(Agli oblati, 18.10.2009)
Premessa
Vi sembra strano che abbia scelto questo argomento così… “bellico” per iniziare il ciclo dei nostri incontri?
Spero di no. A me pare invece che aiuti a partire con il piede giusto nel nostro cammino di crescita e di approfondimento della nostra fede cristiana.
Non dobbiamo e non possiamo dimenticare che essere e vivere da cristiani è un esercizio perseverante di lotta. Purtroppo l'idea che oggi si ha dell'essere cristiani è quella di avere una generica attitudine alla bontà, di possedere sentimenti religiosi e di nutrire una certa simpatia per il maestro spirituale Gesù Cristo. In realtà, essere cristiani è acquisire a poco a poco i contorni del discepolo e predisporre tutto per essere plasmati dallo Spirito santo in conformità alla vita stessa di Cristo, la vita concreta, umana vissuta da Gesù di Nazaret, il vero figlio di Dio e l'uomo autentico come Dio lo ha pensato e voluto con la creazione. Si assiste invece, purtroppo, e abbastanza spesso, al farsi strada nella mente e nel cuore di molti cristiani l’idea di un cristianesimo quasi “new age”, senza croce, senza fatica, senza difficoltà…
Ritengo sia necessario ribadire anzitutto che la qualità e l’autenticità della vita cristiana è data dalla qualità e autenticità della vita interiore. La vita di un cristiano si manifesta nelle sue opere, ma l’agire morale è determinato dal di dentro. Il cristianesimo non è una dottrina morale benché la Scrittura ci ricordi che senza le opere la fede è morta, ma è vita spirituale, cioè vita dello Spirito di Cristo in noi.
Il non avere chiara questa priorità, porta inevitabilmente a un rilassamento ed un appesantimento del vissuto del cristiano: si fa fatica ad entrare nel proprio cuore e a prendere coscienza di ciò che in esso si muove. Vita interiore e vita secondo lo Spirito sono sommerse da un numero sempre crescente di impegni, magari anche buoni (carità, servizio sociale, impegni in parrocchia) tanto che, a volte, si ha l’impressione di una semplicistica identificazione tra esperienza religiosa ed impegni nel mondo; si dimentica invece che la vita di fede è relazione personale con Dio innestata su una profonda vita interiore. Il rischio più insidioso è lo scivolare verso forme di pseudo-spiritualità.
Ma anche presbiteri e religiosi non sono esenti da tale rottura. “Spesso – nota E. Bianchi – tanto è estesa e visibile l’azione pastorale, quanto è ridotta l’attenzione e l’impegno dato alla vita spirituale”[1].
Si ha quasi paura che, toccando certi temi, non si venga più ascoltati, si appaia ‘fuori moda’, ci si senta ‘tagliati fuori’. Così si può cadere nella situazione di colui che parla di ciò che si pensa che l’altro desideri udire. Credo sia importante essere continuamente vigilanti per non svuotare l’esperienza cristiana o la vita secondo lo Spirito di alcuni contenuti qualificanti. A volte insistere su certi temi può apparire una follia. Ma la ‘follia della croce’ resta pur sempre una realtà costitutiva della sequela cristiana. Antonio il Grande lo aveva intuito quando disse ai suoi discepoli.
“Verrà un tempo in cui gli uomini impazziranno, e al vedere uno che non sia pazzo, gli si avventeranno contro dicendo: ‘Tu sei pazzo!’, perché egli non è come loro”[2].
E dobbiamo riconoscere che oggi, nella ‘geografia’ spirituale, siamo più attratti dal monte della Trasfigurazione che dal Getsemani o dal monte delle Tentazioni, siamo più affascinati dai luoghi di contemplazione appagante che dai luoghi della lotta. Questi ci sconcertano, così come hanno impaurito i primi discepoli. C’è il rischio di un cristianesimo “new age”, senza croce, senza conflitti, senza difficoltà.
Ma se abbiamo il coraggio di guardare in faccia la realtà cristiana nella sua dinamica di sequela e nella sua serietà evangelica, ci rendiamo subito conto della centralità di questa dimensione di lotta, di combattimento.
1. Una lotta interiore
La lotta spirituale è movimento essenziale della vita cristiana. Già la scrittura esige dal credente tale atteggiamento: chiamato a dominare all’interno del creato, l’uomo deve esercitare tale dominio anche su di sé, sul peccato che lo minaccia: “Il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dominalo” (Gen 4,7).
anche l'apostolo nel Nuovo Testamento ci ricorda che “il peccato ci assedia” (Eb 12,1), che ci sono “dominanti che ci seducono”, che esistono “desideri che contraddicono la nostra libertà”, “passioni cattive che fanno guerra nelle nostre membra” (Gc 4,1). Sì, c'è una lotta spirituale dura, quotidiana, che richiede da parte del cristiano l'atteggiamento proprio di chi va in guerra, ma con armi spirituali. Questa lotta ha come luogo il nostro cuore, il centro della nostra vita psicologica, morale e spirituale, il luogo dell'intelligenza e della memoria, della volontà, del desiderio e di tutti gli altri sentimenti, lo spazio dell'incontro tra Dio e l'uomo, tra l'uomo e il suo simile ciò che noi con un termine attuale definiremmo “coscienza”. Gesù afferma con chiarezza che “dal di dentro, cioè dal cuore dell’uomo, nascono le intenzioni cattive” (Mc 7,21).
Si tratta dunque di una lotta interiore, non rivolta contro esseri esterni a sé, ma contro le tentazioni, i pensieri, le suggestioni e le dinamiche che portano alla consumazione del male. Paolo, servendosi di immagini belliche e sportive (la corsa, il pugilato) parla della vita cristiana come di uno sforzo, una tensione interiore a rimanere nella fedeltà a Cristo.
Questa lotta è una lotta che nasce dalla fede, dal legame con Cristo e che conduce alla conservazione e all’irrobustimento della fede stessa. La lotta spirituale mira a custodire la sanità spirituale del credente
Per questo occorre un'ascesi, compresa innanzitutto come un discernimento e un conseguente impegno, cioè come un sapere dire dei “sì” e di “no”. Dire “sì” a quello che posso essere e fare in conformità a Cristo, dire “no” alle pulsioni idolatriche egocentriche che ci alienano e contraddicono i nostri rapporti con Dio, con gli altri, con le cose, con noi stessi; rapporti chiamati a essere contrassegnati da libertà e da amore. Questa disciplina è certamente faticosa, ma è ciò che permette alla fatica di farsi bellezza, qualità della vita autentica e della convivenza. Necessaria è, dunque, anche la resistenza, la lotta spirituale nei confronti delle pulsioni, delle suggestioni, delle ossessioni che sonnecchiano nel profondo del nostro cuore, ma che sovente si destano ed emergono con una forza, una prepotenza aggressiva che le rende per noi tentazioni seducenti.
La lotta spirituale è più attuale oggi che nel passato. Siamo bombardati da tante tentazioni che ci sottraggono dal rapporto con il Signore che solo può darci la vera vita. Queste forze poi sono travestite da “angeli della luce”. Ci vuole quindi un discernimento acuto e attento, alla luce della scienza rettamente formata dall’ascolto della parola di Dio e dalla preghiera.
Questo tema è centrale nella letteratura monastica. Per la tradizione monastica la vita di fede assume la forma di un’incessante lotta contro le tentazioni. Antonio, padre del monachesimo, ha detto: “Questa è la grande opera dell’uomo: gettare su di sé il proprio peccato davanti a Dio e attendersi tentazioni fino all’ultimo respiro”.
E Isacco di Ninive:
“Questo mondo è la palestra della lotta e lo stadio della corsa; e questo tempo è il tempo del combattimento. E il luogo del combattimento e il tempo della lotta non sono soggetti a una legge. Ciò significa che il re non ha posto un limite ai suoi lavoratori, finché non sia finita la lotta e non siano tutti radunati nel luogo del Re dei re. Lì sarà esaminato colui che ha perseverato nella battaglia e non ha ricevuto sconfitta, e colui che non ha voltato le spalle.
Perciò, nessuno abbandoni la speranza. Solo: non disdegni la preghiera e il chiedere aiuto a nostro Signore. Teniamo bene nell’intelligenza questo: per tutto il tempo in cui siamo in questo mondo e abitiamo in questo corpo, se anche fossimo innalzati fino alla volta dei cieli, non ci è possibile restare senza fatica e avversità, e senza preoccupazione” (Un’umile speranza, p. 95).
Essere cristiani quindi significa intraprendere un lavoro interiore su se stessi, una pratica, un impegnativo allenamento quotidiano per cambiare se stessi, per sconfiggere pian piano i propri vizi e riacquistare la libertà di una mente non più schiava di ogni sorta di passioni e di piaceri e non più confusa a causa loro.
2. La tentazione come opportunità
Il tema del combattimento spirituale affonda anzitutto le sue radici nella categoria biblica della tentazione come esperienza qualificante e necessaria per la maturazione del rapporto tra Dio e il suo popolo[3]. Le tentazioni di Israele, d’altra parte, sono una delle chiavi simboliche ed interpretative del racconto sinottico delle tentazioni di Gesù: la lotta contro il nemico diventa una esperienza che attraversa tutto il cammino storico di Cristo nella consapevolezza della sua figliolanza divina.
Dunque, quanto abbiamo finora detto ci impone un ultima considerazione che apre ad una scelta: la vita secondo lo Spirito esige coraggio, il coraggio di lasciarsi condurre dallo Spirito nel ‘deserto’ per intraprendere un pellegrinaggio di cui non sempre si possono conoscere gli itinerari o gli imprevisti, né prevederne nei dettagli i movimenti o i passi. In questo simbolico cammino nella solitudine, si possono scoprire dentro di noi presenze o volti che non vorremmo vedere, che non vorremmo che esistessero.
“Vedere in faccia se stessi è spesso fonte di disillusioni, è atto che spezza le idealizzazioni di sé, le immagini di noi che ci siamo forgiati. Tutto questo può implicare l’entrare in crisi e il subire ferite. Il lavoro di discesa nel proprio cuore, di ricerca della propria verità non lo intraprende chi ha paura delle ferite, della sofferenza che a lui ne può derivare. Quando la verità vuole rivelarsi all’uomo fa uso di un grande dolore: vi è sempre il prezzo di un’acuta sofferenza da pagare al disvelarsi della verità. La paura può paralizzare e impedire il cammino interiore, ma allora si resterà spettatori della vita, ed essa ci passerà accanto come un’estranea”[4].
Non si deve tuttavia mai perdere di vista un aspetto fondamentale in questo sorprendente e doloroso, itinerario: esso, e la lotta che ne costituisce il dinamismo, sono condotti “sotto la guida dello Spirito”. Non si riducono a introspezione psicologica, né tantomeno ad uno sforzo titanico della propria volontà in una continua tensione e scontro. Se si dovesse avanzare così, ci ridurremmo a persone ripiegate su se stesse e perennemente tese. Il combattimento spirituale è di fatto la cifra riassuntiva della esperienza spirituale; è la “bella lotta della fede”, come di Paolo (tòn kalòn agòna tès pìsteos: 1Tm 6,12). “’E cioè la lotta che nasce dalla fede, dal legame con Cristo manifestato dal battesimo, che avviene nella fede, cioè nella fiducia della vittoria già riportata dal Cristo stesso, e che conduce alla fede, alla sua conservazione e al suo irrobustimento”[5].
Tentazione: Con questa espressione si indica un pensiero, una suggestione, uno stimolo che muove dall’esterno dell’uomo (quello che vedo, quello che ascolto, quello che mi circonda) o dall’interno (struttura personale, fragilità) e che insinua nell’uomo la possibilità di una azione cattiva, in contrasto con il Vangelo.
La tradizione spirituale cristiana ha sempre riletto l’esperienza della tentazione e la dinamica della lotta spirituale alla luce dell’esperienza stessa di Gesù nel deserto. La categoria biblica della tentazione (così come è espressa ad esempio in Dt 8,2-5) resta la chiave ermeneutica per comprendere sia l’episodio narrato dai sinottici, sia l’esperienza stessa del credente . In ogni caso, la drammatica lotta contro il tentatore resta, nel cammino umano e spirituale di Gesù, una esperienza qualificante che percorre tutta l’esistenza terrena del Figlio di Dio.
Non è questo il momento di soffermarci diffusamente su questo brano, che casomai potremmo riprendere in Quaresima.
3. Gli ambiti del combattimento spirituale
La tradizione cristiana occidentale parla dei 7 vizi capitali: gola, lussuria, avarizia, ira, invidia, accidia, superbia. Tale lista si rifà all’elenco degli otto pensieri malvagi di Evagrio Pontico (la superbia è distinta dalla vanagloria).
Gastrimarghìa (gola) che non investe solo il rapporto con il cibo, (= rapporto irrazionale, golosità, voracità), ma indica ogni forma di patologia orale. Pensiamo alla bulimia e all’anoressia…Sono capace di mangiare cibi che non mi piacciono o di rinunciare qualche volta a quelli che amo? Allenamento alla rinuncia per evitare l’abitudine.
Porneìa (lussuria): termine che riassume gli squilibri nel rapporto con la sessualità, soprattutto a “cosificare” il corpo proprio e altrui, ad assolutizzare le pulsioni e a ridurre a oggetto di desiderio chi dovrebbe essere soggetto di amore.
Philaghyrìa (avarizia) ci rimanda al rapporto con le cose e denuncia la tendenza dell’uomo a lasciarsi definire da ciò che possiede.
Orghé (ira) ci rimanda al rapporto con gli altri, che può essere stravolto fino alla violenza con la collera…mentre il cristiano dovrebbe esercitarsi con pazienza e fatica all’accettazione dell’alterità.
Lypé (tristezza), frustrazione che ci impedisce di aderire all’oggi.
Akedìa (accidia, una forma più profonda di tristezza) una specie di noia della vita, una pigrizia, una demotivazione radicale, un disgusto di ciò che si vive.
Kenodoxìa (vanagloria), è la tentazione di definirsi in base a ciò che si fa (lavoro, opere)…
Yperpehanìa (superbia), orgoglio, affermazione dell’ego, sostituzione di Dio con l’Io.
Questi ambiti, riassuntivi di tutti i rapporti costitutivi della vita, sono i nostri “campi di battaglia”.
4. L’opera per eccellenza dell’uomo “spirituale”
Potremmo a questo punto chiederci: qual è la nostra “opera per eccellenza”? É quella che gli antichi padri indicano: la custodia del cuore, la vigilanza, l’attenzione a ciò che avviene dentro di noi. Certo il pensiero non è peccato. Il peccato è acconsentire.
Vorrei proporvi qui quanto gli antichi monaci hanno scritto e insegnato sull’analisi del processo mentale che si verifica in occasione delle tentazioni. É una dottrina ampiamente recepita anche oggi. Essi distinguono 5 stati di penetrazione del male nel cuore
La lotta è spezzare subito, sul loro nascere, i pensieri e le suggestioni cattive.
5. I mezzi, le armi
v La prima, più importante ed efficace arma è la fede nella risurrezione di Gesù Cristo, evento che ha segnato al vittoria definitiva sulla morte e su “colui che della morte ha il potere, il diavolo” (Eb 2,14).
- L’apertura del cuore con il proprio padre spirituale.
- La preghiera e l’invocazione del nome di Gesù.
- L’ascolto e l’interiorizzazione della Parola di Dio.
- Una vita di carità intensa e autentica.
- L’eucaristia!
- La vigilanza: come portinai attenti sulla porta del nostro cuore. Evagrio Pontico invita ad esaminare ogni pensiero che si presenta al cuore interrogandolo: “Sei dei nostri o dei nostri nemici?”.
- L’esercizio! Discernere le proprie tendenze di peccato, le proprie fragilità, le negatività che ci segnano. Dobbiamo chiamarle per nome, assumerle e non nasconderle e così “lottare” perché regnino in noi la Parola e la volontà di Dio.
6. Pace nella lotta
Questa lotta è più dura di tutte le lotte esterne, ma penso abbiate sperimentato il suo frutto di pace, di gioia, di libertà. In questo modo la nostra fede diventa perseveranza, cioè “fede che rimane” (E. Bianchi) e il nostro amore si purifica, si affina, si ordina.
Termino con una bellissima testimonianza del Patriarca Atenagora:
“Per lottare efficacemente contro il male bisogna volgere la guerra all’interno, vincere il male in noi stessi. Si tratta della guerra più aspra, quella contro se stessi. Io questa guerra l’ho fatta. Per anni e anni. É stata terribile. Ma ora sono disarmato. Non ho più paura di niente perché ‘l’amore scaccia la paura’. Sono disarmato dalla volontà di spuntarla, di giustificarmi a spese degli altri. Sì, non ho più paura. Quando non si possiede più niente, non si ha più paura. ‘Chi ci separerà dall’amore di Cristo?’ ”.
La nostra lotta è lotta, sì, una lotta che non solo ci conduce alla pace, ma può convivere con la pace stessa, perché è unificazione interiore di noi stessi in Cristo.
Testi utilizzati (utili anche per approfondire personalmente):
Dag TESSORE, I vizi capitali, ed. Città nuova, Roma 2007.
Tomas SPIDLIK, L’arte di purificare il cuore, ed. Lipa, Roma 1999 (varie ristampe).
André LOUF, Sotto la guida dello Spirito, ed. Qiqajon, Bose 1990.
Enzo BIANCHI, Le parole della spiritualità, ed. Rizzoli, Milano 2003 (4° ed.).
Nella Regola l’idea della lotta spirituale è sottesa un po’ ovunque. Si possono rileggere in particolare:
- Prologo, vv. 24-28
- cap. 1,5; 1,13; tutto il capitolo 4, in particolare i vv 10-12.22.76-78; 7,50; 7,70; cap. 49; cap. 58,8
[1] E. BIANCHI, Ai presbiteri, p.8.
[2] Antonio il Grande, Vita 25.
[3] Cfr. Dt 8,1-6.
[4] L. MANICARDI, Vita interiore,p.17.
[5] E. BIANCHI, Le parole della spiritualità, p. 36.
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