La Pace nella Regola di San Benedetto
Dopo aver considerato il tema della PACE nella vita di san Benedetto, e aver compreso come Benedetto sia uomo di Pace in quanto sostanzialmente, con tutto se stesso, Uomo di Dio, interamente centrato in Dio, e per questo con il cuore sempre nella pace, cominciamo, da questo incontro, a riconoscere solo alcuni spunti sulla pace che il Santo da Norcia offre nella sua santa Regola, vero manuale di vita per i monaci d’Occidente e per tutti i cercatori di Dio, che vogliono vivere alla luce di Cristo e del Vangelo.
La sua ricerca piena e assoluta di Dio, l’equilibrio della sua vita, l’indirizzo chiaro e diritto del suo governo fanno di san Benedetto un Uomo di Pace, un maestro di Pace, un messaggero di Pace.
E così la sua Regola non può che essere scuola e via di pace sicura.
Cominciamo dal Prologo. Oggi ci soffermiamo qui, su questa felice Introduzione alla Santa Regola che è il Prologo, per farne tesoro di vita per noi, per portare la pace, per essere PACE nel mondo.
Le prime parole che san Benedetto ci rivolge sono un invito chiaro all’ascolto.
“Ascolta, figlio, gli insegnamenti del tuo maestro” (v. 1).
Ascolta.
Quanto bisogno di ASCOLTO abbiamo.
Benedetto lo sapeva, era chiaro già al suo tempo, che l’uomo è fatto per l’ascolto, per la relazione, per l’apertura all’altro. Ma quanto più ce lo dice oggi, in questo nostro tempo frenetico e rumoroso, invaso dai rumori, dai frastuoni, dove tutto in apparenza è aperto, dispiegato, e invece… è chiuso, imbottigliato nelle ipertrofie dell’io, botte di ferro, che blocca e paralizza la libertà vera e profonda verso l’Altro.
È bello pensare all’ascolto come condizione necessaria della pace.
Ascolto come elemento portante, costitutivo della pace.
Sono chiamato ad ascoltare.
Ad ascoltarmi: a conoscere il mio cuore, a leggermi dentro. Ma non basta una lettura psicologica, o psicoanalitica – anche di questo c’è abuso oggi. Occorre ascoltarsi e conoscersi sapientemente, appoggiando il proprio cuore sul Cuore di Gesù, sulla Bibbia, sul Vangelo. E, per noi monaci e/o Oblati, sull’insegnamento dei santi Padri della Chiesa e del monachesimo. Sul Magistero.
Siamo esseri in ascolto, siamo relazione. Il monaco è relazione, il cristiano è relazione.
Se io non ascolto, mi chiudo, mi trincero nelle mie idee, nei miei schemi, mi fisso nei mei limiti, e mi riduco, mi paralizzo, mi condanno, muoio.
“Ascolta, figlio”.
Per ascoltare, devo restare aperto, vigile, in dialogo.
Aperto all’altro, anche se non pensa quel che penso io, e non è come me, è diverso.
Questa apertura richiede pace del cuore, pace dentro il mio cuore; richiede mitezza in me; ma questa apertura dell’ascolto mi apre, mi dilata, mi amplia gli orizzonti, mi arricchisce, mi fa crescere.
Pace non è andare a senso unico, ma tenere conto delle differenze di pensiero e di essere, di sensibilità, di vita. Per costruire l’unità, e quindi per edificare una civiltà della pace, io sono chiamato ad ascoltare, ad aprirmi al dialogo, a tessere fili di fiducia, di serenità, di libertà, a restare umile e duttile verso l’altro, ad intendermi, senza mantenermi su posizioni rigide ed inappellabili…
Tutto questo fa l’ascolto vero.
Senza l’ascolto, c’è la guerra.
Perché viene meno il rispetto e il riconoscimento dell’altro, dei diritti dell’altro, della responsabilità dell’altro, assieme alle mie.
Senza l’ascolto, non si cammina insieme.
Lo vediamo nelle famiglie in difficoltà, come nelle comunità, nelle parrocchie che soffrono…
Non bastano i piani pastorali, i progetti educativi; non basta neanche la buona organizzazione, che tutto funzioni… Bisogna avere tempo e cuore per ascoltarsi. Fermarsi e ascoltarsi. In semplicità e verità. La pace parte dalla capacità di ascolto: ascolto del proprio cuore, ascolto di sé, ascolto della propria anima. Ascolto di Dio. Ascolto dell’altro. Sapersi mettere dalla parte dell’altro. Comprendere l’altro, quel che vive, quel che sente, quel che soffre. La pace parte di qui.
I verbi del Prologo sono indicativi:
Verbi di accoglienza, verbi di operosità concreta, fattiva, dinamica.
La pace, l’attenzione all’altro, l’ascolto, sono l’incipit della Regola di san Benedetto: colui che si pone alla sequela radicale di Cristo è chiamato a non considerarsi protagonista della sua vita, sempre e solo al centro della storia, ma, in quanto discepolo e cooperatore di Dio, al suo seguito, alla sua scuola, diventa capace di sapersi aprire alle differenti visuali, e quindi, con fede, riesce a vedere Dio nell’altro, e cosa dice Dio nel fratello e nella sorella, senza unilateralità, superando preconcetti e prevenzioni.
Il Prologo della Regola di san Benedetto ci mostra il monaco Benedettino come un cercatore di Dio, e uno che segue Gesù Cristo, vero Re; che milita al seguito di Cristo, senza condizioni.
C’è pace nel cuore del discepolo, perché egli guarda non a sé, ma a Cristo, vuole Cristo, sceglie Cristo, costi quel che costi. E quindi va, segue, corre, dietro a Cristo, abbracciando le fortissime armi dell’obbedienza, rinnegando la sua propria volontà solo per amore del Cristo, unico Signore della vita (cfr. Prol. v. 2).
Può sembrare un ideale alto, troppo alto. In realtà, c’è in gioco un grande amore. Un amore unico, totale. E questo porta pace, la pace della vita tutta centrata in Cristo Signore, vero Re della storia. La pace che viene dall’ordine interiore della vita.
San Benedetto ci insegna che facendo ordine nella nostra vita, togliendo il superfluo, rimanendo alla presenza attenta del Signore – si pensi ai suoi tre anni di vita nel sacro speco a Subiaco – noi troviamo la pace profonda, interiore, la pace del cuore. Non all’esterno, ma all’interno. Anche l’esterno viene riordinato, se si fa leva sull’ordine interiore della nostra vita, che viene dall’incontro personale e vivo con il Signore, che ci cambia e ricolma di vero senso.
Il Prologo è così un canto di pace, perché è canto di gioia: la gioia del monaco che segue da innamorato Gesù Cristo, spontaneo, coerente, ma con… “fede guerriera”, valorosa: con tutta la volontà, la libertà e le sue forze.
È dunque un’immagine molto bella quella della sequela ardente che san Benedetto tratteggia in questo inizio della sua Regola. Infonde pace, questo inno del Prologo, la pace che regna nel Cuore di Cristo, che avvince, e quindi del discepolo, che corre dietro al Signore con lo slancio lumionoso della fede, trasparenza d’amore:
Che cosa vi può essere di più dolce per noi, fratelli carissimi, di questa voce del Signore che ci chiama? Ecco, il Signore, nella sua grande bontà, ci mostra il cammino della vita. Munìti dunque di una fede robusta e comprovata dal compimento delle buone opere, procediamo sulle sue vie, sotto la guida del Vangelo, per meritare di vedere Colui che ci ha chiamati al suo regno.
(RB Prol., 19-21)
La pace, per san Benedetto, viene dalla fede.
Tutta la Regola è attraversata dallo sguardo della fede, dallo spirito di fede. La fede è luce, è intuito profondo, è capacità di attraversare la vita con lo sguardo di Cristo. È vedere Lui e volere Lui prima di tutto, davanti a tutto, oltre tutto.
Ci vuole una fede robusta, anche in monastero, soprattutto in monastero, per vedere sempre Gesù Cristo davanti a noi, senza l’ausilio dei sensi.
Una fede che crede. Fede che si fida. Senza fede non si fa un passo.
Da qui nasce la pace.
Io non posso annunciare la pace nella mia vita, se non credo. Se non mi affido a Colui che ha dato tutta la Sua vita per me!
Se non mi metto seriamente e senza sconti alla Sua scuola, contro la tendenza del mondo. Seguire Gesù ha un prezzo, ma il frutto di questa sequela radicale è appunto la pace più vera, che nessuno mi potrà togliere. Ma io ci credo, e lo voglio?!
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