2. COMUNIONE DI VITA NELL’AGAPE
“Com’è buono e soave che i fratelli vivano insieme!, queste parole del Salmo, questa dolce melodia, questo canto armonioso, musica e spirito, hanno dato origine ai monasteri. Questo canto ha provocato dei fratelli a vivere insieme. Questo versetto li ha convocati come un suono di tromba, è risuonato per tutta la terra e quelli che erano divisi si sono riuniti. Clamore di Dio, clamore di Spirito Santo, clamore dei profeti, che non si limitano alla Giudea, ma si è diffuso sulla faccia della terra” (S. Agostino, cit. in I Salmi pregati da S. Agostino, pp. 80-81).
La storia monastica è un mirabile ininterrotto commento concreto a questo breve prezioso salmo 133, frequentemente citato nei testi a sottolineare la ‘comunione di vita’ (Cf. RB 5, 12), pensiero centrale già del monachesimo di Pacomio che, giovane soldato, trova la via alla fede cristiana e alla vocazione monastica nell’esperienza della carità disinteressata e dell’accoglienza ospitale da parte di alcuni cristiani di una città egiziana (Vita Pachomii (lat.), 4). Orsiesii, secondo successore di Pacomio, non soltanto dice che ‘il padre (Pacomio) per primo fondò la koinonia’ (Liber Orsiesii, 12), ma spiega anche che essa è ‘1uogo di comunione’ (Koinonia): “Che la nostra comunità e la koinonia, con la quale ci uniamo gli uni agli altri vengano da Dio, ce lo ha insegnato l’Apostolo quando dice: ‘Non dimenticatevi delle opere buone e della koinonia, perché di tali sacrifici Dio si compiace’ (Eb. 13, 16; cf. At. 4, 32). Da allora i monaci ‘custodiscono questo deposito’ (cf. 1 Tim. 6, 20) e lo trasmettono perché dobbiamo amarci a vicenda e mostrare che siamo veramente servi del Nostro Signore Gesù Cristo, figli di Pacomio e discepoli della koinonia” (Liber Orsiesii, 23).
È un tesoro che lo Spirito Santo non lascerà mai mancare alla Chiesa, anche se raro, come constata con un ‘ohimè’ Cassiano rispetto al suo modello, la prima comunità di Gerusalemme (At. 4, 32-35, 2, 45: Cassiano , Conl., 18, 5), alla quale anche S. Agostino sempre si riferisce come esempio e ispirazione della vita monastica nella sua Chiesa (Agostino, Discorso 356, 1-2).
Illuminato dai suoi due grandi maestri, Cassiano e Agostino, anche S. Benedetto si aggancia all’esperienza gerosolimitana (RB, Prol. 50; 31, 8-9; 33, 6) e sviluppa il tema dell’amore fraterno solo nei capitoli conclusivi della Regola perché appaia quale meta di tutto il cammino che conduce a Dio (RB 68, 4-5; 70, 6-7; 71, 14; 72).
Se S. Agostino ha detto, come si è visto, che il primo versetto del Salmo 133: ‘Come è buono e soave che i fratelli vivano insieme’ ha dato origine ai monasteri è perché la disposizione alla concordia, all’amore, alla gioia é il fondamento di ogni vita cristiana, per cui davvero la carità basta a fare il monaco, come afferma esplicitamente la tradizione, quasi cemento della vita cenobitica, nella quale, divenuti concorporei (Ef. 3) con Cristo grazie alla comunione al suo corpo, i monaci sono anche unanimi (Fil. 2, 2), formano un’unica anima tra loro: “Nel monastero, ove tutti sono approdati liberamente per offrire sé stessi in ‘olocausto spirituale’, l’altro non è ‘il mio inferno’, ma la luce di Cristo me lo rende ‘prossimo’, fratello e figlio dello stesso Padre divino, ‘membro da membro’ (1 Cor. 12, 27) del Corpo di Cristo” (Emiliano di Simonos Petra, Son diventato, nella notte, luce, in AA. VV., Voci dal Monte Athos, p. 90). Nella vita monastica “non vi è ragione per antagonismi, perché non c’è nulla di mio o di tuo, ma tutto è comune. Persino il progresso spirituale e i carismi divini di uno diventano il vanto comune del Corpo e la consolazione delle membra che soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui (1 Cor. 12, 26)” (Ivi, p. 90).
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