Incontro Oblati
11 gennaio 2015
Lo spirito di fede
Ciò che fa la ‘qualità’ benedettina
Ritrovandoci, nella grazia di questo nuovo anno da poco aperto, vogliamo riflettere insieme su lo spirito di fede, quale tratto caratteristico ed elemento qualificante della ‘fisionomia’ benedettina.
Parlare, nel 2015, di spirito di fede, richiede un certo coraggio. Sembra un termine d’altri tempi, repertorio del passato, quasi da medioevo, questo spirito di fede. Chi ne parla più?! Chi ci crede più?!
Eppure, nei monasteri, lo spirito di fede è, o dovrebbe essere, ancora tenuto in considerazione. Ancora ci si dovrebbe credere, nei chiostri, allo spirito di fede.
Notiamo: non stiamo usando semplicemente il termine ‘fede’, ma: ‘spirito di fede’; cioè, stiamo entrando subito più nello specifico. Ma cos’è mai questo spirito di fede, e perché dovrebbe interessare anche agli Oblati, oltre che ai monaci?!
Non intendo qui addentrarmi in ricerche precise e puntuali, anche se non sarebbero per niente oziose. Ma, poiché i nostri Incontri in monastero non sono di natura intellettuale, ma interessano la Vita, il vissuto, e dunque lo stile del nostro vivere, come monache, come Oblati/e benedettine, punto subito a un referente centrale per noi, per inquadrare al meglio il tema.
Cito il pensiero del grande Abate benedettino Columba Marmion [1] sulla fede. Di qui, su questo solido fondamento, elaboreremo con semplicità il nostro tema. Scrive l’abate Marmion:
“Un uomo che non ha la fede, che non ha la grazia, può arrivare a forza di energia, di volontà, di perseveranza, a una certa perfezione naturale: può essere buono, integro, giusto; ma questa non è che una moralità naturale, che comunque presenta sempre delle deficienze. Tra questa e la vita soprannaturale, tra essa e la beatitudine eterna, c’è un abisso. Il mondo tuttavia si accontenta di tale perfezione di vita naturale…” [2].
Così scriveva il nostro abate, nel lontano 1922. Oggi, ai nostri tempi, quel che a lui sembrava poco, questa “perfezione di vita naturale”, è invece tantissimo, è un traguardo, è una conquista eroica. Ma andiamo avanti.
Cosa c’è, per Marmion, oltre questo accontentarsi di una perfezione di vita naturale? La fede. Egli continua, infatti:
“Con un colpo d’ala, la fede si eleva più in alto e trasporta l’anima al di sopra di tutto l’universo visibile per condurlo fino a Dio. Questa fede, che ci fa nascere da Dio, che ci rende figli di Dio mediante Cristo, fa anche di noi i vincitori del mondo. Mirabile dottrina di san Giovanni nella sua lettera: E chi è colui che vince il mondo se non colui che crede che Gesù è il Figlio di Dio? (1 Gv 5, 4-5)” [3].
La fede è questo “colpo d’ala” nella vita. E lo spirito di fede, allora, è l’esercizio costante, continuo di queste “ali” che sostengono, sollevano la vita oltre l’orizzonte puramente materiale, e la fanno librare, leggera, agile, ardita, verso il cielo. Non per vivere di idealismi, ma di Dio.
La fede è la consapevolezza che non siamo noi a guidare gli eventi, la storia, ma che, momento per momento, noi siamo portati da Dio. E lo spirito di fede è la messa in pratica costante di questa consapevolezza, ne è l’esercizio assiduo, appunto, che infonde vigore e solidità alla fede, così come si esprimerebbe bene il nostro san Benedetto: “muniti di una fede robusta…”.
Lo spirito di fede irrobustisce nella prassi, rende solida la fede stessa.
Si può dire che lo spirito di fede è la vita di fede: la vita che diventa fede, operante, pratica, messa in atto, realizzata, compiuta nelle opere belle e virtuose.
Ma la fede, e dunque anche lo spirito di fede, non sono dei privilegi per anime elette.
Continua, infatti, il Marmion:
“Ogni cristiano è chiamato a questo glorioso destino. Chiunque riceve il Battesimo, rompe moralmente col mondo, rinnegandone le massime, i principi e lo spirito, per vivere secondo il Vangelo di Cristo” [4].
Senza la fede, come fondamento e radice di tutto, afferma il beato Columba, non è possibile vivere secondo il Vangelo, non è possibile avanzare, camminare contro la concezione mondana, testimoniare la limpida forza di Gesù Cristo. Ma quando questa fede penetra la vita, allora, sì, coinvolge e trasforma tutta la persona, totalmente proiettata, protesa verso il Cristo, e la cambia, rinnovando i suoi sentimenti, motivando le sue scelte, connotando tutti i suoi gesti.
Per cui qui, a questo livello profondo e insieme visibile, manifesto, si genera e si sviluppa lo spirito di fede. E non sono più possibili i compromessi, le mezze misure.
Lo spirito di fede fa trasparire la sua bellezza, in tutto ciò che si vive. È la cosiddetta “visione soprannaturale”, che supera ogni orizzonte mondano, ogni raziocinio, ogni calcolo. Questo, spiega il Marmion, dovrebbe essere molto chiaro nella vita monastica:
“E ciò che è vero dell’insieme della nostra vita, lo è fino ai minimi particolari delle nostre giornate. Le mille particolarità della nostra esistenza – preghiera, obbedienza, umiltà, abnegazione, lavoro – guardate dal punto di vista naturale, dal punto di vista del mondo, possono apparire meschine, ristrette, insignificanti. Quando un uomo che si lascia condurre dallo spirito del mondo ci vede salmodiare in coro e viene a sapere che passiamo tante ore a lodare Dio, alza le spalle: che pietà vedere degli uomini perdere così il proprio tempo! Egli non comprende, né può comprendere, perché non ha la fede; la sua ragione, limitata, non gli permette di superare gli orizzonti naturali; la fede non lo fa entrare nei segreti di Dio; perciò non può capire che la nostra preghiera è una delle opere più gradite al Signore e più feconde per le anime. In simili termini si dovrebbe parlare di tutti i particolari della nostra vita monastica. La fede ci mostra il loro valore per l’eternità” [5].
Dunque:
la fede, lo sguardo di fede, apre ed amplia i nostri orizzonti: dallo “spirito del mondo” apre e dilata ai “segreti di Dio”.
Il che non significa, nella vita concreta, “camminare sui tetti”, dunque non essere realisti: significa cambiare, dal di dentro, lo sguardo sulle cose, sulla realtà. Essere intimamente trasformati dalla luce della fede, fino a venirne trasfigurati e continuamente vivificati, rinnovati intimamente. Ma questo nel quotidiano, nelle cose che ordinariamente ci accadono, non eccezionalmente, in casi eclatanti, di fronte ad eventi straordinari. Nel quotidiano!
La fede ci cambia. Cambia lo sguardo, il nostro sguardo sulla vita, sulle persone, sulle situazioni. Che diventa sguardo di fede. Spirito di fede.
E questo sguardo e spirito di fede non è eccezionale prerogativa dei monaci, appunto; appannaggio di qualche categoria privilegiata ed eletta di esseri, no.
Questo spirito di fede ci riguarda tutti: ci deve riguardare tutti, in quanto battezzati. Dunque, riguarda ed importa anche agli Oblati benedettini, in quanto cristiani motivati, convinti, coerenti, in quanto “figli di Dio” che vogliono vivere secondo il Battesimo ricevuto, in tutto e per tutto.
Ce lo spiega ancora molto bene il Marmion:
“…il figlio di Dio, sotto la scorza volgare e banale, o sotto i colori inattesi, penosi o enigmatici degli eventi quotidiani, discerne l’opera piena d’amore di una Provvidenza ineffabile e materna […] Esteriormente, l’anima che vive di fede conduce l’esistenza ordinaria di tutti gli uomini; esercita come gli altri la sua attività umana; ma l’esercita nella luce superiore della verità divina. Cristo è la verità, la luce: chi vive in questa verità è figlio della luce (Gv 12, 36) e, vivendo nella verità, la sua vita è piena dei frutti della luce, che sono la bontà, la giustizia, la verità (Ef 5, 9)” [6].
Se un battezzato vive di fede e si lascia ogni giorno illuminare dalla fede, cioè lascia che la fede diventi il suo sguardo, la sua visuale, questo si vede. La fede illumina, e si irradia:
“Non ci stupiremo quindi che san Benedetto ci richieda di lasciarci guidare in tutte le cose dalla luce della fede. Bisogna comprendere, una volta per tutte, che il santo Patriarca pone sempre subito il monaco sul terreno soprannaturale. Egli vuole che abbiamo ogni giorno gli sguardi fissi sulla luce irradiata da Dio (RB Prol. 9), per riceverne continuamente i raggi” [7].
San Benedetto nella Regola ci invita a questo sguardo quotidiano di fede: uno sguardo applicato alla vita, uno sguardo continuo e attuale, che penetra dentro le cose, che non resta in superficie… È lo spirito di fede, che supera l’apparenza, e va alla radice, al cuore, al significato profondo nascosto in ogni giorno, in ogni essere, in ogni evento, anche il più spiacevole o incomprensibile, e genera una comprensione nascosta ed intima, assieme a una gioia profonda.
Potremmo fare una prova.
Leggere la Regola, con pazienza, capitolo per capitolo, dal Prologo (così ricco della luce della fede!), fino al capitolo 73, e cercarvi in tutto ocme sottofondo la fede, scoprirne gli indizi e ritrovarne la presenza illuminante. Per comprenderla come ‘filo conduttore’ di tutto il testo.
Tutto, nella Regola, è visitato secondo questo sguardo soprannaturale, che accoglie e supera l’evidenza, in grande novità di vita. Per questo oggi, nel nostro tempo, la Regola è una bella sfida, come lo è il Vangelo. E ne facciamo esperienza al contatto vivo, e salutare, con chi varca adesso la soglia del monastero: in un’epoca che non educa più allo sguardo di fede, la visuale a cui san Benedetto invita è davvero una sfida, un’avventura controcorrente, che all’inizio non può non scuotere e provocare, per recuperare valori sacrosanti ormai sotterrati, ma vitali; energie nascoste ma colme di grazia, di vita divina, di salvezza. Provare per credere!
Sempre il nostro caro Abate Marmion, in Cristo Ideale del monaco ci aiuta ad individuare dei punti capitali della Regola in cui san Benedetto educa i suoi figli allo spirito di fede nella concretezza della vita.
Facciamo qui almeno un esempio.
- RB 2 e 63: riguardo all’Abate. Marmion si chiede: “Perché il monaco deve obbedire al suo Abate? Unicamente perché tiene il posto di Cristo” [8].
Ci vuole fede, spirito di fede per questo. Il monaco benedettino è educato, dall’ingresso in monastero, e sempre più lungo il suo cammino, a vivere della presenza di Dio. Presenza che il monaco ‘vede’, con gli occhi della fede, prima, ma poi anche con quelli del cuore (perché la fede coinvolge tutto di noi, e quindi anche gli affetti e il cuore!), ‘vede’ Cristo nel suo Abate, comunque e chiunque sia l’Abate. Questo implica spirito di fede nel concreto, nel quotidiano. Proprio il monaco Columba, incontrando il suo Abate per i corridoi o le sale del monastero, lo salutava, oltre che con il classico inchino di riverenza, con un bel “ave, Christe!” convinto. Che può far sorridere, soprattutto, oggi, ma dice bene la fede. Fede in atto, applicata, vissuta, nutrita dallo spirito, appunto. Perché, per fede, l’Abate in monastero “è il vicario visibile del Cristo invisibile, ma presente. Quindi, non dobbiamo vedere in lui semplicemente una personalità sul piano naturale, un capofila, il capo di un gruppo di monaci…” [9]. Niente di secolarizzato; la fede trasfigura. Questo è lo spirito di fede, che di generazione in generazione passa nei monasteri, ed ancora oggi vive e rende agile, lieta e feconda la sequela dei benedettini.
Ora, per degli Oblati/e, che pur vivono un’appartenenza forte a una comunità monastica, questo argomento non solo non può lasciare indifferenti, ma provoca, chiama in causa.
Ciascuno di Voi a questo proposito si può chiedere:
- Com’è la mia fede? E il mio spirito di fede?
- Ho spirito di fede?
- Guardo alla vita, alla realtà, a quanto capita, con uno sguardo soprannaturale? Ne vedo l’importanza, la necessità?
- Il mio spirito di fede in coloro che “mi rappresentano il Cristo” (il Papa, il Vescovo, i miei Sacerdoti, le legittime autorità ecclesiali…) com’è?
- Vivo, sincero? Disinteressato?
- Formale? Scettico? Deluso? Egoista?
Non è ozioso chiederselo. Perché da questa appartenenza sincera e vera, autentica, deriva anche la gioia della mia sequela, come la speditezza del mio cammino cristiano. Come la mia obbedienza! Tutto nella nostra santa Regola risponde a dei chiari motivi di fede. Ed è questo che rende semplice e spedito il cammino di un monaco (ma anche di un oblato/a!) che si lascia guidare dalla luce delle fede in tutto:
“Questa fede, questo punto di vista soprannaturale, è esteso dal grande Patriarca dalle presone alle azioni della vita del monaco: sia egli in coro, serva a tavola, vada in viaggio, dovunque il monaco è immerso da san Benedetto in questa luce della fede […] Anche le cose materiali egli avvolge in questa luce della fede, Poiché il monastero è la casa di Dio (RB 31, 19), vuole che i mobili e tutte le cose del monastero siano trattati allo stesso modo dei vasi sacri dell’altare (RB 31, 10). Il mondo troverebbe meschina una simile raccomandazione, molto ingenua e vana, ma il santo Legislatore ne giudica altrimenti. Perché? Perché la sua fede era viva, e quindi aveva capito che tutte le cose valgono agli occhi di Dio solamente secondo la misura della nostra fede” [10].
Questo è bellissimo:
- Tutte le cose valgono agli occhi di Dio; niente è vano, tutto è grande ed importante, anche le piccole cose (pensiamo quanto viene curata, in monastero, la pedagogia delle piccole cose… Essa non è piccineria o pignoleria. È una vera e propria “arte”, che si impara, di pari passo, o meglio, dentro l’arte spirituale della vita: in monastero si impara con gioia, fin dai primi passi, che niente è affidato al caso, e che tutto, anche le cose più piccole, insignificanti o spontanee, corrispondono e aderiscono a una splendida logica di Dio, a un meraviglioso disegno di amore del nostro Creatore e Padre, che noi siamo chiamati a scoprire, a riconoscere, a lodare…
- Ma questa, scusate, non è la Via Pulchritudinis di cui ci sta tanto parlando il Papa?! La via della bellezza di Dio per la Chiesa, scoperta e ritrovata nel mondo, nei suoi segni, negli indizi del Signore dovunque disseminati e presenti, nella creazione come nelle anime, anche in quelle che sembrano più lontane o restie a Lui…
- Ma tutte le cose valgono, solo secondo la misura della nostra fede! Del nostro sguardo, del nostro assenso. Il nostro concorso è importante. La nostra parte Dio la vuole, la chiede, la desidera: siamo figli, non automi!
Allora, come è grande pensare che lo spirito di fede non chiude, ma apre a possibilità impensabili! Lo spirito di fede rende acuti, coraggiosi, abili e arditi. Fa vedere sempre più in là.
San Benedetto lo dimostra ampiamente. Si legga la sua vita, e se ne farà l’esperienza.
Ma così le nostre Madri, dalla Fondatrice all’ultima e umile monaca che è vissuta nascosta in Dio entro le mura del monastero, tutte sono state invincibili, potenti, grandi grazie a questo incredibile e stupendo spirito di fede. Come si fa a non desiderarlo?!
Potrei citarvi qui tanti santi e anche coloriti esempi delle Sorelle che qui a Ghiffa ci hanno preceduto e tracciato la via della fede, abbracciando la Regola con amore. Esempi semplici, nostrani, genuini, di questa fede. Se ne potrebbero ricordare davvero tante… tra tutte, rammentiamo:
- La nostra sr. Angela, che ha sempre esercitato lo spirito di fede con un entusiasmo contagiante, forte del suo abbandono tra le braccia di Maria. Uno spirito di fede che, come lei amava raccontare, non senza gusto e soddisfazione, ha saputo esercitare fin da prima di entrare in monastero: quando la seconda guerra mondiale imperversava, ed il suo caro fratello doveva essere chiamato sotto le armi. Il che avrebbe significato, per lei, rinunciare all’entrata, vista la povertà e le necessità della famiglia. Con forza lesta la povera Ernestina – questo il suo nome di Battesimo – si aggrappò perdutamente alla Madre celeste, e, dopo aver implorato, una voce risuonò nell’intimo (la citiamo con i suoi… colori): “il tuo fratello non andrà soldato!”. Così fu, e lei varcò la soglia senza indugio.
- Suor Ildegarde, devotissima a san Giuseppe. Abile magliaia, quando rimeneva senza scorta di lana, il suo ingegnoso spirito di fede le faceva porre la piccola statua di san Giuseppe sul davanzale della sua cella… volgeva il santo verso il cancello d’ingresso del monastero, e deponeva tra le sue manine un leggero filo di lana, del colore che le abbisognava… e il santo, provvido Economo di Casa (lo è davvero sempre!), non mancava di intervenire puntualmente.
Aneddoti simpatici, e quasi fioretti di vita santa… la beata Teresa di Calcutta ne annovera tanti di questi fatterelli edificanti, poggianti sulla fede. Ma, per restare in casa, come non pensare alle peripezie della nostra Madre Fondatrice, sempre condotte e risolte sulla scia della fede? Come non ricordare gli esempi altrettanto coloriti e vivaci della nostra madre Caterina Lavizzari, come di padre Celestino M. Colombo?! La fede li ha condotti, li ha portati, li ha tirati fuori da tanti pasticci. Sì, ma noi? Il punto adesso siamo noi. Siamo disposti a vivere così?
[1] Così lo presenta, al 30 gennaio, il Martirologio romano, Libreria Editrice Vaticana 2004:
“Beato Columba (Giuseppe) Marmion, nato in Irlanda il 1 aprile 1858, ordinato Sacerdote e divenuto poi Abate nell’Ordine di san Benedetto, del monastero belga di Maredsous, eccelse come padre del cenobio e guida di anime, per santità di vita, dottrina spirituale ed eloquenza. Morì il 30 gennaio 1923”. Oltre che ad accompagnare in modo mirabile le anime, sia claustrali che laiche, Marmion è passato alla storia per i suoi importanti scritti spirituali, che attestano la trasparente profondità della sua vita in Dio, divenendo famoso con la divulgazione della trilogia Cristo vita dell’anima (1917), Cristo nei suoi misteri (1919) e Cristo ideale del monaco (1922), cui qui facciamo riferimento, e che rimane ancora oggi un manuale imprescindibile per la vita monastica ed il cammino di formazione.
[2] C. Marmion, Cristo ideale del monaco. Conferenze spirituali, Abbazia di Praglia 2013, p. 155.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem, pp. 155-156.
[5] Ibidem, p. 158.
[6] Ibidem, pp. 160-161.
[7] Ibidem.
[8] Ibidem, p. 161.
[9] S. Kleiner, Nell’unità dello Spirito Santo, Conversazioni spirituali sulla Regola di san Benedetto, Edizioni pro Sanctitate, Monastero S. Giacomo di Veglia (TV) 1980, p. 235.
[10] C. Marmion, Cristo ideale del monaco, cit., pp. 161-162.
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