CONCLUSIONE COME PROPOSITO
“Non dobbiamo occuparci della cronaca ma della storia sì, con tutta la vigilanza della preghiera e del cuore e, cioè, dei grandi drammi dell'umanità del nostro tempo: l'ingiustizia, la fame, l'oppressione, il buio della fede, la fatica della ricerca di verità e di luce, il dramma delle Chiese divise, dei popoli che non hanno ancora ricevuto l'annuncio del Vangelo” (G. Dossetti, in M. Gallo, Una comunità nata dalla Bibbia, p. 11).
Il futuro della vita monastica non è e non sarà un semplice prolungamento del passato, ma un adventus, come è di tutto ciò che riguarda il Regno di Dio che viene, di tutto ciò che appartiene al mistero di Cristo, ‘colui che viene’. La vera tradizione monastica è capace di creare osservanze nuove, in seno a comunità vive ed entusiaste: “Avanti o indietro, dunque? Dentro - fu la risposta che mi diede il piccolo San Placido”. Ecco allora che quando i nostri ‘eremiti’ parlano per TV, quando i nostri ‘maestri spirituali’ vanno e vengono dal Deserto in jet, quando il monaco ‘fa notizia’ sui rotocalchi, quando le preghiere gremiscono gli stadi, c’è da temere. C’è da temere che la vita interiore non sia ancora abbastanza interiore, non abbia cioè ancora inghiottito tutto il nostro essere...” (Piero Gribaudi).
È necessario un ritorno convinto alla Regola. per ‘bere a quella roccia spirituale che ci segue’ (1 Cor. 10, 4), con una osservanza ‘letterale’, senza la quale è illusione sperare di poterne avere lo spirito, per cui, se si abbandonano le osservanze concrete, non si può più parlare di monachesimo: “È con
Se sarà un vero monaco, anche ai nostri giorni, il monaco non sarà un isolato e un egoista, un ‘monaco in pelliccia’, come Reb Mendel di Tomaszov diceva di un noto sapiente che gli sembrava un ‘rabbino in pelliccia’, perché di fronte al problema del freddo aveva trovato la soluzione della pelliccia, che riscaldava solo lui, mentre se avesse acceso un fuoco anche altri ne sarebbero stati riscaldati (J. Langer, Le nove porte, p. 239): sarà invece ‘tutto fuoco’ come volevano i Padri del deserto, quel ‘fuoco che non dice mai basta’ e che Gesù è venuto a gettare nel mondo e che è lui stesso: “Chi s’avvicina a me, s’avvicina al fuoco” (Agraphon). “Anche i religiosi contemplativi e di clau-sura, forse questi in modo speciale, devono essere intonati ai problemi più profondi dell’uomo contemporaneo. Essi devono mantenere la loro unica prospettiva, che solo la solitudine può dare, e dalla posizione di vantaggio devono capire l’angoscia del mondo e condividerla nel loro modo” (Th. Merton).
L’unità di questi due momenti della vita monastica, dipende da una concreta cristologia, che insegna al monaco e al mona-stero a ‘niente anteporre all’amore Cristo’, sapendo riconoscere la sua presenza reale dovunque egli sia e come sia, nella sua vera umanità come nella sua divinità, sia dentro che fuori il monastero. Cosi il monaco è colui che sa riconoscere bene e vivere ‘1a verità eterna e la realtà del presente’, e così incontra nel totale mistero di Cristo, quel Dio che cerca con tutte le forze, e “se noi amiamo veramente il mondo reale con tutti i suoi orrori, se osiamo allacciarlo con le braccia del nostro spirito, le nostre mani incontreranno le mani che reggono il mondo” (M. Buber).
p. Giuseppe Anelli osb
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