La pace nella vita di San Benedetto
San Benedetto giovane
In questo incontro vogliamo sottolineare qualche spunto dell’apporto personale, dello stile caratteristico di san Benedetto giovane per quanto riguarda la PACE, in piena continuità con quanto era stato espresso nello scorso incontro di ottobre. Prima di parlare della pace in senso cosmico, planetario, mondiale, tra popoli e nazioni, è importante – e questo è tipico del monachesimo – partire dalla pace del cuore. La radice della pace è nel cuore.
Oggi facciamo un passettino in più, giusto un piccolo passo. Ci limitiamo ad alcune considerazioni, fondamentali, però, sulla vita del giovane san Benedetto.
Come ha vissuto, Benedetto giovane, nella freschezza della sua giovinezza, nella sua piccola vita che è diventata grande, la pace?!
Come ha fatto pace dentro di sé, per poi donare la pace?
Prendo spunto da un contributo di un compianto monaco benedettino, studioso e docente di storia medioevale:
GIORGIO PICASSO O.S.B.
San Benedetto, patriarca d’Occidente e patrono d’Europa
Estratto da “Brixia Sacra”, XI (2006), Fasc. 1, Associazione per la storia della Chiesa bresciana.Qual è dunque l’itinerario tracciato dalla vita di Benedetto?
Quello di un giovane cristiano di famiglia agiata, che i genitori, residenti a Norcia, a nord di Roma, hanno inviato nella capitale perché compia i suoi studi e si prepari a una carriera secolare, ma che prende in avversione i costumi troppo liberi dell’ambiente studentesco e decide di abbandonare Roma, con l’intenzione di dedicare la vita al servizio di Dio.
Ed ora qualche considerazione su Benedetto monaco a Subiaco.
Rompendo così con i progetti dei suoi genitori, il giovane non sembra si sia preoccupato di ottenere il loro permesso e nemmeno di informarli. Radicale è la sua rottura, non soltanto con il mondo, ma perfino con quelli che l’hanno messo al mondo. Tuttavia, partendo per le montagne a est di Roma, mantiene ancora un legame con la famiglia: la sua nutrice, che viveva con lui a Roma, lo accompagna in questa prima tappa. Governante e madre insieme, questa persona è la prima figura femminile di una storia in cui le donne interverranno a più riprese, talvolta in modo decisivo.
Senza volerlo, la nutrice provocherà uno di quei mutamenti improvvisi e profondi che scandiscono la vita di Benedetto. Dirigendosi a est di Roma, il giovane e la donna si sono fermati nel villaggio di Enfide (oggi Affile), a circa sessanta chilometri dalla città, e là vivono della carità di alcuni cristiani agiati. Avendo preso a prestito un vaglio per setacciare il grano, la nutrice lo lascia cadere ed esso si rompe. Le lacrime di questa donna desolata commuovono Benedetto, che si raccoglie in preghiera e ottiene la riparazione miracolosa dell’oggetto rotto. Allora l’ammirazione generale che questo primo miracolo aveva provocato suscita in lui una nuova reazione radicale: per sottrarsi alla venerazione degli abitanti di Affile, Benedetto lascia segretamente il villaggio, senza neppure salutare la nutrice, e si dirige verso Subiaco, un po’ più a nord, dove desidera scomparire agli occhi di tutti nella solitudine. Con l’aiuto di un monaco incontrato sul posto, che si chiama Romano, Benedetto si stabilisce in una grotta, dove vivrà da solo per tre anni, sconosciuto a tutti. Romano, l’unico al corrente della sua presenza, gli garantisce il nutrimento calandogli dall’alto, mediante una corda, un po’ di pane prelevato segretamente dalla propria razione. Al di sopra della grotta infatti si trova il monastero in cui vive Romano, monastero retto da un certo abate Adeodato.
Questa scomparsa quasi totale di Benedetto terminerà, in capo a tre anni, con l’episodio di due incontri preparati dalla Provvidenza.
Dapprima un prete dei dintorni riceve dal cielo la rivelazione della sua presenza e l’ordine di portargli il pranzo pasquale. In seguito alcuni pastori lo scoprono e, dopo averlo preso per un animale, si accorgono della sua santità. Si instaura allora uno scambio: essi gli portano da mangiare ed egli dà loro buoni consigli. Fermiamoci qui.
Questi pochi avvenimenti formano già un ciclo completo che dobbiamo osservare e comprendere. Parecchie volte, in effetti, questo ciclo si ripeterà a Subiaco. Esso è sempre scandito su tre tempi successivi: prima una tentazione, poi una reazione eroica, e infine un irraggiamento. Ecco gli schemi del p. de Vogüé (pp. 25-26) [1]:
1. Una tentazione impura; una reazione eroica (tra le spine); la fama di santo.
2. Tentazione del potere (abate a Vicovaro); reazione eroica (abbandona il monastero); fondatore dei monasteri di Subiaco.
Attraverso questi passaggi, scanditi da altrettanti fatti prodigiosi, Benedetto diventa monaco in certo modo completo, maturo per altre esperienze. Altri cinque fatti prodigiosi, sempre a Subiaco, lo fanno rassomigliare ad altrettanti personaggi biblici. Il papa Gregorio è particolarmente interessato alla somiglianza di ogni miracolo con un prodigio della storia sacra.
L’acqua che scaturisce dalla roccia ricorda Mosè; il ferro ripescato nell’acqua fa pensare ad Eliseo; Mauro che cammina sulle acque evoca l’apostolo Pietro. Il pane portato via da un corvo obbediente gli ricorda Elia; le lacrime versate sulla morte di un nemico – il prete Fiorenzo – fanno rassomigliare Benedetto al re Davide. In tal modo si costituisce una serie di cinque fatti che evocano altrettanti personaggi biblici: Mosè, Eliseo, Pietro, Elia, Davide. Tutti questi miracoli sono opera di un solo taumaturgo: il monaco Benedetto. Il diacono Pietro dei Dialoghi può concludere che veramente il santo monaco di Subiaco era pieno dello Spirito di tutti i giusti. Nulla meglio di questa formula mostra il disegno del narratore, che celebra il santo del suo secolo, il secolo VI, unicamente per orientare l’attenzione del lettore verso la Sacra Scrittura. La vita di Benedetto – conclude il de Vogüé (p. 35), come l’insieme dei Dialoghi, di cui costituisce il centro – l’intero libro secondo – è l’Antico e il Nuovo Testamento resi presenti, attualizzati, prolungati fino al secolo del papa Gregorio Magno e dei cristiani per i quali egli scrive.
Portiamoci ora per una breve sosta a Montecassino, dove san Benedetto salì intorno al 529, come abbiamo detto, e dove fondò il celebre monastero, più volte distrutto durante i secoli e sempre risorto. Lo stabilirsi di Benedetto a Montecassino, come osserva ancora il p. de Vogüé (pp. 36 sgg.), è accompagnato da una azione evangelizzatrice su una popolazione rurale pagana in gran parte. Arrivando su questa altura, il santo vi trova il tempio di Apollo – dice Gregorio, ma forse si tratta del tempio di Giove – e i boschi sacri consacrati al culto del demonio, al quale una folla di infedeli, ancora a quel tempo, rendeva culti sacrileghi.
L’azione violenta di Benedetto, che spezza l’idolo e taglia i boschi sacri, ricorda non solo gli ordini di distruzione dell’Antico Testamento, ma anche le campagne missionarie di san Martino nella Gallia del IV secolo. Si può ben essere certi che questo modello di monaco, divenuto poi vescovo di Tours sia presente alla mente di san Benedetto: infatti egli dedica a san Martino l’oratorio che sostituirà il tempio di Apollo, mentre a san Giovanni Battista dedicò un altro oratorio situato in cima al monte. L’azione antipagana di Benedetto colpisce Satana, l’ispiratore dei culti idolatrici, che si fa autore di una serie di tiri mancini: immobilizza una pietra che i fratelli non riescono a muovere, provoca un incendio illusorio che sembra mandare a fuoco la cucina e fa crollare un muro che schiaccia un piccolo monaco. Ogni volta Benedetto rimedia con la preghiera; anche il monachino torna al suo lavoro sano e salvo.
In queste occasioni Benedetto appare come uomo di preghiera; risolve tutte le difficoltà con la preghiera. Ma i tre episodi demoniaci non sono che una introduzione al periodo cassinese che comprenderà almeno ventiquattro episodi meravigliosi disposti in buon ordine: ai dodici miracoli di conoscenza si succederanno dodici miracoli operativi. Benedetto non soltanto è il profeta che discerne l’invisibile e prevede l’avvenire; è anche l’amico di Dio, la cui parola, il cui gesto od anche il semplice sguardo hanno una efficacia imprevedibile.
Solo l’ultimo di questi miracoli di potenza si compirà non come Benedetto vuole, ma contro la sua volontà, in virtù del potere superiore di Scolastica, che in occasione dell’ultimo incontro con il fratello ottiene dal cielo una tempesta che favorisce il protrarsi del colloquio (cfr. de Vogüé, p. 38).
Dall’insieme della narrazione gregoriana la vita di san Benedetto è quella di un santo che non ha altro scopo di condurre altri alla santità.
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Traiamo alcune considerazioni pratiche. San Benedetto è prima di tutto un uomo che cerca Dio, il cercatore di Dio: vuole Dio, vuole vivere di Dio, di Dio solo. Ha chiaro il fine primo ed ultimo, essenziale, della sua vita: Dio.
Ha tanta chiarezza dentro. La chiarezza! Chiarezza di ideali, di principi, di valori. Idee chiare. Ha chiaro cosa vuole, e dove vuole arrivare.
Questa è la prima condizione della PACE.
Senza chiarezza interiore non ci sono le condizioni della pace.
Ce lo dice bene il tempo di confusione in cui viviamo, dove tutto è fluido, liquido, senza contorni… e così, spesso, un passo vale l’altro, non ci si definisce, non si prende posizione.
Invece, chiarirci dentro chi siamo e cosa vogliamo di più vero e di più santo è il primo passo per la pace. Ovviamente, una chiarezza che ha a cuore il prossimo; non una chiarezza contro gli altri!
Benedetto è chiaro, deciso, determinato.
Di fronte al male, alla corruzione di Roma, il giovane di Benedetto non tarda a definirsi, a prendere posizione chiara, a dire con la vita da che parte sta.
Benedetto messo di fronte al male, fa una scelta netta e retta, grande: sceglie il bene, e tutto il bene. Una prospettiva limpida, pulita, senza compromessi. Taglia con il male, subito, netto, saldo.
Benedetto di fronte alla cultura di morte sceglie la vita, la libertà. Fugge il male per custodire la vita. Fugge la corruzione, la mondanità, le lusinghe subdole di un orizzonte maligno che può incantare anche un giovane di belle speranze… lui dice subito un no deciso al disordine che lo circonda. “Fuggire quel mondo che si leva contro Dio per cercare Dio equivale a cercare il vero volto dell’uomo, volere la salvezza dell’uomo, porre le basi del vero umanesimo, quello portato da Gesù Cristo” [2].
Rifiutando il male, Benedetto sceglie da subito nettamente il bene, la vita. Ogni scelta, anche piccola, che non è per la vita, per il bene, mortifica la nostra anima.
Come figlie e figlie di san Benedetto, nelle nostre scelte, dobbiamo chiedere al Signore il dono della luce interiore, che ci fa prendere le distanze dal male; da ogni male, anche piccolo. Anche i piccoli compromessi offuscano l’anima!
“Un gioco efficace del nemico è sempre quello di sfumare, confondere i contorni delle cose, rendere impossibile la scelta” [3].
Se cerchiamo Dio, se vogliamo Dio, non possiamo tergiversare, fare un passo avanti e uno indietro, per compiacenza.
Dobbiamo sempre dire un sì vero e chiaro alla vita, cercando le vere risposte dentro di noi. Perché le risposte dentro di noi ci sono già! Dobbiamo ascoltarci, riferendoci a Dio. E le risposte chiare ci arrivano! La scelta è già dentro di noi.
Benedetto ha detto NO al male e SI’ al bene. Di passo in passo, di sì in sì, si diventa santi.
Chi sceglie il bene, irradia il bene, contagia di bene il contesto in cui vive.
Teniamo presente questo carattere dominante di Benedetto della CHIAREZZA. Che fugge il male e la menzogna. Benedetto sventa la menzogna, che illude e intrappola: la sventa dentro di sé (rinuncia alla carriera, all’effimero, ad ogni pretesa o idolo), per poi diventare capace, come padre nello Spirito, di aiutare gli altri di fare questo lavoro di liberazione.
Benedetto prende le distanze da tutto ciò che non è vero, che è senza sostanza. Distanza anche dagli affetti cari ma che legano a sé, che chiudono, restringono, e non liberano il cuore, non dilatano alla carità (vedi il rapporto con la balia).
Benedetto non cede ai ricatti affettivi, agli accomodamenti facili e allettevoli, e diventa VIR DEI, uomo di Dio. La lotta lo forgia e lo libera. Lo rende libero per Dio!
Ecco, questa chiarezza e libertà interiore profonda, che non si fa sconti, direi che è la condizione della vera PACE.
La pace vera nasce dal cuore e libera il cuore.
Non c’è vera pace dove si scende a patti con il conformismo, per non suscitare reazioni o dissensi…
Pace è verità di sé, e custodire la sostanza più vera dell’essere, senza alterarne il segreto.
Tutti i santi hanno fatto così. Nessuno di loro ha scelto Dio e il mondo. Aut – aut. Non ci sono compromessi. O sei tutto di Dio, o non puoi… non si può fare: “un po’ a destra, un po’ a sinistra”… bisogna scegliere e decidersi tutti per Dio, o niente, non se ne fa nulla, non funziona.
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Facciamo a questo punto un esame di coscienza sulla nostra vita.
Benedetto l’ha proprio persa la faccia di fronte al mondo. Non ha avuto paura. E questa è stata la sua pace, la vera fonte della pace in lui.
Ed eccolo, libero da tutto e da tutti, nella grotta di Subiaco. Nascosto. Custodito da Dio. Nel silenzio più profondo. Benedetto pensa a Dio, si cura di Dio, ed ecco che Dio pensa a lui, si cura di lui, attraverso l’attenzione del monaco Romano.
Se non ci preoccupiamo troppo di noi, e pensiamo più a Dio che a noi, ecco che Dio si fa carico di noi, si prende somma cura di noi. Se ci piangiamo addosso e ci commiseriamo, ci ripieghiamo sul nostro io, già ci pensiamo noi a noi stessi… e Dio se ne sta in silenzio. Viviamo di Dio, e Dio… si precipita a sostenerci con la Sua Provvidenza! Ed è vera pace del cuore.
Custodito dalla comunione e dall’amicizia del fratello Romano, Benedetto cresce in santità e grazia. Naturalmente lo speco di Subiaco è luogo di presenza di Dio, dove Benedetto vive giorno e notte sotto gli occhi di Dio, ma è anche centro delle insidie del diavolo. E il giovane Benedetto vive la lotta spirituale in tutta la sua tensione e sofferenza. Ma, con la grazia di Dio, e con la sua libertà decisa, che mette in atto, Benedetto vince il maligno, ed esce vittorioso dalla tentazione. Vince il male in sé, con i suoi tentacoli, ed è pronto per nuove lotte.
E viene Vicovaro, con le sue lusinghe e meschinità. Monaci corrotti tentano di irretire Benedetto, di sfruttare la sua ‘fama di santità’, persino, di sfruttarlo per i loro fini, senza convertirsi. Ma Benedetto non ci sta. Anche qui taglia, spezza il legaccio maligno, sventa il male. Non copre i vizi, non fa il diplomatico. Dove non c’è soluzione per un cambio di vita, dove non si vuole la conversione, lui lascia perdere… non fa il salvatore ad oltranza. Fugge da ogni meschinità, fugge ogni ombra. Ci dice che l’uomo di Dio è libero, libero dalle ombre e da ogni mescolanza con la corruzione.
Non gli importa nulla della sua popolarità, del fatto che non sia compreso, seguito, applaudito. Ogni suo passo è davanti a Dio, come a uno specchio, ed egli risponde alla limpidezza della sua coscienza.
È così che san Benedetto costruisce la pace, e contribuisce alla grande causa della pace.
La pace dentro, ancora una volta, che non cede ai disordini, alla mondanità, agli imborghesimenti che appesantiscono l’anima ed ottundono la luce interiore.
Pace dentro, pulita, limpida, perché fuori il sole splenda.
Verifichiamo la nostra vita e condotta.
Finché non comprendo che la vera pace parte da qui, e si fonda qui, nell’intimo, nell’anima, io non lavorerò davvero a ripulire la storia. Io non sarò veramente libero per la missione.
Benedetto, uomo di Dio, non ha avuto paura di rimetterci.
Si è giocato tutto, davanti a Dio, ma ha così ritrovato sé stesso, il vero Benedetto, e, vincendo il mondo, lo ha reso più degno, più bello, più santo.
Come benedettini siamo chiamati anche noi a giocarci così, a questo livello.
E Benedetto ha scelto la stabilità dello speco. Abitando al centro del suo cuore, vero, autentico, puro, senza condizioni.
Nell’umiltà della grotta ha visto la luce, e l’ha abbracciata, senza sconti.
Ma questa radicalità così bella e pulita lo ha poi dilatato, come possibilità di donarsi, a confini ben più ampi dell’angusta grotta.
Nello speco egli si è custodito, nascosto ai clamori, alle voci vane, ai rumori del mondo, amplificando la sua capacità di ascoltare, di restare in ascolto di Dio… è diventato stabile dentro, nella grotta… e questa stabilità, proprio questo restare, è stato il grande trampolino di lancio verso il mondo nuovo: il cenobio, la comunione dei cuori, il mondo nuovo del Vangelo!
Stabilità, trampolino di lancio per la vera pace!
Noi benedettini facciamo voto si stabilità. Non è uno scherzo. Costa restare stabili. E lo sappiamo che non è solo una questione di luogo!
Stabili, in un mondo che fluttua e oscilla da ogni parte… stabili, in un mondo in frantumi…
Stabili dentro. La pace nel cuore!
Voi Oblati/e vi legate fermamente a un monastero, con l’Oblazione: a un monastero specifico. In questo SI’ stabile si fonda la vostra pace. Non girando di qua e di là, ma approdando, attingendo, riferendovi. E il monastero è un riferimento, come un porto sicuro e forte, che vi custodisce e garantisce, nel Signore, lungo il cammino della vita.
Certo, la barchetta della nostra vita può sbandare… ma, se facciamo oblazione in un monastero preciso, lì ci sarà un faro per noi; un faro che ci riporta sempre alla riva, al porto, anche quando rischiamo di perderci in alto mare. Dipende però da noi tenere la rotta, non perdere la bussola, riferirci con costanza, restare saldi.
Nel nostro stato di vita, nell’adesione a Cristo, in ogni scelta di vita, nei Sacramenti che abbiamo ricevuto, nei voti professati, nelle promesse del nostro Battesimo, qui si fonda la pace.
Una pace che abita il cuore dal di dentro, e lo lavora, purificandolo, alla presenza continua di Dio. Un Dio che ci sostiene.
Una pace che abbraccia, dal cuore, il mondo, e lo irrora di vita nuova: la potenza del Vangelo!
Questo ha fatto san Benedetto, giovane monaco, con la sua vita. Questo chiede a noi suoi figli. È una sfida praticabile. Coraggiosa, vera, ardita, ma per la libertà.
Correrla, questa sfida, è abbracciare la vita. Non viverla, è già lasciarsi morire, in un mondo malato e intossicato, che ci inghiotte.
Cosa vogliamo fare?!
[1] Aldalbert DE VOGÜÉ, San Benedetto. L’uomo e l’opera, Abbazia S. Benedetto, Seregno (Mi) 2001 (Orizzonti monastici, 27). L’autore, già monaco benedettino dell’abbazia di La-Pierre-qui-Vire (Francia), è stato insigne studioso di san Benedetto.
[2] Madre Monica della Volpe, meditazione tenuta all’Incontro Formatori Monastici, Vitorchiano, luglio 2022.
[3] Ibidem.
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