo sempre, di giorno e di notte, una Sorella rimane ai piedi di Gesù, e adora e intercede per la Vita del mondo, e presenta i fratelli, con le loro gioie e i loro dolori a Gesù Salvatore.
Come ha desiderato la nostra Madre Fondatrice, Mectilde de Bar (1614 – 1698), rimanere ai piedi di Gesù presente e vivo nel Santissimo Sacramento, non significa semplicemente farGli compagnia o consolarLo.
Vuole dire molto di più:
Una missione troppo alta?!
Ma non impossibile, se Dio la vuole, se la Sua grazia la desidera in te, e se tu vuoi essere docile ad assecondarla.
Il nostro adorare incessantemente il Signore nella Santissima Eucaristia significa non solo dare lode e gloria alla Sua grandezza e divina, ma inchinarsi profondamente di fronte all’umiltà di Dio che si nasconde e vela sotto le specie del Pane eucaristico. Significa aprirsi allo stupore per l’umiltà e la povertà di Dio, il Santo dei Santi, il Signore della storia, così annientato nell’Ostia.
Ecco perché adorazione ed umiltà nella vita monastica vanno insieme: perché questa ‘forma’ dell’umiltà è quella di Dio nel Santissimo Sacramento. Questa povertà Dio ha scelto, in Gesù Cristo, per venire a noi e per restare con noi: e noi, noi siamo così “ricchi” di noi stessi, da non poter condividere il tesoro della Sua povertà?! Solo di qui ci viene la VITA:
Questo è il mistero che adoriamo: Dio annientato nell’Ostia divina!
Questa è la Vita che desideriamo: incorporarci a poco a poco a questo mistero dell’Eucaristia, per divenire, in Gesù, ogni giorno più essenziali, più libere da noi stesse, più obbedienti e docili al divino progetto. Passare da una vita “mia”, centrata su di me, sulla mia realizzazione, sui miei progetti, a un’esistenza dove Dio prende tutto di me, nella consegna della mia persona alla comunità. E concorrere, così, al bene dell’umanità e alla salvezza del mondo, in una vita nascosta e gratuita, essenziale e povera, fraterna e libera, e tanto efficace per le anime.
La “colonna”sempre accesa, che, in mezzo al Coro monastico, traduce simbolicamente il nostro rimanere giorno e notte con Cristo, per Cristo e in Cristo,vuole significare la gioia del nostro ardere e donarci in Lui, come una candela, che brucia e si consuma, nella gratuità dell’amore.
In questo nascondimento della clausura, in questa adesione sempre più anelante al Signore umile nell’Ostia, la fecondità spirituale della nostra vita si compie, come Dio sa, in un continuo miracolo di donazione, impossibile e impensabile umanamente, ma tanto prezioso e fecondo nel cuore della storia, e in quello di Dio.
Certamente appare follia, questo.
Ma qui sta la forza della nostra gioia, in una vita totalmente spesa per Lui.
“Ed Egli riceve più gloria da un’anima in cui
Egli vive di questa vita, che da regni interi …”
Madre Mectilde de Bar
In questo desiderio, lungo tutta la vita, di dare gloria al Signore nell’umiltà, ci aiuta la Vergine Maria, che in questo Monastero, come in tutte le Case del nostro Istituto, è l’Abbadessa.
Così ha esplicitamente desiderato, con un vero e proprio voto, la nostra Madre Fondatrice: che Maria Santissima sia la vera Madre ed Abbadessa dei nostri monasteri, e quindi la difesa e protezione dell’Istituto.
Così il legame con la Madre celeste per noi è quotidiano, concreto, vivo. Lei presiede nel Coro monastico, e in ogni luogo della Casa, perché lei ci conduce, e la Madre Priora si lascia da Lei guidare e condurre in ogni scelta, ogni giorno, perché la Comunità sia sempre veramente oltre che di Gesù, di Maria.
Nel lavoro umile e nascosto la monaca si dona con Gesù. Assieme alla preghiera liturgica e all’adorazione, nella nostra vita monastica occupa un posto centrale il lavoro svolto in obbedienza e nella gioia del servirsi e aiutarsi vicendevolmente, da vere Sorelle, per il bene comune.
Si lavora nel silenzio e insieme, da sorelle ci si sostiene, uscendo così dai propri schemi e prospettive individuali, per donarsi alle altre, e, unite, all’altro. In un vivere e lavorare insieme non sempre facile e scontato, ma che è chiamato, nell’amore di Cristo, a trasformarsi ogni giorno di più in carità sincera e in comunione, per il bene di tutte e di ciascuna.
Nella gioia dell’obbedienza
per tanti fratelli e sorelle che, anche senza saperlo,
chiedono aiuto e speranza
Vuoi collaborare alla salvezza del mondo?!
Vieni e vedi!
Se vuoi comprendere meglio
COSA DEVI FARE ….
Prenditi un tempo
per confrontarti,
meditare,
riflettere
e pregare …
Bussa … Ti aspetta Gesù!
Clicca qui per vedere le tappe di discernimento
Le lampade vengono accese dal Tabernacolo
Diventare Benedettina del Santissimo Sacramento significa, oggi come ieri, accogliere l’invito che Gesù ti rivolge dal tabernacolo. È da lì, dal tabernacolo, che parte la nostra chiamata specifica, è proprio lì che noi nasciamo nella Chiesa, come lampade vive, nella luce che si irradia dall’Eucaristia, ed illumina il mondo. Siamo Benedettine, ma dell’Eucaristia, votate alla vita eucaristica, conformata a Cristo nel mistero eucaristico. Questa è la nostra “forma”, il nostro senso, la nostra meta: l’Eucaristia, la forma eucaristica.
Se tu, giovane o meno giovane, che bussi alla porta del monastero, ti stai chiedendo se questa vita fa per te, chiediti subito, senza inganni, cosa significa per te il tabernacolo; senti che questo è il primo ‘campanello’ della chiamata e la prima spia del tuo discernimento:
Le Benedettine del SS. Sacramento sono nate, dice la Madre Fondatrice, Mectilde de Bar, nel momento in cui san Benedetto muore, nell’oratorio, ai piedi dell’altare, quando, nell’offerta estrema della sua vita, vede il nostro Istituto prendere il via proprio lì, nel tabernacolo, come nuovo e fecondo ramo dell’Ordine benedettino.Questa nascita dall’Eucaristia ci chiede, come monache, di entrare in una comunione unica con Gesù Cristo, lasciandoci assorbire, lungo la vita monastica, dalla Sua stessa vita eucaristica. E la vita eucaristica è vita donata, offerta, sacrificata, consumata nell’amore, senza condizioni. Lo vuoi?
Noi siamo chiamate a “condividere con Gesù la Sua qualità di ostia e di vittima… e rendergli tutta la gloria che gli viene sottratta”. Nel rapporto vivo e continuo con l’Eucaristia, la Benedettina del SS. Sacramento si fa:
Nella vita benedettina ci sono due cardini:
L’umiltà
L’obbedienza
La Benedettina del SS. Sacramento vive ed offre questi ‘cardini’ in chiave eucaristica: è chiamata a guardare a Gesù, alla Sua umiltà e obbedienza nell’ Eucaristia, a come Lui si dona a noi nel Pane di vita, e ad offrirsi di qui, con Lui, al Padre, alla comunità, per la vita dei fratelli.
A lasciarsi fare, come Gesù … a lasciarsi attrarre e trasformare dalla vita eucaristica di Gesù, nell’umiltà della sequela monastica, a lasciarsi correggere e trasformare, perché, sempre più riplasmata, come piccola ostia, possa essere anche lei pane fragrante di Lui, per tutti. Sono allora chiare le disposizioni che un’aspirante e una postulante devono avere, per abbracciare gli interessi di Gesù - i Suoi, non i nostri! - in questa vita:
Il cammino monastico non è in salita, ma in discesa, perché è la scuola dell’umile amore di Dio per noi, accolto giorno dopo giorno: cammino dietro Gesù, umile seme che muore, e morendo da’ la vita. Vuoi tu questo?
Pensaci bene, pregaci molto, prima di intraprendere questa strada. Sappi che non sarà facile.
La condizione per comprendere e discernere è che tu possa fermarti, e rimanere molte ore ai piedi del tabernacolo, prima di partire. Lui ti darà la forza.
"Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse..." (Mc 10, 21).
Gesù ti chiama guardandoti, fissando lo sguardo su di te, proprio su di te. Lo sguardo di Gesù ti chiama, ti invita a seguirlo, e nient’altro. Se ti lasci guardare, se ti lasci amare, allora, trovi la grazia e la forza di seguirlo, la gioia!, per sempre, senza più voltarti indietro.
Se vuoi, qui Gesù sarà tutto per te, sempre e solo Gesù. Incrocerai ogni giorno il Suo sguardo nel tabernacolo, ogni momento, nella gioia e nel dolore, nell’arsura e nella consolazione … Lui sarà la GIOIA.
Ma tu, fin d’ora, sei chiamata a cercare solo Lui, senza scuse, perdendo te stessa.Donando con amore tutta la tua volontà, senza trattenerti.Cercando Lui, non te, non quello che vorresti tu, non come vorresti tu questa vita, ma come Lui te la offre: accogliendo la Sua vita, consegnandoGli la tua. Questa è la condizione di ogni dono: perdendoti nell’amore di Cristo, non solo avrai la Sua vita, ma la donerai nascostamente e fecondamente ai fratelli, come Lui dispone momento per momento. Con l’adorazione eucaristica, Gesù tocca le anime e le chiama, le invita, le muove a conversione. L’adorazione penetra nel cuore del mondo.
Nella gioia dell’obbedienza
per tanti fratelli e sorelle che, anche senza saperlo,
chiedono aiuto e speranza
Vuoi collaborare alla salvezza del mondo?!
Vieni e vedi!
Se vuoi comprendere meglio
COSA DEVI FARE ….
Prenditi un tempo
per confrontarti,
meditare,
riflettere
e pregare …
Bussa … Ti aspetta Gesù!
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Beato chi trova in Te la sua forza
e decide nel suo cuore
il santo viaggio (Sl. 83, 6)
Abbracciare la vita monastica significa abbracciare un cammino di conversione del cuore che durerà quanto dura l’esistenza.
Un lento, lungo cammino, che conoscerà tutte le asprezze del deserto, tutte le astuzie del maligno, tutta la miseria del cuore umano, che conoscerà soprattutto le meravigliose e impensabili risorse della Grazia.
Inquadrare il Monaco in questo tipico atteggiamento di conversione vuol dire rifarsi ad una originaria e costante tradizione che non abbiamo motivo di ritenere ormai superata o inadeguata, visto che il cuore dell’uomo resta l’immutabile campo di battaglia fra la luce e le tenebre, fra l’amore e l’odio.
E la scelta, affidata a ciascuno di noi, resta libera, personale, decisiva non solo per il tempo ma per l’eternità. Che alcuni cristiani prendano tanto sul serio questo loro mondo interiore di peccato e di Grazia da dedicargli le energie di tutta una vita non dovrebbe sembrare eccessivo, anche se a molti appare realmente così.
Evidentemente il monaco avrà poi ancora tanto da donare attorno a sé, la sua vitalità interiore si rinfrangerà in molteplici direzioni e lo porrà a contatto con situazioni umane che evolvono con l’evolversi del tempo, ma il centro perenne del suo equilibrio, la sua fisionomia più vera va ricercata in quel suo donarsi ad un mistero di conversione, di penitenza, di redenzione che per poter raggiungere efficacemente gli altri deve prima gettare profonde radici in noi stessi.
"Dal cuore degli uomini escono le cattive intenzioni" (Mc 7, 21).
Avendolo compreso, il monaco si è chinato in ascolto di quel suo cuore umano capace di tanto male, «prostituzioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, invidia, superbia» (Mc 7, 22) ed ha avvertito anche dei palpiti tanto diversi, germi indistruttibili di santità deposti in lui dal Battesimo, che attendevano di essere sottratti dalle spine delle preoccupazioni terrene per crescere fino alla misura dell’uomo perfetto: Cristo Gesù. «Perché ecco il Regno di Dio è dentro di voi!» (Lc 17, 21).
È per questo che il monaco è divenuto l’uomo dell’interiorità e del silenzio, si è inoltrato nelle vie misteriose dello spirito, proteso nell’ascolto di una voce che ha determinato tutta la sua esistenza. «Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore» (Sal 84, 9).
Si è allontanato dal brusio della folla per aver più agio di ascoltare quella voce che parlava di pace al suo cuore, per poter creare in sé condizioni ideali dell’ascolto, non tanto nella fuga dai rumori esterni quanto piuttosto nella ricerca di un silenzio interiore dove, una volta spento il tumulto delle proprie passioni, potesse risuonare, limpida, la Parola del Vangelo.
L’opera della propria pacificazione sarà lunga e difficile, andrà soggetta ai dinamismi impazienti di un’azione disordinata e alle stasi stagnanti dello scoraggiamento, s’imbatterà in false segnaletiche circondate apparentemente di luce ma il cui termine è nelle tenebre, conoscerà il morso dell’egoismo e di una impotenza al bene quasi invincibile e allora, sperimentate tutte le inquietanti possibilità del cuore umano, riceverà finalmente in dono, dall’alto, la pace. Scoprirà con gratitudine sconfinata che i miti, i pacifici, i puri di cuore intravedono in parte fin da quaggiù quella beatitudine riserbata all’immutabilità del Regno dei Cieli.
Il monaco è consapevole di essere stato chiamato ad un agone che in certe ore potrà rasentare l’agonia, ma sa che il Regno dei Cieli appartiene ai violenti, il retaggio dei quali è la pace. E sa ancora un’altra cosa: che la sua pace si diffonderà come una benedizione invisibile sul mondo sconvolto dall’odio e dal terrore. Il suo occhio, reso limpido da un diuturno rimanere sotto lo sguardo colmo d’amore di Dio, si posa sul creato e lo trasfigura, restituendogli quella missione glorificatrice di Dio che aveva ricevuto agli albori della Creazione.
E così uomini e cose partecipano a questo suo ritorno ad uno stato d’innocenza perduta e la Speranza torna a vivificare i cuori inariditi degli uomini: dunque la bontà, la pace, la verità, l’amore sono ancora possibili, sono vicini, lo portiamo in noi come capacità inesplorate e feconde. E una luce si accende nelle tenebre del mondo e si comunica e non è necessario neppure che si sappia che è partita dalla solitudine orante di un cuore unito a Dio: in lui, con espressioni inenarrabili, lo Spirito adora, glorifica, supplica il Padre intercedendo senza fine presso il trono di Dio, in lui lo Spirito esulta. «Convertere animam meam in requiem tuam quia Dominus beneficit tibi» (Sal 114, 7).
Se si comprende bene la finalità tutta diffusiva di quanto il monaco va a cercare e a realizzare nella sua solitudine non si sarà più tentati di giudicare la sua vita un egoismo, e la fame, la miseria, la malattia, l’ingiustizia sociale troveranno ciascuna un punto d’incontro reale con quelle esistenze così apparentemente estranee a tutto ciò: si scoprirà che c’è una fame di Dio insaziabile nel cuore degli uomini che verrà misteriosamente lenita dal perseverare di tutta una vita alla Presenza di Dio, così come verranno in soccorso della povertà radicale dell’uomo di fronte al male e all’ingiustizia le mani levate in alto di coloro che portano in cuore, con la Passione di Cristo, la passione del mondo.
Ma che questo sia compreso o no, che questo sia conosciuto o no non importa: certo è che mai mancheranno nella Chiesa si Dio questi silenziosi operai del Regno che continueranno fino alla fine dei secoli l’ininterrotta catena delle divine misericordie per il genere umano.
Essi sono chiamati a prolungare nel tempo la missione nascosta e adorante di Colei che accolse nel silenzio il Verbo divino e nel silenzio lo custodì durante tutta la vita, così come ora custodisce nel suo cuore, abisso insondabile di Santità, tutti noi con ineffabile Amore e ci conduce alla pace incandescente e silente dell’incontro con Dio: in unione con Cristo nello Spirito Santo, a gloria del Padre!
E.P.
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