Incontro Oblati
6 novembre 2022
La pace nella vita di san Benedetto
San Benedetto giovane
In questo incontro vogliamo sottolineare qualche spunto dell’apporto personale, dello stile caratteristico di san Benedetto giovane per quanto riguarda la PACE, in piena continuità con quanto era stato espresso nello scorso incontro di ottobre. Prima di parlare della pace in senso cosmico, planetario, mondiale, tra popoli e nazioni, è importante – e questo è tipico del monachesimo – partire dalla pace del cuore. La radice della pace è nel cuore.
Oggi facciamo un passettino in più, giusto un piccolo passo. Ci limitiamo ad alcune considerazioni, fondamentali, però, sulla vita del giovane san Benedetto.
Come ha vissuto, Benedetto giovane, nella freschezza della sua giovinezza, nella sua piccola vita che è diventata grande, la pace?!
Come ha fatto pace dentro di sé, per poi donare la pace?
Prendo spunto da un contributo di un compianto monaco benedettino, studioso e docente di storia medioevale
GIORGIO PICASSO O.S.B.
San Benedetto, patriarca d’Occidente
e patrono d’Europa
Estratto da “Brixia Sacra”, XI (2006), Fasc. 1, Associazione per la storia della Chiesa bresciana.
Qual è dunque l’itinerario tracciato dalla vita di Benedetto?
Quello di un giovane cristiano di famiglia agiata, che i genitori, residenti a Norcia, a nord di Roma, hanno inviato nella capitale perché compia i suoi studi e si prepari a una carriera secolare, ma che prende in avversione i costumi troppo liberi dell’ambiente studentesco e decide di abbandonare Roma, con l’intenzione di dedicare la vita al servizio di Dio.
Ed ora qualche considerazione su Benedetto monaco a Subiaco.
Rompendo così con i progetti dei suoi genitori, il giovane non sembra si sia preoccupato di ottenere il loro permesso e nemmeno di informarli. Radicale è la sua rottura, non soltanto con il mondo, ma perfino con quelli che l’hanno messo al mondo. Tuttavia, partendo per le montagne a est di Roma, mantiene ancora un legame con la famiglia: la sua nutrice, che viveva con lui a Roma, lo accompagna in questa prima tappa. Governante e madre insieme, questa persona è la prima figura femminile di una storia in cui le donne interverranno a più riprese, talvolta in modo decisivo.
Senza volerlo, la nutrice provocherà uno di quei mutamenti improvvisi e profondi che scandiscono la vita di Benedetto. Dirigendosi a est di Roma, il giovane e la donna si sono fermati nel villaggio di Enfide (oggi Affile), a circa sessanta chilometri dalla città, e là vivono della carità di alcuni cristiani agiati. Avendo preso a prestito un vaglio per setacciare il grano, la nutrice lo lascia cadere ed esso si rompe. Le lacrime di questa donna desolata commuovono Benedetto, che si raccoglie in preghiera e ottiene la riparazione miracolosa dell’oggetto rotto. Allora l’ammirazione generale che questo primo miracolo aveva provocato suscita in lui una nuova reazione radicale: per sottrarsi alla venerazione degli abitanti di Affile, Benedetto lascia segretamente il villaggio, senza neppure salutare la nutrice, e si dirige verso Subiaco, un po’ più a nord, dove desidera scomparire agli occhi di tutti nella solitudine. Con l’aiuto di un monaco incontrato sul posto, che si chiama Romano, Benedetto si stabilisce in una grotta, dove vivrà da solo per tre anni, sconosciuto a tutti. Romano, l’unico al corrente della sua presenza, gli garantisce il nutrimento calandogli dall’alto, mediante una corda, un po’ di pane prelevato segretamente dalla propria razione. Al di sopra della grotta infatti si trova il monastero in cui vive Romano, monastero retto da un certo abate Adeodato.
Questa scomparsa quasi totale di Benedetto terminerà, in capo a tre anni, con l’episodio di due incontri preparati dalla Provvidenza.
Dapprima un prete dei dintorni riceve dal cielo la rivelazione della sua presenza e l’ordine di portargli il pranzo pasquale. In seguito alcuni pastori lo scoprono e, dopo averlo preso per un animale, si accorgono della sua santità. Si instaura allora uno scambio: essi gli portano da mangiare ed egli dà loro buoni consigli. Fermiamoci qui.
Questi pochi avvenimenti formano già un ciclo completo che dobbiamo osservare e comprendere. Parecchie volte, in effetti, questo ciclo si ripeterà a Subiaco. Esso è sempre scandito su tre tempi successivi: prima una tentazione, poi una reazione eroica, e infine un irraggiamento. Ecco gli schemi del p. de Vogüé (pp. 25-26) [1]:
1. Una tentazione impura; una reazione eroica (tra le spine); la fama di santo.
2. Tentazione del potere (abate a Vicovaro); reazione eroica (abbandona il monastero); fondatore dei monasteri di Subiaco.
Attraverso questi passaggi, scanditi da altrettanti fatti prodigiosi, Benedetto diventa monaco in certo modo completo, maturo per altre esperienze.
Altri cinque fatti prodigiosi, sempre a Subiaco, lo fanno rassomigliare ad altrettanti personaggi biblici. Il papa Gregorio è particolarmente interessato alla somiglianza di ogni miracolo con un prodigio della storia sacra.
L’acqua che scaturisce dalla roccia ricorda Mosè; il ferro ripescato nell’acqua fa pensare ad Eliseo; Mauro che cammina sulle acque evoca l’apostolo Pietro. Il pane portato via da un corvo obbediente gli ricorda Elia; le lacrime versate sulla morte di un nemico – il prete Fiorenzo – fanno rassomigliare Benedetto al re Davide. In tal modo si costituisce una serie di cinque fatti che evocano altrettanti personaggi biblici: Mosè, Eliseo, Pietro, Elia, Davide. Tutti questi miracoli sono opera di un solo taumaturgo: il monaco Benedetto. Il diacono Pietro dei Dialoghi può concludere che veramente il santo monaco di Subiaco era pieno dello Spirito di tutti i giusti. Nulla meglio di questa formula mostra il disegno del narratore, che celebra il santo del suo secolo, il secolo VI, unicamente per orientare l’attenzione del lettore verso la Sacra Scrittura. La vita di Benedetto – conclude il de Vogüé (p. 35), come l’insieme dei Dialoghi, di cui costituisce il centro – l’intero libro secondo – è l’Antico e il Nuovo Testamento resi presenti, attualizzati, prolungati fino al secolo del papa Gregorio Magno e dei cristiani per i quali egli scrive.
Portiamoci ora per una breve sosta a Montecassino, dove san Benedetto salì intorno al 529, come abbiamo detto, e dove fondò il celebre monastero, più volte distrutto durante i secoli e sempre risorto. Lo stabilirsi di Benedetto a Montecassino, come osserva ancora il p. de Vogüé (pp. 36 sgg.), è accompagnato da una azione evangelizzatrice su una popolazione rurale pagana in gran parte. Arrivando su questa altura, il santo vi trova il tempio di Apollo – dice Gregorio, ma forse si tratta del tempio di Giove – e i boschi sacri consacrati al culto del demonio, al quale una folla di infedeli, ancora a quel tempo, rendeva culti sacrileghi.
L’azione violenta di Benedetto, che spezza l’idolo e taglia i boschi sacri, ricorda non solo gli ordini di distruzione dell’Antico Testamento, ma anche le campagne missionarie di san Martino nella Gallia del IV secolo. Si può ben essere certi che questo modello di monaco, divenuto poi vescovo di Tours sia presente alla mente di san Benedetto: infatti egli dedica a san Martino l’oratorio che sostituirà il tempio di Apollo, mentre a san Giovanni Battista dedicò un altro oratorio situato in cima al monte. L’azione antipagana di Benedetto colpisce Satana, l’ispiratore dei culti idolatrici, che si fa autore di una serie di tiri mancini: immobilizza una pietra che i fratelli non riescono a muovere, provoca un incendio illusorio che sembra mandare a fuoco la cucina e fa crollare un muro che schiaccia un piccolo monaco. Ogni volta Benedetto rimedia con la preghiera; anche il monachino torna al suo lavoro sano e salvo.
In queste occasioni Benedetto appare come uomo di preghiera; risolve tutte le difficoltà con la preghiera. Ma i tre episodi demoniaci non sono che una introduzione al periodo cassinese che comprenderà almeno ventiquattro episodi meravigliosi disposti in buon ordine: ai dodici miracoli di conoscenza si succederanno dodici miracoli operativi. Benedetto non soltanto è il profeta che discerne l’invisibile e prevede l’avvenire; è anche l’amico di Dio, la cui parola, il cui gesto od anche il semplice sguardo hanno una efficacia imprevedibile.
Solo l’ultimo di questi miracoli di potenza si compirà non come Benedetto vuole, ma contro la sua volontà, in virtù del potere superiore di Scolastica, che in occasione dell’ultimo incontro con il fratello ottiene dal cielo una tempesta che favorisce il protrarsi del colloquio (cfr. de Vogüé, p. 38).
Dall’insieme della narrazione gregoriana la vita di san Benedetto è quella di un santo che non ha altro scopo di condurre altri alla santità.
Facciamo a questo punto un esame di coscienza sulla nostra vita.
Custodito dalla comunione e dall’amicizia del fratello Romano, Benedetto cresce in santità e grazia. Naturalmente lo speco di Subiaco è luogo di presenza di Dio, dove Benedetto vive giorno e notte sotto gli occhi di Dio, ma è anche centro delle insidie del diavolo. E il giovane Benedetto vive la lotta spirituale in tutta la sua tensione e sofferenza. Ma, con la grazia di Dio, e con la sua libertà decisa, che mette in atto, Benedetto vince il maligno, ed esce vittorioso dalla tentazione. Vince il male in sé, con i suoi tentacoli, ed è pronto per nuove lotte.
Verifichiamo la nostra vita e condotta.
Finché non comprendo che la vera pace parte da qui, e si fonda qui, nell’intimo, nell’anima, io non lavorerò davvero a ripulire la storia. Io non sarò veramente libero per la missione.
Stabilità, trampolino di lancio per la vera pace!
Cosa vogliamo fare?!
[1] Aldalbert DE VOGÜÉ, San Benedetto. L’uomo e l’opera, Abbazia S. Benedetto, Seregno (Mi) 2001 (Orizzonti monastici, 27). L’autore, già monaco benedettino dell’abbazia di La-Pierre-qui-Vire (Francia), è stato insigne studioso di san Benedetto.
[2] Madre Monica della Volpe, meditazione tenuta all’Incontro Formatori Monastici, Vitorchiano, luglio 2022.
[3] Ibidem.
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