Incontro Oblati
12 marzo 2017
Beata GIOVANNA MARIA BONOMO
(Asiago 1606 – Bassano del Grappa 1670)
“Tutto è amore”!
“Il cuore puro è una fontana in cui si riflette Dio”
Isacco il Siro
Incontriamo una splendida e nascosta figura di monaca benedettina, una mistica del ‘600, contemporanea alla nostra Madre Fondatrice, come lei troppo poco conosciuta: e del resto è tipico del nostro Ordine, così volutamente nascosto con Cristo in Dio.
Nel tratteggiarne sinteticamente la Vita, cogliamo soprattutto quelle linee che aiutano oggi noi nel nostro cammino, scoprendo la forza che traspare da questa umile esistenza, irradiante Cristo con disarmante limpidezza.
Maria Bonomo nasce ad Asiago il 15 agosto 1606, dal mercante Giovanni e la nobildonna Virginia. La piccola vede la luce in condizioni pressoché miracolose, grazie al voto che il padre, spaventato per l’improbabilità della buona riuscita del parto della moglie, formula alla Madonna di Loreto. Per questo la bambina, subito battezzata, riceve il nome di Maria. E il padre, di temperamento agitato e violento, si sente intimamente trasformato e placato da tanta grazia ricevuta. L’incanto, però, dura poco.
La giovane moglie Virginia, dolce e amabile, pia e fedele, è ben presto la vittima indifesa delle gelosie ingiustificate del marito, il quale, covando in cuore un vero e proprio delirio, che si trasforma in acceso e reiterato rancore contro la moglie, scatena apertamente le sue ire contro di lei.
In questa situazione tempestosa, un giorno, mentre il papà nella sua follia sta scagliandosi impazzito contro la consorte, la piccolissima Maria, di soli dieci mesi, si pone con la sua presenza benefica – e già taumaturgica – nel mezzo del conflitto, quasi a far da scudo alla povera mamma, gridando: papà!, e tendendo con fiducia verso di lui, accecato dai fumi dell’ira, le sue braccine colme di bontà e di misericordia. Una dinamica cha ha come… del fiabesco! Eppure ci insegna molto.
Maria ha una missione da compiere, fin dalle fasce, nei confronti della turbolenza paterna. Una missione di misericordia e di riparazione, persino inconsapevole, che comprende e salva il povero padre, schiavo delle sue ire.
Mentre sarebbe più che logico che, in questi frangenti, Maria si rifugiasse piangente tra le braccia della mamma, altrettanto spaventata e indifesa, la piccola fa un gesto incredibile: si apre gratuitamente verso il papà, e lo invoca con l’affetto mesto del suo cuore, prevenendo in assoluto ogni forma di perdono. E così sarà sempre: più avvertirà le tentazioni del padre, più sentirà sgorgare dal suo cuoricino un affetto grande e misericordioso verso di lui.
In una situazione così paradossale, Maria è dono. È benevolenza, amabilità, grazia, contro e sopra ogni ‘logica’ di difesa e di giustizia. E questo è già un primo grande insegnamento, evangelico e benedettino (pensiamo al 4° grado dell’umiltà). Si dirà: già, ma questa bambina aveva dei doni straordinari, specialissimi, era una prediletta da Dio, noi non siamo così speciali…
Ed è vero. L’autrice della sua biografia dice che fin da piccolissima Maria riceve questa grande missione, di “entrare nell’anima del padre” [1]: in pratica, di tutelarlo, di proteggerlo, di difenderlo dal male oscuro che lo inquina nella mente e nell’anima.
Di fatto il padre – qui le biografie non sono esplicite – viene incarcerato a Vicenza, presumibilmente per un tentato omicidio verso il presunto rivale, frutto della sua accesa e delirante fantasia. La mamma soffre, e la piccola Maria è tutto il suo conforto. Ma anche qui, sul più bello, quando niente fa presumere la scarcerazione del padre, la piccola, tutta contenta, annuncia alla mamma il ritorno del babbo. Lei “vede e sa”. Di lì a poco, in effetti la porta si apre, e Giovanni compare sulla soglia, ferito e pentito, deciso alla conversione. E la vita ricomincia, la famiglia si rinsalda, anche se la buona Virginia, che darà alla luce altre due creature, non recupera più quella serenità fiduciosa che la caratterizzava, e nel giro di pochi anni muore, quando Maria ha solo 6 anni.
Tornando a riflettere sulla bontà speciale di questa bambina, con tutta la singolarità del caso, non possiamo però non confrontarci su questa disposizione fondamentale di amabilità generosa, che “assorbe” il male, la negatività del cuore del padre. Quante volte ci sarà capitato o ci capita, nelle situazioni più comuni, di respirare negatività… Come reagiamo?
Sappiamo combattere il male con il bene, non per uno sforzo, ma per amore?
Per vicinanza a Cristo, perché “respiriamo Lui”!
Nessuno di noi è esentato dall’amabilità gratuita.
Credo che, come Oblati, Ve lo dovete chiedere, ciascuno di noi deve chiederlo a se stesso. Chiediamoci di “affrontare il mondo”, la vita, le situazioni quotidiane, con questa fondamentale fiducia di fondo… fiducia che accoglie, che supera, che preserva….
Quanti problemi, quanti dissidi, perché in fondo manca questa fiducia di fondo!
Se vogliamo essere cristiani veri, testimoni con la vita, perché non dovremmo esercitare, nel nostro piccolo, ma con quel giusto grado di eroismo quotidiano, l’amore che supera la misura standard, del semplice buon senso ordinario?!
Se già a questo primo tratto siamo… andati in crisi, è buon segno!
E Maria cresce. Sta vicina al suo papà, che nella solitudine ricambia e sempre più si stringe al cuore della figlioletta, diventata ormai il suo riparo, mentre, d’altro canto, comprende che da solo non sa e non può educarla, che deve pensare al suo futuro.
La moglie Virginia, in punto di morte, si era fatta promettere da Giovanni, con una sorta di presentimento, che se la figlia avesse con il tempo espresso il desiderio di “monacarsi”, lui non l’avrebbe distolta e contraddetta.
Dopo un po’ di discernimento, Giovanni porta Maria, a 8 anni, nell’educandato del monastero di Santa Chiara a Trento, perché possa ricevere un’adeguata educazione di base, preparandola alla vita. La bambina vi si trova a suo perfetto agio, imparando subito bene ogni cosa, superando e sorprendendo le aspettative delle stesse Clarisse, che ben presto comprendono la vocazione eccezionale di Maria, e la sentono già parte di loro.
A 10 anni, Maria decide di darsi totalmente al Signore – nel frattempo si sono già manifestati i primi doni straordinari, oltre a una propensione alla preghiera fuori da ogni misura per una ragazzina della sua età - e ne scrive candidamente al padre. Questi, furioso e angosciato di fronte alla prospettiva di perdere per sempre la figlia, si precipita a riprendersela, tra l’agitazione generale delle monache, che lo fronteggiano, non volendo cedere la figliola, e il pianto di Maria, che si sente stretta dentro una morsa terribile. Giungono così a un compromesso: la ragazza tornerà per un po’ a casa, per poi rientrare definitivamente in monastero.
E mentre, una volta riportata a casa, Giovanni fa di tutto per dissuadere la figlia del suo fermo proposito, facendola svagare e divertire, un giorno egli stesso sente un predicatore ‘tuonare’ dal pulpito “contro quei genitori che interrompono le sante vocazioni dei figli”. Ne resta molto turbato, e si ricorda solo allora della promessa fatta alla moglie moribonda: che non avrebbe ostacolato la vocazione di Maria. Si arrende, e, umiliato, acconsente ad acconsente alla vocazione di Maria,purché entri in un monastero di Vicenza. Maria con docilità si rimette alla scelta del padre, e chiede, come unica condizione,che il monastero sia di buona osservanza e vi si faccia vita comune: cosa non scontata in quel tempo, come già abbiamo avuto modo di apprendere nello scorso incontro su Madre M. Cecilia Baij.
Così, la scelta di Giovanni Bonomo cade sul Monastero delle Benedettine di san Girolamo a Bassano del Grappa, dove la Regola del Santo Padre Benedetto è osservata con fedeltà, la preghiera assidua, la vita comune regolare, la povertà amata. Maria vi entra a 14 anni ed 8 mesi. Ben presto pratica con profitto l’orazione mentale, che le infonde luce, gusto e tenerezza interiore. Inizia così un cammino ricco di grazie. Dopo soli pochi mesi prende l’abito e il nome di Giovanna Maria, in onore del padre.
Di giorno in giorno le grazie si accrescono. Grazie interiori e sensibili, fino a vere visioni, che accrescono il suo amore per il Signore. Come quella volta in cui Gesù le appare in una grande luce, le si inginocchia davanti e la prega di amarlo. L’umiltà del Signore, chino ai suoi piedi, la riempie di confusione e insieme di forza, di un amore così acceso, che la carità e l’umiltà si intensificano, assieme a un costante e sempre maggiore desiderio di patire, di soffrire con Gesù. Per questo la mistica di Giovanna Maria diventa ben presto una mistica della Passione.
Non ci soffermiamo, volutamente, a descrivere nei particolari i numerosi e sorprendenti doni mistici della nostra beata, che l’accompagnano dall’infanzia, e per sempre. Perché la santità non sta in primis nello straordinario [2]. Ci interessano maggiormente la gioia e la limpidezza della sua sequela benedettina, la sua fedeltà alla Regola e all’obbedienza, la profonda umiltà che la caratterizza per tutta la vita, specie nelle prove e nelle contraddizioni esterne più penose. Vera figlia del padre dei monaci d’Occidente, Giovanna Maria esprime con il dono totale di sé un candore e un’umiltà limpidissima; pronta e immediata ad eseguire ogni ordine e obbedienza, vede e respira Dio in tutto.
Cristo la stringe a Sé, invitandola sempre più a partecipare al Suo Cuore, alle Sue piaghe, al Suo infinito amore. Partecipa della Passione di Gesù con il dono anche visibile delle stigmate, così che i grandi desideri di patimento, ricevuti in particolare alla Professione monastica, ricevono il loro sigillo; ma non è qui il centro.
Soffre purificazioni e annientamenti, percorrendo nell’anima ripetuti e sempre più affinati stadi di spoliazione e impoverimento – sentendosi vile, misera e reietta a Dio, rifiutata a nome di tanti rifiutati del mondo – insieme a una purissima unione d’amore con lo Sposo.
Tutto questo percorso di pena e d’amore non le toglie, ma le intensifica e impreziosisce il candore naturale, la trasparenza affabile, quella lieta solarità del volto ed effusione del cuore che donerà sempre al prossimo. Segno che la vera unione con il Signore accresce sempre la carità verso gli altri, rende più delicati, e non allontana, non isola dai fratelli.
Le manifestazioni di estasi e di rapimenti suscitano apprensione, sgomento e turbamento nella Comunità, e le Sorelle si agitano, pensandole frutto di isterismo e non doni di Dio. Chi però non perde la luce è la brava Abbadessa: anche lei si spaventa di fronte alle estasi incontrollate della monaca, ma l’obbedienza piena e la bontà, la sottomissione amorevole di suor Giovanna Maria la rendono certa che non può essere che il Signore a visitare in un modo tanto speciale questa cara figlia.
La cosa particolare e inconsueta è che di tutto viene avvisato il padre di Giovanna Maria, ed è la stessa Abbadessa a farlo: perché sa che papà Giovanni è il confidente della figlia. Nel frattempo lui si è trasferito a Vicenza, ha cambiato vita, diventando un ottimo cristiano, dentro un cammino di grande carità. Iscritto alla confraternita dell’Oratorio di san Girolamo, si prodiga nel servizio dei poveri. Soccorre anche il Monastero, prestandosi per commissioni e spese, aiutando materialmente ed economicamente le monache. Diventa la persona di fiducia della comunità. La figlia lo guida attraverso numerose lettere, con cui tempra l’irascibilità paterna, aiutandolo a rivolgersi sempre più risolutamente a Dio, pensando alla sua santificazione. A sua volta la saggezza, il riserbo e la prudenza del padre aiutano il cammino della figlia monaca: quello scambio spirituale che fin dall’infanzia si era per grazia verificato, viene portato avanti, sempre alla luce dell’obbedienza alla Madre, che con discrezione vigila. Quando i doni rischiano di dare troppo nell’occhio, e Giovanna Maria con le sue estasi può subire l’inchiesta dell’Inquisizione, la Madre informa papà Giovanni, e insieme valutano il da farsi. Sembra impossibile che nel ‘600 si possa vivere, tra vita religiosa e familiare una tale osmosi e collaborazione. Questo accade perché insieme si guarda a Dio e si vuole Lui, senza pericolo dunque di ingerenze e di confusioni di ruoli.
Il problema è che Giovanna Maria, nella sua straordinarietà, supera ogni previsione. C’è persino l’episodio della risurrezione di una consorella, in seguito al suo intervento. In breve la fama dell’evento si diffonde, e la gente accorre da ogni dove, per incontrare la “monaca santa”, per farsi soccorrere e sostenere, anche solo per chiedere preghiere e la benedizione. L’Abbadessa chiede a Giovanna Maria di restare a disposizione di ogni richiesta d’aiuto, e questa obbedienza diventa grave per la povera monaca, pressata da ogni parte. Se non fosse umile ed equilibrata, ci sarebbe da insuperbirsi e certamente da impazzire. Invece, Giovanna Maria obbedisce sempre, con candida trasparenza. Pressata da ogni parte, provata da confessori e teologi chiamati a vagliare il suo ‘caso’, è certamente assalita dalla prova del dubbio, ma non perde il suo candore, e continua ad affidarsi e a chiedere aiuto proprio al confessore che più la mette alla prova e la contrasta, don Alvise Salvioni. E sarà proprio questi, al termine dei suoi giorni, a tessere le lodi più belle delle virtù di Giovanna Maria. Questo tratto è grande: mantiene la fiducia in chi più la mette alla prova. Vede Cristo, si unisce a Lui, e tutto comprende e porta in Lui.
Il suo “caso” però è sempre più a rischio. Quattro consorelle la denunciano, e il Vescovo fa aprire un’indagine su di lei. Giunge in monastero un Vicario vescovile, che in breve proibisce alla beata di avere relazione con l’esterno, andando alla porta, di scrivere lettere, se non raramente con il “signor Giovanni”. Le viene impedito ogni contatto ordinario. In più, le viene dato un confessore molto rigoroso, don Domenico da Veglia, detto Beldente, stimato e considerato di retta coscienza, molto testardo, il quale “sembrava fatto apposta per fare tribolare una povera creatura che non gli andasse a genio. Eppure aveva fama di essere un ottimo direttore spirituale di monache!” [3]. Il Beldente, prevenuto dalla Curia, considerando la sua penitente un’ingannata, si mette di impegno a non darle assolutamente mai retta – nonostante sia stato nominato proprio per darle retta! – e così, ogni qualvolta la poverina si avvicina al confessionale per parlargli, lui la respinge; umilmente la monaca si rimette in fila, e il da Veglia le intima ostinatamente il silenzio, senza ascoltarla né impietosirsi, intimandole di sparire e di annullarsi.
Giovanna Maria non comprende il perché di questa tattica, ma obbedisce con rassegnazione umile. Il peggio è che a volte è respinta anche dal Coro o dall’altare, e ritenuta indegna di stare vicina a Gesù presente nel tabernacolo. Lei con sofferenza si aggrappa all’Eucaristia, ma di lì a un po’ anche la comunione le viene negata, addirittura per sei mesi di seguito. Veramente incredibile.
Ora, non dimentichiamo che siamo nel ‘600.
E siamo dentro un disegno misterioso, di permissione di Dio, per la santità dei Suoi figli.
La nostra monaca viene spogliata di tutto, a poco a poco, veramente annientata. Viene ingiuriata e considerata pazza, oltre che dal Confessore, dalle quattro monache che la avversano. E lei, come reagisce?
Qui viene il bello per noi, per farne tesoro, anche se, grazie a Dio, non viviamo queste prove; non ce la faremmo a portarle. Ma ci serve riflettere sulla sua reazione, per le nostre piccole e quotidiane prove, per quelle “punturine di spillo” che a volte ci affliggono… per imparare a scrollarcele di dosso senza ripiegarci o commiserarci troppo. Ecco cosa scrive la biografa:
“La durezza del Confessore è per lei una garanzia. Non nega la realtà, che l’avvolge con velenose spirali; ma crede alla buona fede. Anche delle sue quattro accanite persecutrici dice che ‘tutto fanno per il bene, e a buon fine’… E zittisce il padre, che giurerebbe che la perseguitano per marcia invidia, esclamando che tutto è amore” [4].
Tutto è amore! È il suo motto, ben provato.
“Vede tutto con amore e tutte le cose con amore. Quando sarebbe tentata di non vedere più così, chiude gli occhi e può ancora contemplare l’Amore in se stesso” [5].
E dire che la sua pena è atroce: non potersi confessare né comunicare come vorrebbe, quando il suo solo struggente desiderio è il Signore, la sua vita è Lui! Senza l’Eucaristia lei non può vivere. Viene male solo a pensarci.
Non si lamenta della pena, non recrimina. Pensa, addirittura, che l’Eucaristia le venga negata “per il suo essere peccatora”. Quanto spesso, di fronte a una palese ingiustizia, ci agitiamo a diamo da fare a trovare i colpevoli e scagionarci…
Guardiamo almeno un attimo questa benedettina, vera ostia. Ostia con l’Ostia!
Si sente peccatrice, e, nel suo desiderio di patire per Gesù, soffrendo, accetta il calice. Sì… siamo nel genere mistico, va bene. Ma tutti presto o tardi ci troviamo di fronte a una prova che ci insidia e logora dentro… e la prova resta prova, anche se gridiamo contro tutto e tutti.
“Tutto è Amore!”, dice la Bonomo. E conclude: “Mi consolo, dico: Signore, giacché non ne sono degna, e mi lasciate tanto patire, sto sicura che tanto più abbondantemente vi comunicherete all’anima mia nell’altra vita; vedete quanto Vi bramo. Così mi consolo, e vivo morendo; ma però allegra e contenta” [6].
È bellissima! Non perde la sua gioia, che è Gesù. Questa è la santità, al di là delle grazie straordinarie: questa unione indefettibile contro il Signore, che nessuna privazione o angustia può minare. Questo, nel piccolo, sì, molto più nel piccolo, deve valere anche per noi, nella misura in cui cresciamo e maturiamo spiritualmente. Perché allora è l’amore che guida e dirige; l’amore sempre più purificato e limpido. Come in una fontana, appunto. La nostra beata soffre e resta turbata quando le si insinua il pensiero che potrebbe essere solennemente ingannata dal demonio. Potrebbe perdere la pace e la mente, e invece cosa fa?
“Non me ne curo: io dico al Signore; tutto è vostro, non ne voglio travaglio: fiat voluntas tua in aeternum. Non voglio pensare che a Voi, se vi piace” [7].
Come san Benedetto, che desiderava piacere a Dio solo, così Giovanna Maria Bonomo, sua degna figlia, scarnificata fino all’osso, non desidera che Lui, e come Lui dispone e vuole. Tutto rimanda e restituisce a Lui. Questa è la vera pace.
Viene rincarata la dose. Nel 1645 le viene tolta anche la possibilità di scrivere al padre, e negata ogni possibilità di recarsi alle grate, anche se cascasse il mondo. Per sette anni è al buio.
Il povero padre ne è privatissimo e sconvolto. Ma riesce a trattenere l’ira, e la grazia opera in lui un mutamento profondo. Piange e ricorda tutti gli insegnamenti della figlia, che sempre l’ha salvato e aiutato a domare il suo temperamento così focoso e imprevedibile. Ne risente l’affetto tenero e forte, e gli sembra, in questo distacco imposto, di essere ora guidato a Dio in un modo ancora più intenso. È la comunione dei santi nell’ora più nera della prova. È il dono salutare che fa il distacco fisico quando si approfondisce in un legame interiore che il Signore sigilla. E, nel silenzio, Giovanna Maria è confortata: non sa più nulla del padre, ma è certa che non si ribella, e che proprio ora il suo cammino si compie. Questo fa la grazia di Dio.
Non si ribella, perché “Tutto è amore”.
Ma, dopo questo impressionante crogiuolo, Dio riprende in mano la partita, ed ecco… la rivincita. Il Beldente le nega la comunione. Ma… Giovanna Maria è devotissima di sant’Agnese. Nel 1650, alla vigilia della festa di questa santa, la nostra monaca sta scopando il pollaio. Ecco apparirle sant’Agnese che la consola, e le assicura che non è volontà di Dio che lei resti ancora a lungo senza la santissima comunione: Dio muterà il cuore al confessore, che la comunicherà. La sera stessa il Beldente avverte un impulso violentissimo a comunicarla l’indomani. Ma un impulso così forte, che non riesce né a respingerlo, né a combatterlo. Vuole scacciare il pensiero, ma non può. Vuole convincersi con ragioni, ma non si calma. E l’indomani le dà la comunione. Poi però si riprende: va bene, è successo una volta, ma mai più… lui non cambia parere sul conto della monaca, non può… Giunge così il mattino successivo. Prima della Messa, com’è sua consuetudine, Il confessore conta macchinalmente le oste da consacrare, tante quante le monache, meno una. Al finestrino della grata giungono prima la Badessa e tutte le Sorelle. Anche Giovanna Maria è pronta, con la patena tra le dita. Con un moto brusco il Beldente si arresta, e le fa cenno di ritirarsi. Lei, tranquilla, posa la patena e torna al suo stallo. Intanto la comunione continua. Ma, quando è la volta dell’ultima comunicanda, il confessore si trova con la pisside vuota; delle ostie consacrate ne manca una, oppure lui si è sbagliato a contarle, possibile?! Eppure le aveva contate bene. Finisce la Messa come può. Poi, ancora in sacrestia, fa chiamare Giovanna Maria. Le domanda in tono di rimprovero se si è comunicata. Lei con molta umiltà risponde di sì. E Il Beldente: “da me no di certo! Da chi dunque?”. La monaca resta turbata, ed esita a rispondere. Il Confessore si risente. Le ordina con forza di dirgli subito la verità. Lei, con candore, gli dice che un attimo prima che lui la allontanasse, un bellissimo angelo aveva preso dalla pisside un’ostia, e l’aveva comunicata.
Il Beldente resta attonito, e ancora più impensierito. In un attimo, rivede tutto: tutte le prove che le ha inflitto, tutte le mortificazioni recatele, e insieme la sua umiltà, sottomissione e pazienza… Finalmente… ci vede! Vede tutto sotto la luce giusta, e ne resta mortificato.
Capisce di essersi ingannato in tutto. Non solo d’ora innanzi non negherà più la comunione alla povera monaca, ma di lì a un po’ farà costruire una piccola chiesa in onore dell’angelo custode, ringraziandolo di avergli aperto gli occhi. Quindi, dà alla Curia le informazioni più belle riguardo alla monaca a lungo provata. E la storia riparte.
Il 28 giugno 1652 Giovanna Maria Bonomo è eletta Badessa. Il suo è un governo illuminato, pronto all’amore per le Sorelle e al servizio generoso. La guida l’amore come regola suprema. Le monache che l’avevano avversata tanto, temendo i suoi eccessi devozionali, sono stravolte all’idea di averla per madre. Ma la sua mitezza sfata ogni timorosa ombra, e la pace e la gioia prevalgono, per cui le avversarie si addomesticano un po’, anche se a fasi alterne, soprattutto una di loro, per gelosia non mancherà di insidiare la Madre. Questa, però, ricambia ogni avversione con carità e umilissima pazienza. Come Badessa, infatti, Giovanna Maria vuole far prevalere sempre la soavità, la bontà, l’amor di Dio. Non introduce nulla di strano o di eccessivo nell’andamento della Comunità, tutto guida con ordine e discrezione, con regolarità e misura, come vuole il santo padre Benedetto. Lei stessa si prodiga e non si risparmia nei lavori e nelle mansioni più umili, mentre aiuta con dolcezza le Sorelle ad andare a Dio. Per prima cosa predilige la preghiera, l’orazione e insiste molto sull’osservanza del silenzio, come disponibilità piena al dialogo con Dio. Non fa sconti, prima di tutto a se stessa, sulla povertà, e diventa madre dei poveri, che sempre più numerosi accorrono al monastero, chiedendole aiuto e riversando il lo ro cuore tanto bisognoso nel suo. Per loro tocca anche il necessario, prevenendo ogni miseria. Il monastero diventa cenacolo di pace e dispensatore di carità. Le avversarie gridano al disastro economico del monastero, e denunciano la Badessa come incapace di governare; la Curia anche qui apre un’inchiesta, che però assolve con lode Giovanna Maria. Nel frattempo il suo consiglio buono, la sua attenzione alle anime, sempre prodiga di carità, e soprattutto di consolazione ispirata (ha il dono di leggere le coscienze e prevedere eventi futuri) fa affluire sempre più persone al monastero, che le si affidano, e, sul suo buon consiglio, cambiano vita.
Il padre Giovanni, dopo un cammino di conversione e santificazione veramente edificante, muore il 16 gennaio 1653, sotto la protezione orante della specialissima figlia.
L’ultimo tratto dell’esistenza di Giovanna la vede alternarsi tra il servizio di Abbadessa e quello di Priora. E mentre subisce sempre traversie a causa della minoranza delle Consorelle avverse, lei con dolcezza dice: “Figlie mie, imparatemi a fare orazione, non a disubbidire ai superiori, che sono in luogo di Dio”. Anche negli ultimi anni del suo governo la sua prima preoccupazione è la direzione spirituale delle monache, il resto viene di conseguenza.
Giovanna Maria Bonomo muore il 1 marzo 1670, sofferente, ma perfettamente vigile e serena. Nessun ricordo delle prove e persecuzioni passate le è rimasto in cuore: perché crede fermamente che per lei tutto è sempre stato amore. Immediatamente dopo la morte, nuovi doni e grazie si moltiplicano attorno alla sua fama di santità, mentre il monastero di san Girolamo è meta continua di gente che prega. Si parla di guarigioni prodigiose avvenute per sua intersessione, e di grazie singolari; lei stessa disse che nessuno di quelli che si sarebbero raccomandati a lei sarebbe stato dimenticato.
Così muore e così continua a vivere oggi una benedettina umile e nascosta, canale potente e straordinario di Dio, che non cessa, con la sua intercessione, di assicurarci che tutto è sempre e soltanto Amore.
[1] Maria Elisabetta Bottecchia Dehò, Canto dell’amore nascosto. Giovanna Maria Bonomo, la Serenissima, Vicenza 2006, p. 36: “… dai primi apssi e la prima parola improvvisa, Maria entra nell’anima del padre. Vi giunge fino al fondo più oscuro. La prende e la rischiara. È certo che non ne uscirà più”.
[2] “È certamente legittimo aspirare all’unione con Dio, che è il nostro fine, ma non è necessario desiderare le vie straordinarie…” Cécile J. Bruyère, la vita spirituale e l’orazione secondo la Sacra Scrittura e la tradizione monastica, Rusconi, Milano 1976, p. 47.
[3] M. Elisabetta Bottecchia Dehò, Canto dell’amore nascosto, op. cit., p. 112.
[4] Ibidem, p. 119.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem, p. 120.
[7] Ibidem, p. 121.
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