Per ogni Comunità monastica benedettina il dono di Sacerdoti Oblati, che desiderano, per pura grazia e mozione interiore, vivere l’Oblazione benedettina come “perla preziosa” del loro Sacerdozio, è un regalo inestimabile.
Di più, per le Benedettine del SS. Sacramento questo dono può venire solo dall’alto, dal Dio che sempre, misteriosamente, come Lui solo sa e dispone, ci sorprende. Per noi, monache votate all’adorazione perpetua, ad essere, in Cristo, piccole ostie offerte con Lui sull’altare e nella donazione piena, il bene e l’aiuto di fratelli nel Sacerdozio che condividano la nostra Regola ed il nostro carisma è un meraviglioso segno della fiducia di Dio:
Da qui possiamo capire cosa siano mai dei Sacerdoti Oblati, associati alla nostra Comunità, in cammino con noi verso la santità del Regno, e insieme pienamente coinvolti nella lode e nel servizio che trasforma già la nostra terra nel regno di Dio, presente in mezzo a noi.
Il Sacerdote, in sé, è già un Oblato, per virtù e ad imitazione di Cristo: oblatus est!
Ma il Sacerdote che chiede e sceglie l’Oblazione benedettina domanda, con questa forma di speciale appartenenza, di vivere ancor più profondamente il dono del suo sacerdozio, aiutato dalla preghiera e dall’accompagnamento della Comunità benedettina.
Se il Sacerdote Oblato vive il suo dono nella Chiesa anche per la Comunità monastica, sempre riferito e rapportato alla Comunità, di cui assimila la vita e lo spirito, tutta la Comunità, a sua volta, riceve dal ministero del fratello Sacerdote Oblato un aumento di grazie e un rinnovamento progressivo della sua missione: in ogni S. Messa da lui celebrata, attraverso la sua preghiera, la sua paternità, il suo servizio pastorale.
Per questo noi monache, e la famiglia intera degli Oblati/e, siamo chiamati insieme a pregare intensamente per il dono di Sacerdoti Oblati, a offrire con loro e per loro i nostri sacrifici, e a rendere grazie per la loro presenza in mezzo a noi.
Solo in Cielo capiremo la portata di questa santa alleanza, anche se già sulla terra ne vediamo e cogliamo i frutti, entro la circolarità del corpo mistico.
Ci chiediamo:
1. PERCHÉ il Sacerdote Oblato Benedettino del SS. Sacramento?
Che bisogno ha il Signore, che bisogno ha la Chiesa di questo tipo di Sacerdote?
2. CHI È, come si DEFINISCE, quali sono i tratti caratteristici del Sacerdote nostro Oblato?
Leggiamo innanzitutto la nuova edizione del Direttorio per il ministero e la vita dei Presbiteri (11 febbraio 2013), della Congregazione per il Clero, laddove presenta, in relazione al Dio-Trinità, la
grandezza del ministro ordinato, indipendentemente dalle sue capacità e dai suoi talenti, dai suoi limiti e dalle sue miserie. È questo che induce Francesco d'Assisi a dichiarare nel suo Testamento: «E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io discerno il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo, che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri». Quel Corpo e quel Sangue che rigenerano l'umanità.
La grandezza del ministro ordinato – “in essi io discerno il Figlio di Dio” – è uno stato ontologico, un dono ricevuto dall’alto, che cambia sostanzialmente l’essere della persona in causa, ma insieme implica un cammino continuo e costante, lungo la vita ed il ministero: comporta una ricerca fedele del Signore nello stato di vita sacerdotale e nella consapevolezza sempre nuova rispetto al dono ricevuto; un rinnovamento dinamico dell’essere e dell’operare, una crescita stabile e progressiva della sua identità sacerdotale, verso il Cristo e verso la Chiesa.
In una parola: il Sacerdote non può mai essere fermo. Mai sentirsi arrivato, perché è Sacerdote. Il Sacerdote è per la santità. E la santità la si tesse giorno per giorno, con pazienza e costanza, fidandosi assolutamente del Signore.
San Benedetto parla del monaco come del cercatore di Dio per eccellenza (cfr. RB 58, 7): “…se egli cerca veramente Dio”.
Il Sacerdote Oblato sarà, prima di tutto e per tutta la vita, un appassionato, instancabile cercatore di Dio, per vivere la santità del suo ministero: e, nella misura in cui cercherà autenticamente il Signore, attraverso la ricchezza e profondità della sua vita interiore, sarà pastore, sarà padre e fratello, aiuterà sempre più le anime a nutrirsi di Cristo, a fidarsi di Lui, Buon Pastore.
Non si diventa in primo luogo, da Sacerdote, Oblato benedettino per un bisogno di comunione nella Chiesa. Non ci si aggrega spiritualmente ad un cenobio per un bisogno di fraternità, ma di santità.
Si chiede di diventare Sacerdote Oblato perché l’appartenenza a una specifica Comunità monastica offre al proprio ministero un cammino limpido di santità, secondo lo stile benedettino: nella fedeltà alla Regola di san Benedetto, nella regolarità del cammino spirituale e della vita, nell’obbedienza, nell’umiltà, nella preghiera come lode perenne della vita, nella consacrazione a Maria, che per noi è Abbadessa.
L'ammissione all'oblazione
L’ammissione all’oblazione prevede, concretamente, una domanda precisa e scritta, formulata dall’interessato e rivolta alla Madre Priora, la quale è la prima responsabile di questo cammino di ricerca e di adesione. Questo comporta:
In questo cammino preciso di santità Sacerdotale, affiancandosi in concreto e partecipando da vicino al vissuto della Comunità monastica, il presbitero Oblato può sperimentare al meglio quella che il Direttorio chiama la dimensione ontologica della preghiera, così importante per un ministro sacro:
Un altro punto importante su cui comunemente poco si insiste, ma da cui procedono tutte le implicazioni pratiche, è quello della dimensione ontologica della preghiera, in cui occupa un ruolo speciale la Liturgia delle Ore. Si accentua spesso come essa sia, sul piano liturgico una sorta di prolungamento del sacrificio eucaristico (Sal 49: «Chi offre la lode in sacrificio, questi mi onora»), e su quello giuridico un dovere imprescindibile. Ma nella visione teologica del sacerdozio ordinato come partecipazione ontologica alla "capitalità" di Cristo, la preghiera del ministro sacro, a prescindere dalla sua condizione morale, è a tutti gli effetti preghiera di Cristo, con la medesima dignità e la medesima efficacia. Inoltre essa, con l'autorità che i Pastori hanno ricevuto dal Figlio di Dio di "impegnare" il Cielo sulle questioni decise sulla terra a beneficio della santificazione dei credenti (Mt 18,18), soddisfa pienamente il comando del Signore di pregare sempre, in ogni momento, senza stancarsi (cf. Lc 18,1; 21,36). È questo un punto su cui è bene insistere. «Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta» (Gv 9,31). Ora, chi più di Cristo in persona onora il Padre e compie perfettamente la sua volontà? Se dunque il sacerdote agisce in persona Christi in ogni sua attività di partecipazione alla redenzione – con le debite differenze: nell'insegnamento, nella santificazione, nel guidare i fedeli a salvezza – niente della sua natura peccatrice può offuscare la potenza della sua preghiera. Questo, ovviamente, non deve indurci a minimizzare l'importanza di una sana condotta morale del ministro (come di ogni battezzato, del resto), la cui misura deve essere invece la santità di Dio (cf. Lv 20,8; 1 Pt 1,15-16); piuttosto, serve a sottolineare come la salvezza viene da Dio e come Egli ha bisogno dei sacerdoti per perpetuarla nel tempo, e come non occorrano complicate pratiche ascetiche o particolari forme di espressione spirituale perché tutti gli uomini possano godere, anche attraverso la preghiera dei pastori, scelti per loro, degli effetti benefici del sacrificio di Cristo. […] La formazione specifica del sacerdote, dunque, poiché egli è, come abbiamo detto sopra, una sorta di "co-creatore", richiede un abbandono del tutto singolare all'opera dello Spirito Santo, evitando, pur nella valorizzazione dei propri talenti, di cadere nel pericolo dell'attivismo, del ritenere che l'efficacia della propria azione pastorale dipenda dalla personale bravura. Un punto questo che, ben considerato, può certamente dare fiducia a quanti, in un mondo ampiamente secolarizzato e sordo alle istanze della fede, facilmente potrebbero scivolare nello scoraggiamento, e da questo nella mediocrità pastorale, nella tiepidezza e, in ultimo, nella messa in discussione di quella missione che avevano in principio accolto con tanto sincero entusiasmo.
Senza questa ‘dimensione ontologica della preghiera’, senza questo respiro orante, nella creatività della potenza dello Spirito, che pervade i giorni e trasforma la vita del presbitero, il Sacerdozio si avvilisce, si incrina, si spegne, muore. La preghiera è una necessità assoluta per il prete, è il suo ossigeno: e l’Oblazione custodisce in modo peculiare la vita di preghiera del ministro.
Il Sacerdote Oblato benedettino è chiamato alla santità, e alla vita di preghiera; a trasformare in vita la sua preghiera, nel primato della vita interiore: è chiamato anche lui, anche se in misura differente dalle Sorelle del monastero, a vivere lo “spirito di orazione che darà loro la chiave dei tesori della scienza e della gloria di Dio rinchiusi e nascosti nel Santissimo Sacramento” [1]. Se Il Sacerdote non prega, non cammina, non avanza, non ci sarà la gioia, ed egli non sarà mai un prete santo e irradiante santità.
Così il Direttorio:
La spiritualità del sacerdote consiste principalmente nel profondo rapporto di amicizia con Cristo, poiché egli è chiamato ad «andare da Lui» (Mc 3,13). In questo senso, nella vita del sacerdote Gesù avrà sempre la preminenza su tutto. Ogni sacerdote agisce in un contesto storico particolare, con le sue varie sfide ed esigenze. Proprio per questo, la garanzia di fecondità del ministero radica in una profonda vita interiore. Se il sacerdote non conta sul primato della grazia, non potrà rispondere alle sfide dei tempi, e ogni piano pastorale, per quanto elaborato possa essere, sarebbe destinato al fallimento.
Pertanto, il nostro Sacerdote Oblato, oltre ad adempiere fedelmente i doveri di preghiera propri dello stato sacerdotale, coltiverà un amore speciale per l’Opus Dei, la lectio divina coltivata con amore, praticata con cura e meditata, approfondita nel cuore ogni giorno (utilizzando e valorizzando quotidianamente, secondo il calendario annuale, il testo della Regola e delle nostre Costituzioni/Dichiarazioni) per la vita! [2]; coltiverà un amore preferenziale per la liturgia, per il servizio divino, per la spiritualità proprio del mondo benedettino, unendosi con il cuore e nello spirito all’ufficiatura monastica: senza obbligo di questa, ma certamente nel desiderio di lasciarsi formare spiritualmente da tutta la vita liturgica.
Così il Direttorio:
Un modo fondamentale per il sacerdote di stare dinanzi al Signore è la Liturgia delle Ore: in essa preghiamo da uomini bisognosi del dialogo con Dio, dando voce e supplendo anche a tutti coloro che forse non sanno, non vogliono o non trovano il tempo per pregare.n. 74
E ancora:
Forte dello speciale legame con il Signore, il presbitero saprà affrontare i momenti in cui potrebbe sentirsi solo in mezzo agli uomini, rinnovando con forza il suo stare con Cristo nell'Eucaristia, luogo reale della presenza del suo Signore. Come Gesù, che mentre era solo stava continuamente con il Padre (cf. Lc 3,21; Mc 1,35), anche il presbitero deve essere l'uomo che, nel raccoglimento, nel silenzio e nella solitudine, trova la comunione con Dio, per cui potrà dire con S. Ambrogio: «Io non sono mai così poco solo come quando sembro di essere solo». Accanto al Signore, il presbitero troverà la forza e gli strumenti per riavvicinare gli uomini a Dio, per accendere la loro fede, per suscitare impegno e condivisione.n. 53
Inoltre, l’oblazione benedettina di un presbitero, e in particolare un’oblazione benedettina qual è quella che si vive nel nostro Istituto, con una specifica connotazione eucaristica, è finalizzata a una santità Sacerdotale eucaristica.
Santità sacerdotale per l’Eucaristia, in funzione eucaristica.
Questa centralità dell’Eucaristia è ben chiarita anche nel Direttorio, laddove traccia il programma integrale e unitario della vita spirituale del sacro ministro:
È necessario, pertanto, che nella vita di preghiera del presbitero non manchino mai la celebrazione eucaristica quotidiana, con adeguata preparazione e successivo ringraziamento; la confessione frequente e la direzione spirituale già praticata in seminario e spesso prima; la celebrazione integra e fervorosa della Liturgia delle Ore, alla quale è quotidianamente tenuto; l'esame della propria coscienza; l'orazione mentale propriamente detta; la lectio divina, i prolungati momenti di silenzio e di colloquio, soprattutto negli Esercizi e Ritiri Spirituali periodici; le preziose espressioni della devozione mariana, come il Rosario; la Via Crucis e gli altri pii esercizi; la fruttuosa lettura agiografica; ecc. Senz'altro, il buon uso del tempo, per amore di Dio e della Chiesa, permetterà al sacerdote di mantenere più facilmente una solida vita di preghiera. Di fatto, si consiglia che il presbitero, con l'aiuto del suo direttore spirituale, cerchi di attenersi con costanza a questo piano di vita che gli permetta di crescere interiormente in un contesto dove le molteplici esigenze della vita lo potrebbero indurre parecchie volte all'attivismo e a trascurare la dimensione spirituale.
Tenendo conto della ricchezza di questa solida vita di preghiera, e di tutte le possibilità ed i sussidi offerti ordinariamente al Sacerdote, l’Oblato darà speciale rilievo nel suo cammino proprio a tale centralità eucaristica, nella consapevolezza che la grazia del Sacerdozio viene dall’intimità del rapporto vivo con il Signore Gesù.
Riguardo all’Eucaristia, come forza intrinseca del Sacerdozio, il Direttorio ha espressioni meravigliose, che si sposano particolarmente con la nostra spiritualità:
Se il presbitero presta a Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, l'intelligenza, la volontà, la voce e le mani perché, mediante il proprio ministero, possa offrire al Padre il sacrificio sacramentale della redenzione, dovrà fare proprie le disposizioni del Maestro e, come Lui, vivere quale dono per i propri fratelli. Egli dovrà perciò imparare ad unirsi intimamente all'offerta, deponendo sull'altare del sacrificio l'intera vita come segno manifestativo dell'amore gratuito e preveniente di Dio. Celebrare bene l'EucaristiaIl sacerdote è chiamato a celebrare il Santo Sacrificio eucaristico, a meditare costantemente su ciò che esso significa e a trasformare la sua vita in una Eucaristia, il che si manifesta nell'amore al sacrificio quotidiano, soprattutto nell'adempimento dei propri doveri di stato. L'amore alla croce conduce il sacerdote a diventare se stesso un'offerta gradevole al Padre per mezzo di Cristo (cf. Rm 12,1). Amare la croce in una società edonistica è uno scandalo, però da una prospettiva di fede, essa è fonte di vita interiore. Il sacerdote deve predicare il valore redentore della croce con il suo stile di vita.n.67
Madre Mectilde de Bar ha voluto le Benedettine del SS. Sacramento “in una comunione tutta particolare con la persona del Figlio di Dio” [3]. Quanto più questa centralità e comunione deve valere per il Sacerdote che partecipa al nostro spirito!
Infatti, la Madre precisa:
E se noi dobbiamo credere che non c’è alcun potere al di sopra di quello che il carattere conferisce ai Sacerdoti sul Corpo e sul Sangue di Gesù nel SS. Sacramento dell’altare, possiamo anche asserire delle Religiose del Santissimo Sacramento che non c’è che la santità e la purezza del Figlio di Dio che debba collocarsi al di sopra di quella a cui la loro Professione le impegna.
Costituzioni sulla Regola di san Benedetto, Prefazione[4].
Rapportiamo questa affermazione della Madre Fondatrice al Sacerdote nostro Oblato. Come la Benedettina del SS. Sacramento, così il ministro Oblato sarà: un Sacerdote dal cuore eucaristico: innamorato dell’Eucaristia, in un rapporto sempre intenso e personale con il Signore, che incontra e che rappresenta nella celebrazione della S. Messa.
Sarà chiamato a celebrare l’Eucaristia con spirito di unione e di offerta con Cristo Eterno Sacerdote; sarà stimolato a ricevere il Cuore di Cristo, mentre offre con Lui sull’altare il Santo Sacrificio, e a far amare la Messa alla sua gente.
Madre Mectilde nel Il vero spirito ricorda a noi, sue figlie, che Gesù Cristo nella S. Messa ci sacrifica con Sé [5] e che “bisogna accostarsi all’altare con Gesù Cristo ed entrare nelle Sue disposizioni mediante Lui Stesso” [6].
Questo vale tanto più per il Sacerdote, che è già alter Christus.
L’Oblazione incide, se ci è permesso dire, sul carattere sacerdotale, una speciale marca eucaristica, di unione e di immolazione, per cui, con vero spirito benedettino, il ministro Oblato è invitato a sfuggire la smemoratezza del suo stato ed ufficio.
Il Sacerdote Oblato è chiamato, nel Santo Sacrificio dell’altare, ad offrire e ad offrirsi con il Figlio di Dio, sacrificato alla gloria del Padre; a dimorare in Lui, a divenire una cosa sola con Lui, Sacerdote e Sacrificatore: a sentire tutta la ricchezza, lo spessore ed il peso della S. Messa celebrata. A fare memoria grata, in ogni Messa, del dono ricevuto con il Sacerdozio, e a chiedere, per le virtù di Gesù Sacerdote, di restare fedele al tesoro ricevuto: di corrispondere a tutte le grazie che gli vengono elargite, a partire dall’altare, dove gli angeli adorano con lui Gesù Cristo, e con atti di rispetto ammirano l’alta dignità dei Sacerdoti [7].
Sarà la S. Messa, per il Sacerdote Oblato, il centro vivo della sua vita interiore, coltivata con amorosa cura.
Sarà la S. Messa, “viva ripresentazione del sacrificio della croce”, che farà del Sacerdote Benedettino del SS. Sacramento un riparatore particolare del non amore, delle profanazioni ed oltraggi, e di tutta l’indifferenza che ogni giorno viene tremendamente riserbata all’umiltà del nostro Dio, che dona tutto Se stesso ai Suoi figli. Il ministro Oblato supplirà con la sua fede, la sua devozione e l’amore della sua celebrazione all’odio e al disprezzo di tanta umanità verso l’Agnello immolato per noi, e sensibilizzerà i fedeli a una corrispondenza sempre più grata e vera a questo amore infinito di Dio nella S. Eucaristia.
Il Sacerdote Oblato è un adoratore.
Anche per lui, come per le figlie del SS. Sacramento, l’adorazione quotidiana sarà il prolungamento vivo e attivo della S. Messa: il tempo fecondo di grazie per i fratelli e sorelle che gli sono affidati; l’anima vera del suo apostolato, la fonte primaria della sua missione.
Trovando dei tempi eucaristici nella sua giornata, possibilmente a conclusione della sua intensa giornata pastorale, e in unione spirituale con le Sorelle del monastero, il Sacerdote Oblato suggellerà le sue energie nell’adorazione, nel cuore a cuore con Cristo, trovando lì, come l’apostolo Giovanni, la forza e la consolazione piena del suo sacerdozio. L’adorazione quotidiana rinnoverà le sue forze, per una donazione sempre gioiosa e generosa, alimenterà la sua speranza, ristorerà il suo cuore, contro ogni possibile stanchezza e delusione. A Gesù, presente e vivo nell’Eucaristia, l’Oblato porterà i dolori e le speranze, le pene e le gioie nel mondo, con cuore aperto e disponibile, veramente offerente.
Qui, nell’adorazione, il Sacerdote Oblato è chiamato a vivere in modo unico e speciale il suo “nulla anteporre all’amore di Cristo” (RB 4, 21): come Sacerdote, come anima eucaristica, come pastore e custode delle anime. La vera cura pastorale comincia e trova conferma qui: nell’adorazione, sul Cuore Eucaristico di Cristo.
Qui c’è la vera gioia del Sacerdozio. Il ministro Oblato dei nostri monasteri è chiamato a farne sempre più esperienza, e a renderne grazie, per esserne testimone.
Tutto questo renderà il nostro Sacerdote, senza ostentazione alcuna, ma nell’intimo del cuore, un riparatore anche nei confronti di altri confratelli nel Sacerdozio, che trascurano o disonorano il culto che essi debbono al Santissimo Sacramento. Il Sacerdote Oblato riparerà, con la forza d’unione della sua vita sacerdotale a Cristo, tante profanazioni e tanti oltraggi, la trascuratezza e irriverenza di tanti ministri, il rifiuto e la chiusura di altri cuori sacerdotali.
E il suo supplire a nome di chi non compie con rispetto ed amore il sacrificio eucaristico, renderà il nostro Sacerdote Oblato particolarmente vicino a Gesù Redentore e Riparatore, lo farà partecipe delle Sua sofferenze, della Sua umiltà, e gli darà a sua volta il coraggio di portare in Cristo ogni peso e sofferenza, per amore della Chiesa, Sposa ferita e oltraggiata.
Dal suo cuore e spirito eucaristico, il Sacerdote Oblato coltiverà pertanto l’umiltà e l’obbedienza, non tanto come virtù, ma come stati di vita che lo conformano e trasformano sempre più pienamente in Gesù Cristo.
L’umiltà, contemplata e partecipata nel Mistero Eucaristico, guardando l’amore infinito di Colui che si è abbassato ed è sceso nell’abisso del nostro niente, come dice la Madre Fondatrice, sarà la forza del Sacerdote Oblato. L’umiltà, nella sua vita sacerdotale, si tradurrà concretamente, per la gente, per le pecore affidate al pastore, in bontà, mansuetudine, mitezza, vicinanza, affabilità, delicatezza di cuore e di parola, sensibilità spirituale e pastorale. Tratti propri di Gesù Buon Pastore!
L’arroganza, la prepotenza, la grossolanità sono difetti veramente spiacevoli in un Sacerdote: curando la sua vita ed il suo ministero in chiave di umiltà. Tenendo presente l’esempio di vita ed il magistero del santo padre Benedetto, il Sacerdote Oblato sarà riparatore anche su questo importante fronte.
La sua riparazione impronterà di particolare significato, e quindi di fecondità, il suo stesso essere ministro di misericordia e di perdono.
Facendo egli stesso, prima di tutto, esperienza costante della bontà e misericordia di Dio ricevuti nel sacramento della riconciliazione e nella direzione spirituale [8], il ministro Oblato sarà, così, molto attento alle anime, ne avrà cura, le accompagnerà con disponibilità, sensibilità umana e discrezione, desiderando che abbiano la vita. Non disdegnerà fatiche e sacrifici pur di ricondurre all’amore di Cristo le sue pecorelle, donando con gioia in nome Suo il perdono, come richiama il Direttorio:
Nonostante la triste constatazione della perdita del senso del peccato, che è largamente presente nelle culture del nostro tempo, il sacerdote deve praticare, con gioia e dedizione, il ministero della formazione delle coscienze, del perdono e della pace.Occorre, pertanto, che egli sappia identificarsi, in un certo senso, con questo sacramento e, assumendo l'atteggiamento di Cristo, sappia chinarsi con misericordia, come buon samaritano, sull'umanità ferita, facendo trasparire la novità cristiana della dimensione medicinale della penitenza, che è in vista della guarigione e del perdono.
Sull’esempio di numerosi modelli di santi presbiteri (si pensi, per noi, a padre Celestino Maria Colombo, sboliv., o al santo Curato d’Ars, o a san Leopoldo Mandić), offrirà preghiere e sacrifici per le anime a lui affidate, le offrirà sull’altare all’amore di Cristo, le unirà alla sua offerta sacerdotale, riparando con un largo cuore pastorale le loro mancanze, portando su di sé il peso dei loro peccati e del loro soffrire, pur che tornino riconciliate nella pace del Signore.
Ma questa consapevolezza di offerta, unita alla redenzione, accrescerà grazie e meriti al Sacerdote Oblato, rendendo più spedito e libero, nonché più profondo, il suo cammino di santità.
Così il Direttorio:
Non possiamo dimenticare che «la fedele e generosa disponibilità dei sacerdoti all'ascolto delle confessioni, sull'esempio dei grandi Santi della storia, da san Giovanni Maria Vianney a san Giovanni Bosco, da san Josemaría Escrivá a san Pio da Pietrelcina, da san Giuseppe Cafasso a san Leopoldo Mandić, indica a tutti noi come il confessionale possa essere un reale "luogo" di santificazione.
L’obbedienza, nel vero spirito benedettino, aiuterà il Sacerdote Oblato a vivere sempre più in pienezza il suo sacerdozio nel legame con il suo Vescovo, i Superiori, i confratelli nel presbiterio e la Chiesa diocesana in cui è incardinato.
La Regola benedettina sarà per lui un continuo e sicuro ‘specchio’ di obbedienza, per “spezzare contro Cristo”, ad ogni tentazione, gli ostacoli, con le sue resistenze o ritrosie, facendo sempre ritorno al bonum oboedientiae, sull’esempio di tanti e tante santi monaci, che hanno fatto dell’obbedienza il fondamento ed il cardine del loro cammino umano e di santificazione.
Così il Direttorio:
Come per Cristo, anche per il presbitero, l'obbedienza esprime la totale e lieta disponibilità a compiere la volontà di Dio. Per questo il sacerdote riconosce che tale Volontà si palesa anche attraverso le indicazioni dei legittimi Superiori. La disponibilità verso questi ultimi va intesa come vera attuazione della libertà personale, conseguenza di una scelta maturata costantemente al cospetto di Dio nella preghiera. La virtù dell'obbedienza, intrinsecamente richiesta dal sacramento e dalla struttura gerarchica della Chiesa, è esplicitamente promessa dal chierico, prima nel rito di ordinazione diaconale e poi in quello di ordinazione presbiterale. Con essa il presbitero rafforza la sua volontà di comunione, entrando, così, nella dinamica dell'obbedienza di Cristo fattosi Servo obbediente fino alla morte di Croce (cf. Fil 2,7-8).
Le nostre Dichiarazioni, al cap. 5, su L’obbedienza, al n. 23 esprimono una verità che è il perno della vita benedettina, il punto focale del cammino monastico, e quindi, un rimando vitale anche per il presbitero che vuole vivere a questa luce:
L’obbedienza unisce le monache più strettamente a Cristo nel suo Sacrificio, in quanto offrono a Dio la completa rinuncia della propria volontà, e, col sacrificio di se stesse, aderiscono alla sua volontà salvifica.
Se il problema di una donazione infedele, o anche solo fiacca e difettosa, sta sempre nell’attacco indebito alla volontà propria, con l’Oblazione benedettina il Sacerdote chiede di essere accompagnato, sotto la protezione forte e paterna di san Benedetto, a compiere bene la volontà di Dio; a fare con gioia ogni giorno ciò che Dio vuole, e a restare sempre nel Suo Cuore, anche quando non è così facile.
Il Sacerdote Oblato, aiutato anche dalla tradizione di tanti padri e madri dell’Ordine benedettino, fari luminosi di obbedienza semplice e contenta, e possibilmente dall’esempio della comunità monastica cui si lega, riceverà ogni volta luce, nuova forza e soccorso abbondante di preghiere, per diventare a sua volta testimone di obbedienza nella Chiesa in cui vive ed opera, mostrando con tutta la sua persona questa totale e lieta disponibilità a compiere la volontà di Dio.
C’è bisogno di vedere questa lieta obbedienza sul volto di un Sacerdote che si è tutto consegnato all’amore di Cristo, senza riserva alcuna, per il bene della Chiesa e dell’umanità, per servire autenticamente l’uomo, in ogni situazione.
Per questa obbedienza libera e lieta, che aderisce con gioia alla volontà di Dio, il Sacerdote Oblato dovrà vivere bene la povertà; povertà benedettina, che si esprime:
Così le nostre Dichiarazioni, al cap. 33, Nulla i monaci devono avere in proprio, n. 70.2:
Con il voto di povertà, le monache s’impegnano ad una vita povera – di fatto e di spirito – da condursi in operosa sobrietà. Questo comporta la limitazione e la dipendenza nell’usare e nel disporre dei beni materiali.
E così il Direttorio:
L'esempio di Cristo povero deve portare il presbitero a conformarsi a Lui, nella libertà interiore rispetto a tutti i beni e le ricchezze del mondo. Il Signore ci insegna che il vero bene è Dio e che la vera ricchezza è guadagnare la vita eterna: «Infatti quale vantaggio c'è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita?» (Mc 8,36-37). Ogni sacerdote è chiamato a vivere la virtù della povertà che consiste essenzialmente nel consegnare il cuore a Cristo, quale vero tesoro, e non alle risorse materiali.n.83
Lo spirito benedettino ed eucaristico, in particolare la spiritualità mectildiana, centrata sull’annientamento di Cristo – Fil 2, 3-11 – suggerirà al Sacerdote che vive la sua Oblazione nel legame a Cristo povero un percorso personale di spogliazione come rinnegamento salutare di sé, perché Cristo viva in lui (Gal 2,20), tanto raccomandato, ancora una volta, dal Direttorio:
Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (cf. 2 Cor 8,9). La Lettera ai Filippesi mostra il rapporto tra la spogliazione di sé e lo spirito di servizio che deve animare il ministero pastorale. Dice, infatti, san Paolo che Gesù non considerò «un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2,6-7). In verità, difficilmente il sacerdote si renderà vero servo e ministro dei suoi fratelli, se sarà preoccupato delle sue comodità e di un eccessivo benessere.
Questo cammino anche ascetico porterà il nostro ministro a vivere con grande docilità e pienezza il suo servizio e la sua carità pastorale, come dono totale, nel Signore, per il prossimo.
Va infatti precisato, per non causare equivoci, o inutili desideri di ‘fuga’ anche ideale, che:
Uomini per il Regno, ma con i piedi per terra, decisi a spendersi tutti incondizionatamente per amore dei fratelli:
L'attività ministeriale deve essere una manifestazione della carità di Cristo, di cui il presbitero saprà esprimere atteggiamenti e comportamenti, fino alla donazione totale di sé a favore del gregge che gli è stato affidato.(Direttorio, carità pastorale)
Sapendo e desiderando che, in questa donazione piena, non si è soli, ma sostenuti nello spirito e nella fraternità dalla Comunità monastica.
Per questo il Sacerdote Oblato si sente pienamente incorporato, come fratello, nella famiglia monastica, godendo nello spirito e nel cuore la gioia di un’intensa e sincera comunione, nel dono reciproco e complementare con le Sorelle del monastero: egli sentirà quanto, a partire dalla celebrazione quotidiana della S. Messa, le sue Sorelle sono con lui, celebrante, ai piedi dell’altare, custodi diversamente, ma insieme a lui, del grande mistero di salvezza che egli ripresenta, in persona Christi.
Avvertirà, il Sacerdote Oblato, in modo specialissimo l’intensità della loro preghiera e unione nel Signore, quale salvaguardia del suo ministero, e insieme offrirà la sua, per ogni necessità ed intenzione del monastero.
E questa comunione spirituale, tanto reale, quanto mistica, traccerà un concreto cammino di santità, nella vera fraternità.
Questa grazia di comunione profonda sarà, per il Sacerdote Oblato, forza sicura per il suo celibato, come dono trasparente del suo amore unico e unificato, esclusivo e personale a Cristo, per la Chiesa Sposa, come ben ricorda il Direttorio:
Questo (il celibato), quale dono e carisma particolare di Dio, richiede l'osservanza della continenza perfetta e perpetua per il Regno dei cieli, perché i ministri sacri possano aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini: «il celibato, elevando integralmente l'uomo, contribuisce effettivamente alla sua perfezione». La disciplina ecclesiastica manifesta, prima ancora che la volontà del soggetto espressa dalla sua disponibilità, la volontà della Chiesa, e trova la sua ultima ragione nel legame stretto che il celibato ha con l'ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo, Capo e Sposo della Chiesa. La Lettera agli Efesini pone in stretto rapporto l'oblazione sacerdotale di Cristo (cf. 5,25) con la santificazione della Chiesa (cf. 5,26), amata con amore sponsale. Inserito sacramentalmente in questo sacerdozio d'amore esclusivo di Cristo per la Chiesa, sua Sposa fedele, il presbitero esprime con il suo impegno celibatario tale amore, che diventa anche sorgente feconda di efficacia pastorale.
Non si può spiegare la gioia del celibato – gioia che necessariamente viene da una rinuncia, liberamente scelta ed assunta – se non nella pienezza di un rapporto: quello di appartenenza totale e di configurazione a Cristo, per la donazione di tutte le energie e la generazione continua della vita e della novità della Chiesa. Il celibato non è segno di sterilità, non è sintomo triste di vuoto, ma dono di fecondità, dono che genera vita. Tutto questo Mectilde de Bar l’ha delineato con molta chiarezza per le sue monache, quando, nel Il vero spirito…, parla, al cap. 3, delle tre dimore di Dio, di cui la terza siamo noi, la nostra anima, tutto il nostro essere:
È in questo palazzo che egli (Dio) risiede con suo sommo godimento. È in questa dimora dell’anima pura che in maniera totale comunica se stesso all’anima, e riforma in lei in quel luogo la sua immagine, che il peccato aveva distrutto (…) Il peccato, mie sorelle, non può assolutamente cancellare in noi l’immagine e l’impronta di Dio, ma ci toglie completamente la somiglianza che ci era stata data nel santo battesimo e che Adamo ricevette all’atto della creazione… Ma in questo luogo segreto, l’anima recupera una bellezza tutta divina, essa è resa conforme a Dio per mezzo di Gesù Cristo. È grazie a lui che tutto nell’anima si ricrea… Il vero spirito, cap. 3
La castità ed il celibato sono così le condizioni per ‘ricreare’ l’immagine di Dio, la sua grazia in noi: la possibilità, in questa totale disponibilità verso Cristo, unico Amato, perché Egli stesso recuperi in colui/colei che Gli appartiene in modo esclusivo la gratuità del Suo amore.
Vivere il celibato nello slancio e nella gioia della donazione piena di sé, senza riserve, aiuterà il Sacerdote Oblato a crescere e maturare nella gratitudine verso il Signore, autore di ogni grazia, e al tempo stesso a riferirsi costantemente alla compagnia della Comunità monastica, per attingervi grazie ed aiuti alla sua fedeltà.
Sentendosi parte di una profonda comunione proiettata verso il Regno, il Sacerdote Oblato fuggirà il ripiegamento su di sé, ogni forma di tristezza autoreferenziale, o, peggio, di compensazione: perché si sentirà membro vivo del corpo di Cristo, solerte operaio del regno, nel legame puro e forte con la sua Comunità monastica, che lo incoraggia, lo accompagna, lo sostiene, e gli chiede di essere apostolo luminoso della gioia del Vangelo.
In primis, questo sostegno e questa forza di fede, al Sacerdote Oblato viene da Maria, nostra Abbadessa. È lei, la Madre dei Sacerdoti, a proteggere, illuminare e dare forza al suo ministro, attraverso l’accompagnamento diuturno della Comunità monastica.
È lei, che Madre Mectilde de Bar ha voluto, nel nostro Istituto, infallibile guida ed Abbadessa in eterno, non per la sua eccellenza, ma in virtù della sua piccolezza, del suo annientamento, è lei che ha ispirato al Sacerdote Oblato il desiderio di legarsi con vincoli tanto forti al nostro monastero; è lei che lo conduce lungo il cammino, nutrendolo con le sue virtù, istillandogli gli stessi sentimenti del suo divin Figlio.
Con una Madre così, il Sacerdote Oblato benedettino del SS. Sacramento è al sicuro, certo di essere custodito, assistito e confortato nelle fatiche del ministero dal suo materno pastorale; è consapevole di essere difeso dalle insidie del male, è confermato ogni giorno dalla grazia di Maria, tenera e forte Madre, alla quale dona e consacra tutto se stesso.
Così conclude il Direttorio:
A Maria, stella della nuova evangelizzazione, si affidi ogni sacerdote. In Lei, che «fu il modello di quell'amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini», i sacerdoti troveranno costante protezione ed aiuto per il rinnovamento della loro vita e per far scaturire dal loro sacerdozio una più intensa e rinnovata spinta evangelizzatrice, in questo terzo millennio della Redenzione.
E anche noi, affidando alla Madre celeste ogni Sacerdote, e dando, nelle Sue mani, la piena disponibilità dell’offerta per i sacri ministri che ci sono affidati, le chiediamo il dono di nuovi Sacerdoti Oblati, innamorati del Signore e desiderosi di santità, promettendo la nostra umile ma continua preghiera per loro.
Perché in tutto Dio sia glorificato!
[1] Madre Mectilde de Bar, Costituzioni sulla Regola di san Benedetto, Prefazione. La vocazione delle Benedettine del SS. Sacramento, Alatri 1982, p. XX.
[2] Come raccomanda il Direttorio: Per questo, risulta di grande utilità «l'antica pratica della lectio divina, o "lettura spirituale" della Sacra Scrittura. Essa consiste nel rimanere a lungo sopra un testo biblico, leggendolo e rileggendolo, quasi "ruminandolo" come dicono i Padri, e spremendone, per così dire, tutto il "succo", perché nutra la meditazione e la contemplazione e giunga ad irrigare come linfa la vita concreta».
Soprattutto per la società contemporanea, contrassegnata in molti Paesi da un materialismo teorico e pratico, dal soggettivismo e dal relativismo culturale, è necessario che il Vangelo sia presentato come «potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Rm 1,16). I presbiteri, ricordando che «la fede viene dall'ascolto e l'ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17), impegneranno tutte le loro energie per corrispondere a questa missione che è primaria nel loro ministero. Essi, infatti, sono non soltanto i testimoni, ma anche gli annunciatori e i trasmettitori della fede.
[3] Madre Mectilde de Bar, Costituzioni sulla Regola di san Benedetto, Prefazione. La vocazione delle Benedettine del SS. Sacramento, Alatri 1982, p. XVII.
[4] Ibidem.
[5] Mectilde de Bar, Il vero spirito delle religiose adoratrici perpetue del SS. Sacramento, Introduzione, traduzione e note a cura di Annamaria Valli, Glossa, Milano 2009, c. IV: Per ascoltare bene la S. Messa, bisogna essere uniti a Gesù Cristo, p. 47.
[6] Ibidem, pp. 46-47.
[7] Ibidem, p. 53.
[8] Come evidenzia ancora il Direttorio: “Per contribuire al miglioramento della loro spiritualità è necessario che i presbiteri pratichino essi stessi la direzione spirituale perché «con l'aiuto dell'accompagnamento o consiglio spirituale è più facile discernere l'azione dello Spirito Santo nella vita di ognuno». Ponendo nelle mani di un saggio confratello – strumento dello Spirito Santo – la formazione della loro anima, matureranno la consapevolezza, fin dai primi passi del ministero, dell'importanza di non camminare da soli per le vie della vita spirituale e dell'impegno pastorale. Nel far uso di questo efficace mezzo di formazione, tanto sperimentato nella Chiesa, i presbiteri avranno piena libertà nella scelta della persona che li possa guidare”.
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