5. VIA MONASTICA DI UMILTÀ E POVERTÀ
“La povertà è parte essenziale dello stato religioso, non solo perché è richiesta per rompere l’attaccamento ai beni di questo mondo, aspetto puramente negativo, ma perché è un mezzo d’amare Dio e il prossimo come gli apostoli amavano Cristo e si amavano tra di loro”.
Povertà e umile carità, due condizioni essenziali e costitutive della vita monastica nel cuore della Chiesa, sposa dell’Agnello e serva del Vangelo. Il mettere in comune i beni rende possibile un amore più grande: “La divisione causa sempre una diminuzione di patrimonio; la concordia e l’intesa l’aumentano. così ora nei monasteri si vive ancora come vivevano i fedeli della Chiesa primitiva (S. Giovanni Crisostomo, In Act. XI, 4, PG 60, 97)” (J. Leclercq, La vita perfetta, p. 94).
Le beatitudini evangeliche conferiscono una dignità regale al cristiano che, come un saggio sa accontentarsi di poco (S. Basilio, Hom De ieiunio 1, 3), perché la felicità umana non consiste nel possedere e consumare molto, ma nell’avere pochi bisogni e soddisfarli a poca spesa, l’ideale monastico della frugalitas o parcitas (cfr. RB 39,10; 40, 6; 34, 48). Questo proposito di vivere in piccolo ha per radice l’amore biblico della povertà (cfr. Fil. 4, 12; 1 Ts. 6, 6-10), che esige, per esempio, un nutrimento semplice e poco costoso. Così “il modo di vivere dei monaci è semplice e frugale. Che tutto nella casa di Dio sia in armonia con quel genere di vita nel quale il superfluo non ha parte alcuna, in modo che la sua stessa semplicità possa essere un insegnamento per tutti. Che questa semplicità appaia chiaramente negli edifici, nel mobilio, nel cibo e nell’abbigliamento, perfino nella celebrazione liturgica “ (Costituzioni Trappiste, n. 27) .
S. Benedetto invita successivamente ad ‘amare il digiuno’ e ‘ristorare i poveri’ (RB 4, 13-14), ed è evidente un legame di causa ed effetto tra questi due ‘strumenti’ posti in stretta succes- sione. E proprio S. Benedetto è molto attento ai poveri, e così l’ultima categoria di cui parla nel capitolo sull’ospitalità è quella dei poveri (RB 53, 15) che figurano già, insieme agli ospiti, tra coloro di cui il cellerario deve avere cura particolare (RB 31, 9), distribuendo loro cibo e indumenti (RB 55, 9). Ma il passo più rilevante è quello in cui S. Benedetto domanda al portinaio di rispondere “Con ogni mansuetudine ispirata dal timore di Dio, sollecitamente, con fervore di carità, appena qualcuno busserà o un povero chiamerà” (RB 66, 3-4), Si manifesta qui, in modo forte, il personale costante desiderio che S. Benedetto ha di ‘onorare tutti gli uomini’.
La beatitudine di chi ha fame e sete di giustizia è un pressante appello del Signore a tutta
Ci si deve sempre chiedere come possa essere credibile la povertà monastica ed è ovvio che “sui beni del monastero grava una ‘ipoteca missionaria’, cioè invece di paramenti costosi, grandi campane e organi ecc. niente affatto necessari per l’efficacia reale della liturgia, si impieghino i mezzi disponibili per le tante necessità e iniziative delle missioni. Non è bene investire capitali in campi, boschi, officine, birrerie ecc. I monasteri ricchi dovrebbero sorreggere le iniziative di quelli volenterosi ma meno provvisti di mezzi” (B. Borghini, Studi sulla povertà, in Vita monastica 21 (1967) 184).
Anche se la solidarietà monastica non si esprimerà in diretti interventi sociali o specifiche attività pastorali, un monastero evangelicamente povero dovrà essere, ogni giorno di più, un tempo e uno spazio per l’ascolto e la compassione, irraggiando la consolazione con cui il Signore conforta il suo popolo, nella sua Chiesa, comunità eucaristica e fraterna di grazia e di amore per la speranza di ogni uomo e di tutto l’uomo.
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