3. SCUOLA DEL SIGNORE, SCUOLA DI CARITÀ
“Vivete dunque tutti unanimi e concordi e onorate l’uno nell’altro quel Dio di cui siete diventati tempio” (S. Agostino, Præcepta-Regola di Agostino 1, 6-8; RB 34, 3-5; 55, 20-22; Regola di Cesario per le vergini, 21).
S. Benedetto intende il monastero ‘scuola del Signore’ (RB, Prol. 45-50), istituita nel cuore stesso della Chiesa (RB, Prol. 50; 1, 2) come una ‘scuola di carità’, che ‘da sola vale tutte le pratiche e le osservanze’ (Baba Batra, 9a), così che ‘1a preservazione della carità’ (RB, Prol., 47) è uno dei criteri fondamentali di ogni Regola monastica e il segreto del buon livello spirituale di una comunità, perché ‘l’anima dei monaco è guarita dalla preghiera e la guarigione si manifesta nelle opere di carità’ (Iperechio, Consigli agli asceti, c.
Tra le leggi della storia sacra c’è quella della ‘salvezza in comunità sotto un capo responsabile’ nella grazia di Cristo, nello Spirito dell’amore del Padre. C’è quindi una tensione dialettica tra persona e comunità, tra solitudine e comunione, e Bonhöffer nel suo ‘Vita comune’ parla dei ministeri necessari alla comunità e conclude che “esclusivamente nella comunione riusciamo a essere soli, ed esclusivamente chi è solo è in grado di vivere nella comunione. Sono due cose interdipendenti”. Un’analisi analoga, più specificamente monastica, in Merton: “Anche nella comunità ci deve essere una certa quiete, non solo uno stare insieme e chiacchierare senza controllo, che non significa nulla. Il monachesimo implica una certa distanza, alla quale poi uno può avvicinarsi e non semplicemente immersione in una vicinanza confusa, nella quale non ci sono più persone, ma solo una massa di oggetti che si muovono e parlano” (T. Merton, Il contemplativo e l’ateo, p. 73-74).
Qui si pone propriamente il mistero monastico, che si identifica con il senso mistico della vita cristiana di grazia battesimale ed eucaristica nell’evento pasquale trinitario, mistero di rivelazione e santificazione nella Carità che è Dio, che è Tre, come si è detto, e che inabita nella sua creatura. In effetti, al cuore della persona, immagine di Dio per la somiglianza in lode della sua gloria, c’è ‘la sua unione profonda e segreta col suo Dio, lo sposo, che corrisponde al suo nome segreto ed eterno. Certamente siamo fatti per essere un nutrimento gli uni degli altri (e ognuno è una forma diversa di nutrimento), ma siamo fatti soprattutto per vivere questa relazione unica con il Padre nel suo Figlio Gesù’ (J. Vanier,
Questa è la pienezza e il frutto maturo della vita monastica nella ‘scuola del Signore scuola della Carità’: “Tu che dormi nel mio petto non ti si incontra con le parole, ma nell’emergere della vita dentro la vita e della sapienza dentro la sapienza. Con te non c’é più nessun dialogo, nessuna contesa, nessuna opposizione! Tu in me e io in te, tu in loro e loro in me: spogliamento nello spogliamento, distacco nel distacco, vuoto nel vuoto, libertà nella libertà. Il Padre e io siamo una cosa sola” (T. Merton, Entering the Silence, 488). Tutto, nella Regola di S. Benedetto, tende a preparare il monaco a questa esperienza di grazia, favorendo la ‘pace dell’anima’ (RB 7, 62-66. 67-70), evitando ogni ‘tri-stezza’ (RB 31, 3-7), perché il monastero sia ‘casa di Dio’ (RB 31, 19; 31, 10-12) per l’incontro dei figli col Padre.
Histoire - Communauté - Oblature - Initiatives - Textes - Deus Absconditus - Spazi di luce |
Benedettineghiffa.org - online dal 2009
Cookie Policy - Questo sito utilizza unicamente cookies tecnici necessari alla navigazione. Non installa cookies di profilazione.