Incontro Aspiranti e Amici
19 febbraio 2017
La grazia dell’Obbedienza
Parlare di obbedienza oggi è certamente una sfida non indifferente.
Chi parla ancora di obbedienza?!
Parlarne in Monastero, e in particolare in un Monastero che cerca di vivere ogni giorno seguendo la Regola di San Benedetto, è pane quotidiano; di più: è il vero tesoro di un Cenobio benedettino.
L’obbedienza per noi monaci benedettini occupa il posto d’onore, e il punto più alto, veramente “di fuoco” tra i voti che professiamo. Si tratta del vero gioiello della vita monastica, della sua “punta di diamante”, se vissuta bene e nella piena libertà del cuore. Punta di diamante, perché è proprio attraverso l’obbedienza che il monaco si dona, si santifica, e porta e salva le anime. Ma va ben compresa, altrimenti si rischia di non vedere il dono e la grazia, ma solo un obbligo fine a se stesso. Invece, in fin dei conti, sia al capitolo 5, come al capitolo 7 (gradi 2° e 3° dell’umiltà) Benedetto parla dell’obbedienza in termini di desiderio. Come si può arrivare a questo? A desiderare profondamente, con tutti noi stessi, di obbedire?!
Tenendo conto che mi sto rivolgendo a Voi, che non siete monaci o monache, non Vi parlerò del quinto capitolo della nostra S. Regola come se ne parlassi in comunità; eppure, Voi siete fratelli e sorelle interessati alla Regola benedettina; e alcuni tra Voi lo sono al punto, per grazia di Dio, da sentirvene attratti e di volerla a vostra volta abbracciare come norma di vita, lì dove siete, con le gioie e i problemi che avete, anche senza vivere in monastero.
Lasciamoci prima di tutto condurre dal testo di RB 5. La prima espressione che qui Benedetto usa è chiara e scultorea:
“Il principale contrassegno dell’umiltà è l’obbedienza immediata”.
Siamo subito inchiodati.
Benedetto non parla solo dell’obbedienza, ma dell’obbedienza unita all’umiltà, contrassegnata dall’umiltà, espressa e manifestata nell’umiltà. L’umiltà è il fondamento della vita spirituale. Senza umiltà non si cammina, non si edifica nulla di bello e di solido. L’umiltà non è passività, o viltà, non è soggezione da schiavi. L’umiltà è vero riconoscimento di sé e dell’A(a)ltro.
Se sono umile, mi riconosco.
Se sono umile, non ho paura di vedermi per quel che sono: piccolo, fragile, povero. Una creatura, e non un super-uomo (o donna).
L’umile è al posto giusto. L’umiltà vera è gioia: il piccolo di Dio è felice, come un bambino tra le braccia della sua mamma. E questo non è infantilismo. È certezza che noi siamo di Dio, che da Lui siamo nati, che in Lui viviamo… che senza di Lui non possiamo nulla.
L’umiltà è benefica perché ci fa riconoscere la grazia presente nella nostra vita; tutte le grazie che ogni giorno riceviamo. L’umiltà è la luce interiore, che ci porta a ringraziare, a lodare, a rallegrarci delle tante cose belle attorno a noi…
Senza questa luce dell’anima che è l’umiltà, noi non viviamo bene, non respiriamo aria pura, restiamo come soffocati e al buio. Ecco perché, ben lungi dal privarci della vera vita, l’umiltà è al fondamento, alla base del cuore che si apre a Dio, e dunque obbedisce.
Obbedire, afferma san Benedetto al v. 2, è “ritenere di non avere assolutamente nulla più caro di Cristo”. E se, per i monaci, questo porta alla libertà di sé, come espropriazione, come consegna totale della propria vita a Cristo, e alla Chiesa, per chi non è monaco/a, ma vuole comunque vivere il Vangelo con cuore benedettino, significa:
Vivere l’obbedienza, anche per un aspirante laico alla vita benedettina, significa:
Comprendiamo, da qui, che vivere secondo obbedienza non è un optional, né una moda, qualcosa di passeggero che può esserci oppure no; è invece sostanziale, perché cambia completamente i il mio modo di pensare e di vivere, radicandomi in Cristo, unendomi a Lui in tutto.
Cercare Dio e obbedirGli nella mia vita mi aiuta:
- a non vivere con leggerezza, con superficialità; a riflettere, a capire che anche le piccole scelte incidono sulle grandi scelte;
- a non agire senza criterio, senza chiarezza interiore, disordinatamente, o secondo la mentalità del mondo;
- a darmi un programma concreto nella vita di ogni giorno.
Obbedire significa sintonizzare la mia mente, il mio cuore, la mia volontà, i miei passi sul Cuore pulsante di Dio, che mi è Padre e Madre, che ha cura di me.
Obbedire significa riconoscere che io sono amato/a, che sto a cuore a Dio; che Lui si occupa di me, perché Lui è mio Padre, e allora, riconosciuto questo, il mio primo compito nella vita è proprio quello di:
- connettere il mio volere alla Volontà di Dio: ascoltandola, dialogandoci, cooperandovi…
Tutto questo fa dell’obbedienza non qualcosa di passivo,di supìno e di subìto, di servile e di infantile, a cui ci si rassegna e ci si adegua, perché si deve. La vera obbedienza è filiale: nasce dall’amore e genera amore. È frutto di ascolto personale, che genera e costruisce il cammino, e dona luce e grazia, e infonde gioia, ma una gioia robusta e sicura.
L’obbedienza regola la mia vita, vi mette ordine, contro ogni anarchia e falsa libertà. Riconoscendo il Signore come tale, Signore della mia vita, Dominus, io ricostruisco nella mia vita un’alleanza sempre nuova con Lui, nel concreto dei miei giorni, e questo mi dona gioia e vita vera.
E così l’obbedienza, riportando armonia, mi rende semplice, semplifica la mia storia, le relazioni, rende tutto più bello e limpido, scorrevole e sano. L’obbedienza, semplificandoci, incrementa in noi la gratitudine.
La “marca” benedettina si riconosce qui: nel desiderio (attrazione) di uscire da sé, dai propri criteri, anche se costa, per lasciarsi educare da Dio ogni giorno di più, per lasciarsi amare da Lui come vuole Lui, cercando, così, di essere duttili ai Suoi richiami, ai tocchi e alle mozioni dello Spirito Santo.
E così obbedire è aderire, attiràti dall’amore di Cristo, perché Lui è il primo, è messo davanti, viene prima di tutto.
Obbedire: è questione di libertà. Desiderio di libertà, gioia della libertà che compie ciò ce Dio vuole, e raggiunta attraverso la mortificazione dell’egoismo.
Obbedire è, in fondo, lasciarsi portare, condurre ogni giorno dall’amore del Signore, come Lui dispone. Vedere il Suo disegno, riconoscerlo, per seguirlo.
Più che questione di forza nostra, l’obbedienza è questione di plasmabilità nostra. Diventare come le corde di una cetra, che l’artista (Dio), possa suonare a suo piacimento.
Sembra paradossale, ma l’obbedienza vera è questo: non durezza, ma morbidezza, leggiadrìa al tocco soave dello Spirito che conduce. Spesso i Suoi tocchi sono misteriosi, così intimi e delicati che ci vuole un ascolto buono, e fine, per avvertirli.
Ci vuole pazienza e forza con se stessi per assecondare Dio, e non la nostra natura sensibile... ma se ci lasciamo fare, se lasciamo che Lui conduca la nostra navicella (o barchetta), senza troppo tenerci in mano, volendo stare noi al timone, e tenere tutto sotto controllo, allora… la danza comincerà, e tutta la nostra vita, pur tra giri faticosi e qualche caduta, sarà pur sempre una danza, perché mossa dal ‘vento’ dello Spirito.
Questo è il vero segreto della vita, la danza. Il lasciarci condurre da Dio, più che voler fare noi secondo noi, girando a vuoto.
Non è facile questa arrendevolezza attiva, che si chiama docibilità.
Per questo san Benedetto ci impiega tutto questo capitolo 5 della Regola per spiegarcene gli aspetti e i vantaggi:
“uomini di simile tempra interrompono dunque all’istante le loro occupazioni; si staccano dalla loro propria volontà, subito pronti, le mani libere, lasciano incompiuto ciò che stavano facendo, e con un’obbedienza che mette ali ai piedi, seguono immediatamente la voce di chi comanda” (vv. 7-8)
Ci vuole coraggio, ci vuole stoffa… bisogna esercitarsi, senza tergiversare, senza volgersi a destra e a sinistra, senza fare un passo avanti e tre indietro. Ci vogliono chiarezza e determinazione con se stessi, per poter ‘aspirare’ a una vera conversione di vita verso il Signore Gesù. La Sua grazia muove e attira, ma noi siamo chiamati ad aderire, non a simulare una sequela! Bisogna essere chiari.
L’immediatezza della risposta dice il desiderio di Dio. L’obbedienza è un Bene tale (Bonum Oboedientiae), non solo per san Benedetto, ma per tutti i padri del monachesimo, anche prima di lui, che non ammette indugio. Il discepolo obbediente esegue subito quanto gli viene chiesto, perché è in ascolto di Dio. La sua fede non ammette dilazioni, non ci sono ostacoli.
È un’altra espressione caratteristica di san Benedetto. Le mani libere indicano, in chi obbedisce, il distacco pronto dalla propria volontà, lo slancio sincero di adesione, la libertà del cuore: infatti il testo parla, subito dopo, di un’obbedienza che mette ali ai piedi. Altra espressione molto bella e persino simpatica.
Se venisse Gesù direttamente a dirci: fai questo… fai quello… forse che noi voleremmo subito, senza più dubbi? Le mani libere, le ali si piedi?! Certo, come no… Ebbene, nell’obbedienza si compie lo stesso mistero.
Dio indica, suggerisce, parla. Certo, attraverso mediazioni umane. Ma la fede sa – non supinamente, ma con spirito soprannaturale – vedere, riconoscere Dio. E agisce, senza indugio. Alla base dell’obbedienza c’è la fede, e l’amore. Così al v. 10: “E questo si verifica in quelli che, premuti dall’amore, sentono l’urgenza di raggiungere la vita eterna”.
Altra espressione molto calzante:
L’obbedienza è questione di amore. Di amore che preme, che urge. L’amore di Cristo ci spinge (2 Cor 5, 14).
Allora, è un mistero molto bello e molto concreto, quello dell’obbedienza, e per questo il nostro santo Padre Benedetto le dedica così bene il posto d’onore: essa è nutrita dall’umiltà, mossa dalla fede, e spinta dall’amore.
Come può stare ferma, e non librarsi in una vera e propria danza di corrispondenza della nostra volontà alla volontà divina?
Trattare in questi termini dell’obbedienza, come di una danza d’amore divino e umano, una danza di alleanza eterna che si dispiega nelle cose più piccole e quotidiane, ci fa innamorare di questo valore, che per noi monache è un voto, il primo voto, come dicevo all’inizio.
Ma anche se nella nostra vita di battezzati/e noi volessimo cercare di vivere così, innanzitutto da figli, che si sanno amati, portati nel Cuore di Cristo, e quindi desiderosi di aderire alla volontà di Dio, e di lasciarsi fare da Lui, come tante durezze si scioglierebbero in noi, fino a farci gustare di più, e con più serenità, il segreto racchiuso nelle piccole cose di ogni giorno, e nella vita intera!
Obbedire non è puramente un duro dovere, anche se comporta la sua parte di rinuncia e di separazione da noi stessi, in ciò che sensibilmente ci può piacere.
Obbedire è un cammino di graduale dedizione, di consacrazione a Dio di tutta la nostra vita; obbedire comporta un dono, ma anche ricevere un senso, il nostro senso, la nostra profonda identità; così, obbedire diventa bello, perché libera il cuore, e l’assenso più profondo e radicale della nostra persona, consegnandola con gioia e gratitudine, persino con stupore, a Dio Padre, per mezzo di Cristo.
Non è poi così difficile. Come ben suggerisce questo significativo brano:
Sono una roccia o un danzatore?
“Una volta ho visto un tagliapietre rimuovere grandi pezzi da un’enorme roccia su cui stava lavorando. Nella mia immaginazione pensai: ‘Quella roccia deve sentirsi terribilmente ferita. Perché quest’uomo la ferisce così tanto?’. Tuttavia, dopo aver osservato un po’ più a lungo, vidi la figura di un danzatore elegante emergere lentamente dalla roccia.
Ho trascorso buona parte della vita a costruire un muro di pietra a protezione del mio cuore. Adesso, ogni qualvolta percepisco realmente la verità della durezza del mio cuore, è come se una delle pietre si staccasse dal mio muro difensivo. Questo mi ferisce e mi rende impaurito e arrabbiato. È una grande lotta. Ma sto cercando di essere più consapevole e meno pauroso in questo passaggio. ‘Non avere tutta questa paura’, mi sento dire dalla voce interiore dell’amore. ‘Riconosci ogni cosa presente nella tua vita come un dono, e rendi grazie in maniera consapevole. Concedi più spazio alla gioia nella tua vita. Lascia che le pietre si stacchino, e sii grato. Muoviti oltre la tua zona di comfort, e abbi fiducia. Abbi coraggio, apriti al desiderio più profondo del tuo cuore, e lascia che il muro venga giù. Apriti, e permettimi di rimuovere il tuo cuore di pietra e dammi un cuore di carne’.
Nella formazione spirituale si può pensare alla propria vita come ad un muro di pietra molto solido, che resiste a tutte le persone e le cose che cercano di cambiarla. Il rancore ci rende ciechi alla mano di Dio, ma la gratitudine ci aiuta a riconoscerla mentre opera lentamente ma con determinazione per fare di noi una splendida opera d’arte… […]
Nella formazione autentica, a Dio è concesso scavare nella roccia della nostra anima ed estrarre qualsiasi pietra…. Quando siamo pronti a vedere all’opera la mano delicata di Dio, scopriamo che dopo tanto scavare abbiamo uno spazio vuoto nel quale possiamo essere riempiti e guariti, e finalmente trasformati nel danzatore elegante che Dio vuole fare di noi”. [1]
La vita nell’obbedienza, ci insegna san Benedetto, è imitazione di Cristo, incorporazione a Cristo. Tutta la Regola, con il suo cristocentrismo, ci insegna questo: a mettere Gesù Cristo al primo posto, davanti a noi e al centro, in ogni cosa. Volere questo è desiderare l’obbedienza come stato di grazia, oltre che di vita. Certamente, questo implica un cambio di mentalità, un salto di quota.
Per questo questi incontri servono a farVi capire se lo desiderate sul serio e con gioia questo salto di quota, per poi aderirvi concretamente, e non solo come un bell’idealeche nutre solo pii sentimenti.
Perché
“Ciò che ci permette di obbedire, che rende l’obbedienza facile e desiderabile, è che la nostra scala di valori è cambiata, che il nostro cuore è cambiato nel più profondo di noi stessi” [2].
Cosa c’è alla radice di questo cambio, di questa scala di valori cambiata?
Dio! Se veramente cerchi Dio (cfr RB 58,7).
Se vuoi amare Lui sopra ogni cosa, al di sopra di tutto, per cui finalmente comprendi che il Bene, il vero bene per te, nella vita e per l’eternità, non è fare tutto ciò che ti piace e ti salta in mente, ma corrispondere con amore al Suo volere, e quindi obbedire. Così l’obbedienza diventa un bisogno, un’esigenza reale, un vero e profondo, vitale desiderio. Sembrerà strano, ma è proprio così. Cambiando la scala di valori, tu desideri obbedire.
E accogli l’obbedienza nella tua vita come grazia, come l’autentica grazia che ti fa camminare, e ti cambia la vita, perché alla radice del desiderio più intimo del tuo cuore c’è Dio, con il Suo amore, che ti raggiunge. E allora comprendi che obbedire a te è egoismo, fare ciò che tu vuoi è individualismo, ragionare in proprio è ripiegamento… mentre l’obbedienza ti apre, ti lancia nella prospettiva del servizio al prossimo e della missione, ti fa vivere amando.
È questione d’amore. È “tirocinio del mistero dell’Altro” [3].
[1] H. J. M. Nouwen, La formazione spirituale. Seguire i movimenti dello Spirito. Queriniana, Brescia 2016 ², pp. 138-140.
[2] Dom Guillaume, Un cammino di libertà. Commento alla Regola di san Benedetto, Lindau 2013, p. 117.
[3] Ibidem, p. 119.
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