Isacco di Ninive: un eccesso di Misericordia
Incontro Oblati
17 aprile 2016
Cenni biografici
Isacco di Ninive (sec. VII), chiamato anche Isacco il Siro, nasce nella regione di Bet Qatraye, sulle rive del Golfo Persico (attuale Qatar), e appartiene a una delle chiese cristiane più antiche, anche se a lungo disprezzata e dimenticata dagli stessi cristiani: la chiesa siro-orientale, o assira. Una chiesa che, da subito, ha goduto di un notevole sviluppo, ma che, soprattutto per motivi politici, è rimasta tanto isolata dal resto della cristianità.
Isacco conosce il catholicos Giorgio, che regge la Chiesa di Seleucia-Ctesifonte tra il 661 e il 681, e che, dopo averlo ordinato Vescovo nel monastero di Bet ‘Abe, gli affida la chiesa di Ninive, vicina all’attuale Mosul, in Iraq. L’ordinazione episcopale di Isacco si colloca, appunto, tra il 661 e il 681. Oltre a queste datazioni, per il resto si può sapere ben poco della vita di Isacco. Quel che è chiaro è che si tratta di un monaco, il quale, dopo soli cinque mesi dall’ordinazione episcopale, sceglie di rinunciare all’episcopato per tornare alla vita monastica, ritirandosi tra gli anacoreti della montagna di Matut, per poi raggiungere il monastero di Rabban Shabur, dove, diventato cieco per l’estrema applicazione nella lettura delle Sacre Scritture, muore in tarda età. A quanto pare, il suo corpo è stato sepolto nello stesso monastero di Rabban Shabur.
Ora, gli studiosi si sono chiesti i motivi del suo abbandono del ministero episcopale, e diverse sono state le deduzioni in merito.
- Forse Isacco ha fatto fatica ad inserirsi in una terra a lui estranea;
- evidentemente ha prevalso la sua ‘indole’ monastica, con il relativo desiderio di contemplazione e di solitudine;
- probabilmente nel ministero ha incontrato delle particolari difficoltà, che lo hanno indotto a desistere;
- ci sono anche versioni, che però non sono accreditate, che riferiscono di contestazioni e critiche ecclesiastiche che il nostro avrebbe ricevuto, forse anche in merito al suo insegnamento, e proprio in merito alla discussione sul tema della misericordia.
Non essendoci certezza su queste ipotesi, ci accontentiamo di lasciare il problema nel cuore di Dio, e di cogliere, anche in mezzo a tali controversie, l’indole eminentemente monastica di Isacco il Siro.
Isacco è stato monaco, monaco nel senso più bello e profondo del termine: un cercatore di Dio, assetato di Dio solo, attento a Lui e alla Sua Parola, al punto di impegnare tutto se stesso, compreso il dono della vista, nella conoscenza del Signore. Per questo è diventato un eminente padre spirituale, non solo per i pochi discepoli che ascoltarono direttamente i suoi insegnamenti, ma per i monaci e i cristiani di ogni tempo e luogo, sia in Oriente che in Occidente. Qualche suo testo ha causato difficoltà, per l’evidente non completa ortodossia di pensiero.
Al termine dei suoi anni, non potendo più scrivere né leggere, Isacco detta ai discepoli i suoi discorsi, che vengono così messi per iscritto e custoditi.
Le opere di Isacco ci rivelano la sua profonda conoscenza delle Scritture.
Isacco, come ogni buon maestro di vita monastica, estrae il tesoro della sua sapienza non solo dalla profondità del suo cuore, illuminato da Dio, ma lo attinge anche, umilmente, da altri maestri nello spirito, quali Evagrio Pontico, Teodoro di Mopsuestia e Giovanni di Apamea. Questa è una ‘legge’ sicura del vero spirituale, che ben conosciamo anche nel nostro san Benedetto: l’uomo di Dio, e quindi il maestro di Vita è innanzitutto un fedele, che docilmente si mette alla scuola di altri uomini di Dio, in un’umiltà sicura, senza inventare nulla di sua; ma, al contrario, fidandosi della ricchezza della tradizione ecclesiale e monastica, solo da quel solco vivo, estrae pepite di grazia e di luce.
Cosa ha scritto Isacco?
Le fonti discordano sui libri o tomi che Isacco avrebbe scritto. Quel che è certo è che Isacco è autore di collezioni di discorsi, e non tanto di opere sistematiche; e non sappiamo a tutt’oggi se quel che ci è giunto è l’intera opera di Isacco, o soltanto una parte.
Attualmente si conoscono di lui due raccolte di discorsi nell’originale siriano, distinte in una Prima Parte e in una Seconda Parte, o Prima Collezione e Seconda Collezione. Vi è poi una Terza Collezione, in attesa di ulteriori ricerche ed approfondimenti.
Le numerose versioni delle sue opere, presto tradotte in diverse lingue, attestano il grande successo che da subito la sua opera ha riscontrato dappertutto, portando alla ribalta il nostro monaco, riconosciuto come maestro indiscusso di vita ascetica. Anche tra le contraddizioni e opposizioni ecclesiali, comunque il pensiero di Isacco si diffonde, oltre ogni ostacolo, e acquista autorevolezza e riconoscimento.
In Italia Isacco di Ninive viene studiato con successo soprattutto nei secoli XIV-XVI, sia in ambiente francescano che benedettino, oltre che dai barnabiti e domenicani, che contribuiscono a farlo conoscere ampiamente.
Sabino Chialà, monaco di Bose, esperto nello studio del nostro autore, riporta le espressioni di stima che Giuseppe l’Esicasta (1895 – 1959), uno degli iniziatori della rinascita del monachesimo sul monte Athos, ebbe riguardo a Isacco:
“Se tutti gli scritti dei padri del deserto che ci istruiscono circa la vita monastica e la preghiera andassero perduti, e fossero conservati solo gli scritti di abba Isacco il Siro, essi basterebbero a insegnare, dall’inizio alla fine, la via dell’esichia e la preghiera. Essi sono l’alfa e l’omega della vita monastica e della preghiera interiore” [1].
Nelle sue collezioni, tra i vari temi considerati, i primi sono quello dell’umiltà e della misericordia. Così dice Hanûibn Yûhannâ ibn as-Salt: “Isacco ha predicato con insistenza l’amore alla misericordia che è il fondamento dell’adorazione e l’umiltà che è il baluardo delle virtù”.
Senza attardarci, in questa sede, sullo sviluppo di altri temi, lasciamo parlare Isacco, e andiamo direttamente ad attingere dai suoi pensieri sulla Misericordia e Compassione, per bere in abbondanza alla fonte fresca della sua sapienza.
Misericordia e Dio e Compassione
Il tema della Misericordia è dunque il secondo cardine del pensiero di Isacco. È il tema che più ha patito nel suo tempo, ma per cui più è stato apprezzato dai posteri, proprio per il coraggio con cui Isacco sa osare un messaggio forte, e comunque sempre alla luce del Vangelo.
Il suo discorso sulla Misericordia è fondante, parte dalla sorgente di tutto, la sola che tiene tutto in piedi, Dio:
Se non hai conosciuto Dio, non è possibile che si muova in te il suo amore; non è possibile che tu ami Dio, se non hai visto Dio; e lo hai visto quando lo hai conosciuto
I, 34
L’amore che è sostenuto dalle cose è simile a una piccola fiamma: la luce che ne promana è sostenuta dall’alimentazione dell’olio; ed è simile a un fiume che è alimentato dalla pioggia: venendo meno la materia che lo costituisce, esso perde la forza della sua corsa.
L’amore del quale la causa è Dio, è simile a una sorgente che sgorga dalle profondità: il suo flusso non cesserà mai di scorrere. Egli è l’unica sorgente dell’amore: la provvista della sua materia non viene mai meno.
I, 53
E se Dio è Amore, amore sorgivo e pieno, pienezza dell’amore, la Sua ‘legge’, il suo stile, il suo metro, ciò che lo fa muovere ed agire, non è che l’amore:
Per amore Dio ha fatto venire il mondo all’esistenza, per amore lo conduce in questo percorso temporale, per amore lo guida alla trasfigurazione mirabile (II, 38, 2)
e
Anche se ci fu un tempo in cui la creazione non esisteva ancora, tuttavia non ci fu un tempo in cui Dio non provava amore per essa… (III, 5)
Ma questo Amore di Dio non è che Misericordia e Compassione:
Dio è vicino al cuore sofferente, che a motivo dell’afflizione grida a lui; e se anche nelle cose del corpo a volte rifiuta di offrire ciò che può essere di aiuto, come un medico che con la dura prova delle operazioni chirurgiche procura la guarigione, tuttavia nella sua anima il Signore ha un’immensa compassione di lui, per la durezza delle pene delle sue tristezze
I, 57
E questo amore di Dio è dolce, perché è vero e puro, senza doppiezza, senza malizia. E la dolcezza dell’amore di Dio, scrive Isacco, si riversa in noi con lo stesso effetto del favo di miele, per cui, una volta che ci raggiunge, ci inonda di bene e ci trasforma intimamente nella sua stessa sostanza:
Dolce è l’amore, più della vita; e la comprensione di Dio, dal quale è generato l’amore, è dolce più del miele e del favo.
Qual è la dolcezza dell’amore che è migliore della vita? L’amore non disdegna di ricevere migliaia di volte la morte a motivo dei suoi amici…
I, 62
Questa dolcezza dell’Amore di Dio in noi non è sdolcinatura, non è niente di sentimentale, è Vita donata e offerta totalmente nell’amore; è prassi, declinazione pratica, che si fa sacrificio di sé, per l’altro. La Misericordia è dolcezza che si trasforma in Vita, è il Volto stesso di Dio, del Padre, declinato nel Figlio e offerto a noi fino alla morte, per la grazia dello Spirito. Per cui anche noi, per coniare il bel motto di questo Anno Giubilare della Misericordia, a nostra volta possiamo diventare misericordiosi: Misericordes sicut Pater.
L’apice che è Dio, Signore di tutto, a motivo della misericordia per la sua creatura, ha consegnato suo Figlio alla morte di croce (…) Non che non potesse salvarci altrimenti, ma innanzitutto perché così fu possibile farci conoscere il suo grande amore; affinché attraverso la morte del Figlio Unigenito noi ci avvicinassimo a lui. E se avesse avuto qualcosa di più prezioso di lui, ce lo avrebbe dato… (…)
E nostro Signore ubbidì al Padre suo per amore di noi, prendendo su di sé con gioia l’oltraggio e la sofferenza… Così anche tutti i santi sono giunti a quella pienezza quando sono diventati perfetti, essendo simili a Dio nella profusione dell’amore e della misericordia per gli uomini (…)Quando uno ha acquisito l’amore, Dio stesso diventa, con esso, il suo vestito… I, 74
E così si diventa riflessi vivi della Misericordia di Dio. Allora, l’Amore di Dio che ci raggiunge e che è Misericordia riversata su di noi, ci trasforma:
Quando abbiamo trovato l’amore, mangiamo il pane celeste e siamo nutriti senza lavoro e senza fatica (…) Beato colui che ha mangiato il pane dell’amore che è Gesù. Colui che si nutre dell’amore, si nutre di Cristo che è il Dio di tutto… Allora, colui che vive nell’amore in questa creazione, respira la vita [attingendola] da Dio. Egli respira l’aria della risurrezione già qui…
I, 41
La Misericordia di Dio riversata su di noi è, secondo Isacco, l’aria della Risurrezione: che ci avvolge, che si irradia su di noi e da noi, come benefico influsso sul prossimo. Vediamo con quanta semplicità i padri sanno dire l’indicibile di Dio che ci abita!
Questa Misericordia, dunque, non è niente di astratto e di aleatorio, ma concreta forza dell’amore divino, che ci converte e trasforma la vita. Misericordia e conversione sono un tutt’uno. Se io ricevo veramente la Misericordia di Dio, e questa diventa il mio reale programma, io non posso restare nel peccato, io mi lascio convertire e cambiare. E la conversione, che Isacco chiama la seconda nascita da Dio (la prima è il Battesimo), è la vera porta della misericordia, la porta santa:
Grazia su grazia è la conversione concessa agli uomini. La conversione è una seconda nascita da Dio. Nella conversione riceviamo il dono [completo] di ciò di cui nel battesimo abbiamo ricevuto [solo] una caparra. La conversione è la porta della misericordia che è aperta a chiunque la cerchi. Per mezzo di questa porta noi entriamo nella misericordia divina. Al di fuori di questa entrata non è possibile trovare misericordia
I, 41
Non si bara, né con Dio, né con il prossimo. Incontrare davvero la Misericordia di Dio, lasciarla entrare, e passarvi dentro, significa per noi entrare nella porta santa della nostra conversione di vita. Non possiamo parlare di misericordia, a buon mercato. Possiamo sperimentarla: e sperimentarla significa rinnegarci, dire di no al peccato che è in noi, estirparne le radici, aborrire i vizi, lottare contro le nostre passioni, in una parola: cambiare veramente vita, per essere totalmente di Cristo. A questo ci porta la Misericordia!
Da qui capiamo che, quando Papa Francesco ha indetto l’Anno della Misericordia, non ha voluto farci un regalo a buon mercato, non ci ha fatto uno sconto… come chi entra in un negozio e scopre che ci sono i saldi. No, la misericordia di Dio chiede la nostra conversione. Senza conversione reale, fattiva, che si vede, che cambia il nostro cuore corrotto, non c’è misericordia: la luce non splende sul volto e nelle opere, e i nostri fratelli non vedono il nostro amore, senza la nostra conversione.
Questo ci chiama in causa e ci aiuta a porci delle domande concrete.
Perché la Misericordia è esperienza concreta di Dio che passa in noi e nei fratelli, e ci cambia e rinnova dal di dentro, e muove, smuove il cuore, lo scioglie, lo rammollisce dalle sue durezze, lo intride di compunzione, lo fa versare lacrime sui suoi peccati, e la vita non è più quella che era, ma diventa sempre più del Signore, e con gioia, e si vede all’esterno!
La pratica intelligibile della conversione è il pianto dell’uomo nascosto, che sgorga nel cuore per il discernimento dell’amore del Padre, e non per il timore della condanna
Cent I, 77
Misericordia è l’Amore di Dio in noi, che svelle la terra dura del nostro cuore, e la rende pura. E lo sguardo interiore, così trasformato dalla Misericordia, cambia. E Dio entra, e trapassa ogni fibra del cuore, e vibra dentro di noi, e fa nascere e crescere la Sua Vita in noi, fino alla commozione per tutto ciò che ci accade e incontriamo; fino al “non son più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20). Questo miracolo lo fa la Misericordia del Signore, che Isacco definisce l’incendio del cuore:
Cos’è la purezza?
È un cuore misericordioso per ogni natura creata…
E cos’è un cuore misericordioso?
È l’incendio del cuore per ogni creatura: per gli uomini, per gli uccelli, per le bestie, per i demoni e per tutto ciò che esiste. Al loro ricordo e alla loro vista, gli occhi versano lacrime, per la violenza della misericordia che stringe il cuore a motivo della grande compassione. Il cuore si scioglie e non può sopportare di udire o vedere un danno o una piccola sofferenza di qualche creatura…
Misericordia che si declina in compassione, in questo eccesso d’amore che,come un incendio, non si controlla né contiene, perché è il Cuore di Dio nel cuore dell’uomo:
E per questo egli offre preghiere con lacrime in ogni tempo, anche per gli esseri che non sono dotati di ragione, e per i nemici della verità e per coloro che la avversano, perché siano custoditi e rinsaldati; e perfino per i rettili, a motivo della sua grande misericordia, che nel suo cuore sgorga senza misura, a immagine di Dio
I, 74
Vediamo come Isacco di Ninive qui precorra san Francesco.
Ed è molto chiara ed eloquente questa dipendenza della misericordia dalla purezza. Se io non sgombro il cuore dalle sue passioni, se non compio ogni giorno la mia sacrosanta battaglia contro i cattivi pensieri, come insegnano molto bene i padri monastici, se non lavoro su me stesso, io non potrò mai essere misericordioso. Solo un cuore liberato dal male e purificato può essere ricettacolo di misericordia e divenire riflesso purificato dell’amore limpido di Dio :
Segno luminoso della bellezza della tua anima sarà questo: che tu, esaminando te stesso, ti trovi pieno di misericordia per tutti gli uomini, il tuo cuore è afflitto per la compassione che provi per loro, e brucia come nel fuoco, senza fare distinzione di persone. Attraverso ciò l’immagine del Padre che è nei cieli si rivelerà in te continuamente.
I, 71
Il misericordioso riceve Dio! Lo dice chiaramente Isacco: “Colui che prende le difese dell’oppresso, trova un difensore nel suo Creatore. Colui che presta il suo braccio per aiutare il prossimo, riceve il braccio di Dio per lui” (I, 45).
Misericordes sicut Pater.
Come un cristallo riflette e rifrange la luce, così è per il cuore dell’uomo che si lascia toccare e attraversare, e irradiare dalla divina Misericordia: la riflette, la trasmette, incondizionatamente, ed essa diventa come il suo respiro, anzi, come il suo vestito, dice Isacco: “Quando uno ha acquisito l’amore di Dio, Dio stesso diventa, con esso, il suo vestito”.
Ma questo ‘vestito’ di Misericordia è esigente. Se pensassimo che la Misericordia non sia esigente, sia un buonismo a buon mercato, sia un accomodamento, sia una mancanza o debolezza, non sia un arduo lavoro su se stessi, ci illuderemmo alla grande:
“Quando uno ha acquisito l’amore di Dio, Dio stesso diventa, con esso, il suo vestito. Colui il cui vestito è Dio deve persuadersi a non acquistare nient’altro insieme a lui, ma deve spogliarsi anche del suo corpo”
I, 74
Il misericordioso vuole Dio, e questo lo porta alla verità, all’essenzialità, alla spogliazione. Che è vera sapienza, che rinnega ogni mondanità. Quindi, la misericordia non è un punto di partenza, ma un punto di arrivo, che comporta un cammino, tutto il cammino della vita verso la santità:
Così anche tutti i santi sono giunti a quella pienezza quando sono diventati perfetti, essendo simili a Dio nella profusione dell’amore e della misericordia per gli uomini. Questo è il segno che cercano nella loro anima per essere simili a Dio: essere perfetti nell’amore per il prossimo. Così facevano anche i padri solitari che portavano costantemente, in se stessi, questa somiglianza piena con la vita di Cristo, Signore di tutto…
I, 74
Sperimentando l’amore di Dio, sentendoci amati da Lui, non possiamo a nostra volta non entrare in questa circolarità di grazia: a nostra volta riamiamo. Lasciandoci incontrare dal Misericordioso, lasciandoci raggiungere dalla Sua Misericordia, diventiamo misericordiosi, nella misura in cui il cuore si lascia liberare dal male, e purificare. Questo passaggio è molto importante. Per questo diciamo che la misericordia non è a buon mercato, ma il lavoro esigente e al tempo stesso desiderabile, su se stessi, per tutta la vita:
Un cuore impietoso non sarà mai puro. L’uomo misericordioso è medico della propria anima, e come in un vento impetuoso scaccia da dentro di sé la nebbia della tenebra. Questa è la buona ricompensa di Dio, secondo la parola dell’evangelo di vita: Beati i misericordiosi, perché su di loro sarà la misericordia. E questo, oltre che in futuro, accade in mistero anche quaggiù. Quale misericordia, infatti, è più grande di questa: che quando un uomo è mosso dalla misericordia verso un suo fratello e diventa compagno della sua sofferenza, nostro Signore preserva la sua anima dall’oscurità della tenebra, che è la geenna intelligibile, e lo avvicina alla luce della vita, perché se ne delizi? Bene ha detto il beato Evagrio: la via limpida viene dalla misericordia.
I, 65
Misericordia di Dio e del prossimo sono un unico contagio d’amore e di comunione, che dalla mente passa nel cuore, e dona unità a tutta la persona. Il dono che si evince da questo “bagno di misericordia” è la bellezza, la nettezza della mente, e la pace dell’anima, che muove ripetutamente al bene, che apre ad amare senza sforzo, ma come per soave impulso naturale : “Vuoi avere comunione con Dio nella tua mente, facendo così esperienza di quella dolcezza che non è schiava dei sensi? Persegui la misericordia!” (I, 1). La misericordia è unificazione. E allora, ne viene, per la vita, tutto un canto di misericordia, che è martirio intimo: Il segno dell’amore e della conoscenza è una profonda umiltà che proviene dall’intelligenza dell’intimo (I, 5).
Sii un perseguitato e non uno che perseguita. Sii un crocifisso e non uno che crocifigge. Sii un oltraggiato e non uno che oltraggia. Sii un calunniato e non uno che calunnia. Sii pacifico e non zelante [2]. Persegui il bene e non la giustizia (…).Rallegrati con chi si rallegra, piangi con chi piange: questo è il segno della limpidezza. Sii malato con i malati. Affliggiti con i peccatori. Gioisci con coloro che si convertono. Sii amico di ogni uomo, e solitario nel tuo pensiero
I, 50
Senza misericordia, che è unione intima e profonda con Dio, che sa chinarsi sulle ferite del prossimo, e che partecipa, come ricorda Isacco, “tramite la passione della preghiera e la sofferenza del cuore”, senza questo ‘parto’ intimo, non c’è vera libertà, né per noi, né per il prossimo:
È misericordioso… colui che, quando vede o soffre qualcosa che causa sofferenza a qualcuno, soffre nel suo cuore un incendio; e quando riceve uno schiaffo da un suo fratello, non si ribella e non gli rende il contraccambio neppure con la parola, ma ne soffre nel suo pensiero”
I, 4
E questa misericordia che “paga” con la sofferenza personale, portata in Cristo, è generatrice di Vita, in una “corrente” sempre nuova e incredibile di amore.
[1] Cfr S. CHIALÀ, Introduzione a ISACCO DI NINIVE, Un’umile speranza, Antologia scelta e traduzione dal siriaco di S. Chialà, monaco di Bose, Padri della Chiesa: voci e volti, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano (BI) 1999, p. 7.
[2] Qui i intende: zelante nel male. Di quello zelo amaro di cui parla san Benedetto in RB 72.
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