Un ponte tra Ghiffa e Alatri. Per dare più luce alla terra!
Giornata ‘storica’, quella di oggi: il nostro Incontro è, infatti, un gemellaggio. Gli Oblati di Alatri sono venuti a visitarci! Ed è un gemellaggio che rinnova la storia, che rinsalda un’alleanza, che ci riporta tutti insieme, nella gioia, a fare memoria doverosa e grata. Doverosa, per chi non sa… grata, per tutti, e insieme!
Memoria delle nostre radici, del bene e del coraggio che ci hanno testimoniato le nostre Madri, donandoci una bella storia sacra. Storia che qui ricordiamo a partire dal 25 marzo 1927, quando alle ormai anziane e poche monache Benedettine dell’antico monastero di Alatri giunse la prima risposta della madre Priora di Ghiffa, M. Caterina Lavizzari, in merito alla loro richiesta di aggregazione all’Istituto, incoraggiate dall’Abate di Montecassino, Dom Diamare.
Scrivono le care madri:
“Fu per noi tutte una vera consolazione; si cominciò a vedere un po’ di luce e bene si pronosticò, perché la lettera giungeva il giorno della Madonna Annunziata, titolo del monastero; dicemmo, fra la più dolce consolazione: ‘È la Madonna che viene in nostro soccorso: tutto otterremo’. I fatti non smentirono la nostra fede. La settimana seguente pervenne un telegramma della Rev.da Madre Caterina, preannunziante il suo arrivo. Una nostra convittrice si recò a riceverla alla stazione. Ella scese dal trenino che fa servizio a Frosinone, Fiuggi, Roma, accompagnata da altra suora, la Rev. Madre Imelda, Priora di Teano, e, dopo le presentazioni, le Rev. Madri si avviarono al Monastero, distante dieci minuti di cammino. Soltanto allora la convittrice si accorse che madre Caterina camminava un po’ a stento, appoggiandosi al bastone. Le fece le sue scuse per non aver contrattato una vettura, non prevedendo il disturbo; al che la buona Madre rispose ridendo: ‘non potevo mettere sul telegramma che sono zoppa’.
E, con la concretezza del suo realismo, madre Caterina comincia a prendere accordi, sia con le anziane e buone monache, che con il loro Vescovo, mons. Antonio Torrini, favorevole ed incoraggiante le trattative di aggregazione. Colpisce, nella lettura della cronaca dei loro colloqui, la serena sicurezza di madre Lavizzari, protesa verso la debolezza della Comunità che chiede aiuto, e tanto comprensiva nel porsi dal loro punto di vista, rasserenando gli animi.
Si trattava di una Comunità in difficoltà, di un monastero antico e fatiscente… ma la nostra madre Caterina non si presenta come la “salvatrice”… apre il suo cuore al dono.
Colpiscono alcuni tratti della sua lettera alla Comunità di Ronco, del 30 marzo 1927, in cui informa del clima spirituale di povertà in cui versa l’antico cenobio benedettino di Alatri. Monache vecchiette, ma di buono spirito, anime semplici e pie, “tutte pare sospirino la riforma”. Tasta il polso della Comunità la cara Madre, e, trovandolo buono, desideroso di vita autentica, va avanti, incoraggia, promuove e sostiene. Ecco cosa fa la Madre: non dice: “io salvo!”, ma apre con umile serenità il suo cuore, la sua persona, la sua Comunità di Ghiffa, al dono, alla dedizione larga e buona. Questo è stato il primo passo molto bello. Ed è un primo punto di verifica per noi, sempre.
Guardare a queste nostre radici, e chiederci se abbiamo sempre, noi monache ed oblati/e insieme, questo bello spirito benedettino:
ho buon spirito?
Vedo e voglio il positivo?
O sono difficile, trovo sempre il negativo in tutto, e non me ne va mai bene una?
Madre Lavizzari ci dimostra questo spirito buono benedettino. Era pronta ad aggregare Comunità che vivevano delle fatiche, delle povertà reali e consistenti: numeriche, di età avanzata, povertà materiali, spirituali… ma lei non si arrendeva, non vedeva il peggio; lei per prima infondeva a se stessa e alle sue monache la qualità di uno spirito buono, evangelico, positivo.
E questo è molto importante oggi, come ci ricorda bene Papa Francesco. Sarebbe andata d’accordo, molto d’accordo, la nostra madre Caterina, con Papa Francesco. Prendiamo, a proposito, i nn. 84-85 dell’esortazione apostolica Evangeli Gaudium, per un confronto salutare:
“La gioia del Vangelo è quella che niente e nessuno ci potrà mai togliere (cfr Gv 16, 22). I mali del nostro mondo – e quelli della Chiesa – non dovrebbero essere scuse per ridurre il nostro impegno e il nostro fervore. Consideriamoli come sfide per crescere. Inoltre, lo sguardo di fede è capace di riconoscere la luce che sempre lo Spirito Santo diffonde in mezzo all’oscurità, senza dimenticare che ‘dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia’ (Rm 5, 20). La nostra fede è sfidata a intravedere il vino in cui l’acqua può essere trasformata, a scoprire il grano che cresce in mezzo alla zizzania […] Una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore è il senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura. Nessuno può intraprendere una battaglia se in anticipo non confida pienamente nel trionfo. Chi comincia senza fiducia ha perso in anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti. Anche se con dolorosa consapevolezza delle proprie fragilità, bisogna andare avanti senza darsi per vinti…”
Madre Caterina ha combattuto molte battaglie a favore dell’Istituto, e spesso le ha vinte, aggregando e rinsaldando numerose Comunità, sempre sulla base di precisi e accorati appelli di Vescovi del Sud e del Centro Italia. Non ha mai agito di testa sua. Non voleva fondare o aggregare, non desiderava espandere la Comunità di Ghiffa. Anzi, ogni esodo era per lei una sofferenza, per la Comunità un fardello gravoso. Eppure, la madre ha sempre detto di sì, perché ha sempre obbedito alla Chiesa, con semplicità, nel nome di Cristo. E ci ha creduto. Ha avuto fiducia.
Ha infuso fiducia. Non è che non ha visto le difficoltà. Ma si è fidata del Signore, sempre, con coraggio anche eroico, superando se stessa, vincendo ogni egoismo, ogni comodità, ogni interesse personale o comunitario. Sempre ha donato, e senza pensarci troppo (se non ci pensava lei, ci pensava padre Celestino… e a lei toccava obbedire!), le Sorelle più idonee, più capaci, più generose, togliendo a sé, a Ghiffa, per il bene delle Comunità rinascenti. Alatri ne è una prova.
Così, qui non fa pesare alle anziane monache la loro indigenza e povertà. Le apre a Dio, perché lei per prima è aperta a quel che Dio fa e sta per fare. Con il suo cuore buono, con il suo spirito buono, da vera benedettina, madre Caterina ci mette del suo – con Gesù, naturalmente! – per fare più bella la terra di Ghiffa, prima, e poi di Teano, di Alatri, ecc…
Certamente quel piccolo, sparuto drappello di monache era titubante sul futuro… e chiede alla Madre, nel caso di nuove aspiranti ad Alatri: “Il noviziato si fa a Ronco, naturalmente?”… la Madre: “No, ciascuna lo fa nel proprio monastero…”. Specificando, poi, che per i primi anni, sì, per poter uniformarsi allo spirito dell’Istituto, era ovvio un occhio vigile e una presenza fisica delle monache di Ghiffa… poi, però, l’autonomia giuridica avrebbe garantito alla Comunità di camminare, rimanendo in piedi sulle proprie gambe, anche se, con altrettanto buon senso, aggiunge sorridendo: “Vuole dire che della mamma si ha sempre bisogno”, confermando, così, che l’autonomia non può mai fare a meno della fiducia, della consegna di sé, dell’apertura del cuore e trasparenza di vita: altri tratti tipicamente benedettini.
Questo primo colloquio tra madre Lavizzari e le monache di Alatri si protrasse a lungo, e, al termine, qualcuna di loro esclamò: “Vorrei avere 18 anni per poter ricominciare il noviziato!”. Il buon seme era gettato. Seme evangelico, benedettino, eucaristico.
E questo non senza sacrifici da parte della benedetta Madre Caterina, di costituzione robusta solo in apparenza. Infatti, mentre lasciava il monastero, si scatenò un improvviso acquazzone, che la bagnò e inzuppò tutta. Sul momento la Madre visse questo episodio con allegria, riconoscendovi un segno della benedizione celeste. Poi, però, ne pagò a lungo le conseguenze, faticando a riprendersi dalla bronchite. Così è che le trattative per l’aggregazione si protrassero, anche se non lungamente, come per altre Case. La nuova priora, su decisione repentina e ferma di padre Celestino Maria Colombo, sarà suor M. Scolastica Cattaneo, figlia tanto amata da madre Caterina, così che non potrà non esclamare: “Quanto costano queste fondazioni!”. Decisione che sarà appropriata, in quanto madre Scolastica, nelle sue molteplici doti e indefessa donazione, era a Ghiffa e sarà ad Alatri un modello d’obbedienza e di fede adamantina, tanto perduta in Dio, quanto concreta nel compimento delle non poche incombenze che l’attenderanno, in mezzo a una Comunità ridotta all’osso e a uno stabile da ripristinare.
La mattina del 27 ottobre 1927 giunsero così le prime Sorelle di Ronco. Passarono da Roma, si recarono in Vaticano e furono ricevute in udienza dal Santo Padre, che le benedisse, assieme a tutta la Comunità alatrina. Giunsero ad Alatri alla sera. Seguiamo qui la cronaca:
“Chi può descrivere la felicità di questo momento? La porta claustrale si apre, si illumina alla meglio con più candele l’ingresso (c’era la luce elettrica, ma solo poche lampade nei luoghi principali). Ai ‘benvenuta!’ seguirono le frasi più espressive di riconoscenza. Si andò subito in Chiesa per ringraziare Gesù, e dopo una breve refezione, le buone Madri furono accompagnate nelle loro celle, per lasciarle riposare dalla stanchezza del lungo viaggio e per le emozioni passate nell’aver dovutolasciare il loro nido di Ronco e l’amatissima Madre Caterina. Sacrificio da tutte ben compreso e valutato, ma che maggiormente preparò in Cielo il premio dello Sposo, avendo agito generosamente per obbedienza e per portare nelle anime l’amore a Gesù Eucaristia”.
Ed ecco che subito, il mattino successivo, senza preamboli, madre Maria Scolastica Cattaneo viene nominata Priora.
“Ella lesse davanti all’altare, ove vi era un quadro del Cuore Immacolato di Maria, una bellissima preghiera, per metterci tutte sotto la protezione della Madonna. Poi si cantò: ‘O Maria, nostra Speranza…’. E tutte le Suore si commossero profondamente…
Da quel momento ebbe principio la nuova vita monastica benedettina con vero risorgimento morale, mediante lo zelo indefesso delle reverende Madri restauratrici”
Spirito mectildiano e zelo cateriniano… e c’era tutto! Chi era pronta a donare la Vita, con generosa dedizione e lieta dimenticanza di sé, per la gloria del SS. Sacramento e per la salvezza di nuove anime, aveva ben ricevuto ed assunto quei fondamenti monastici ed eucaristici che erano il tesoro del nostro Istituto. Chi riceve, dona… e dona con chiarezza, luminosità di indirizzi, perché chiara e luminosa è stata la via che ha generato questa nuova vita.
Madre M. Scolastica dello Spirito Santo si mette subito all’opera, e punta al ripristino della S. Regola, all’adorazione, all’unità, alla riforma di vita, alla carità, alla regolarità, alla clausura, al restauro dei locali del monastero, senza risparmiarsi. Infonde nelle anziane monache il nuovo spirito mectildiano, con fede e con tatto, con energia e calore.
Risalta, e l’epistolario custodito nei nostri archivi ne è testimone, il legame forte con Ronco, della figlia Scolastica con la madre Caterina, delle nuove figlie con le madri, che è sempre – questa unione soprannaturale, questo legame di fede e di amore, nello spirito benedettino, la vera ‘carta vincente’ delle missioni, contro ogni insidia e tentazione. Forza dell’obbedienza, forza dell’umiltà. Niente vien scelto o fatto da sé, per sé. Tutto è confrontato, sottoposto, chiesto, confidato con semplice e umile fiducia a madre Caterina. Qui, nel legame spirituale, di fede, di dipendenza bella, tersa, pulita con Ghiffa, in Domino, sta il successo e la fecondità delle nuove e risorgenti Case. E questo vale per ieri e per oggi, sempre.
C’è da dire che madre Lavizzari, l’epistolario parla davvero, portava queste sue figlie e nuove “abbadessine”, come affettuosamente le chiamava, aiutandole con lettere copiose e puntuali sia nel cammino dello spirito che nell’andamento pratico delle nuove Case: indirizzava, dispensava dal cuore tanti bei consigli, raddrizzava il tiro dov’era necessario, parlava sempre chiaro, metteva in guardia dagli eventuali pericoli.
Si creava così una corrente spirituale e di vita sempre attiva, in crescita. Per una formazione continua, davvero permanente, nel legame personale e comunitario. Questo faceva la storia, tesseva rapporti vivi e trasparenti, che fugavano le ombre e tenevano lontane pericoli, nostalgie, mormorazioni.
Insomma, madre Caterina era vigile sulle Case che venivano aggregate: non dormiva, vegliava, con cuore materno, pastorale, con occhio sicuro e sguardo acuto, che infondeva sicurezza e grande senso di famiglia. Ci metteva del suo, si coinvolgeva, teneva in mano le situazioni, sia con la penna che con i viaggi diretti, nonostante la salute cagionevole e l’età che avanzava. Teniamo infatti conto che Alatri è aggregazione del 1927, e la madre è sessantenne. Morirà nel 1931.
Stralciamo, da queste numerose lettere in cui scorre viva la linfa del nostro spirito, alcuni passi interessanti, e anche curiosi e simpatici, in cui, assieme al buono spirito, riconosciamo subito il senso pratico, nonché l’umorismo di madre Caterina, che indirizza e consiglia con cuore largo:
“Mia carissima Sr. Scolastica e carissime figlie di Ronco,
ricevo ora le vostre care letterone… le metto sul Cuore del mio Bambino[1], perché vi risponda direttamente al cuore… state nette, rette, sempre date, dite con generosità la vostra Messa, mettete il sangue del vostro cuore (lacrime poche) nel Calice di ogni istante e continuate in voi la vita di Gesù, per Gesù Ostia. Godiamo della vita soprannaturale che si è ridestata in monastero – Gesù esposto, la Madonna, l’Ufficio, il canto… brave! […] Ordine all’altar maggiore, ma poi… suor Camilla non deve fare il sacrista: tieni a mente che è parrocchia e non dare abitudini che poi bisogna mantenere. In generale ringrazia il Signore delle buone disposizioni di tutte, ma non appoggiarti troppo… Prega e sta a vedere… […] Tu conserva l’ardore del buon zelo – è un dono di Dio per la tua obbedienza cieca a’ tuoi Cristi: non dubitare. Sta umile, fuori di te, sopra le creature, e Gesù e Maria ti porteranno, vi porteranno con misericordia piena, con grazia e forza sovrabbondante…”
novembre 1927
In altra lettera a madre Scolastica, sempre del novembre del ’27, madre Caterina toglie alla giovane priora ogni scrupolo in merito a un’aspirante non idonea, dimostrando una bella chiarezza nel discernimento degli spiriti, senza indugio: “Per la conversa che dici terribile, se mai, porta aperta, e grazie se la infila… con queste tali non bisogna spiritualizzare…”. Era così, madre Caterina, retta e netta, spiccia, limpida in Dio. E così voleva le figlie di Alatri, e tutte noi. Così vuole anche gli Oblati: retti, netti, chiari, non contorti. Vedere tutto in Dio, in confidenza piena, senza polemiche.
Nella lettera de 9 febbraio 1228 apprendiamo che la Comunità ad Alatri sta aumentando: “Ringrazio Dio che ti abbia mandato tante agnellette. Così si forma presto la prima generazione con l conseguente regolarità, cerimonie, ecc. Benedico tanto. Fa pure con largo e savio criterio quello che ti pare meglio per le cerimonie. Con Mons. Vescovo da’ cose fatte…”
Si noti il consiglio del “largo e savio criterio”. Prima di tutto largo, ampio, buono, non pesante, non penalizzante. Non rigido. Largo. Madre Caterina tiene conto dell’età e della condizione delle monache, della situazione concreta: la mano larga è la prima cosa che consiglia a madre Scolastica, per accattivare spiriti e cuori, per alleggerire ogni difficoltà. Mano larga, comprensiva, benevole e benefica, unita a buon senso. Siamo sempre qui. Il cuore che passa nella vita. Madre Caterina vedeva le cose in concreto, ma sempre a partire dal suo cuore materno, e voleva che anche le sue figlie mandate in missione fossero queste braccia buone della maternità-paternità di Dio. Se no, non si edificava. Non sarebbe servito a nulla aggregare. Non si costruiva lo spirito!
Vediamo, infatti, cosa scrive in particolare a madre Scolastica, sempre nel 1928. Son parole di spessore programmatico:
“…grazie del tuo bene che sono certa mi proverai costantemente con il tuo spirito semplice, retto e docilissimo. Seguo tutta la tua azione, la vostra nuova vita, che è quella di tutte le nostre care missionarie nei primi tempi, e prego tanto Gesù Ostia di operare in voi, distruggendo voi: così tutto sarà in benedizione. Ogni giorno la sua croce, ogni giorno la sua consolazione, sempre la gioia di amare e far amare Gesù, introducendo a poco a poco tutta la vita e lo spirito dell’Istituto. Il lavoro si è esteso per te, ma la grazia sarà sovrabbondante se sarai fedele e pura di te medesima…”
Notiamo qui i tratti del nostro spirito, che valgono bene per gli Oblati/e, come programma:
Che stoffa di monaca la madre Caterina! Che formazione aveva e donava, voleva, esigeva dalle sue figlie, soprattutto se responsabili di altre monache da formare ed educare. Vediamo su che fondamenta è stata costruita la Casa di Alatri, nel rapporto quotidiano, vivo, con Ghiffa. Un ponte spirituale solidissimo, che ancora oggi è sorgente di vita per tutti noi, attualissima fonte, che può fare più vere, più fresche, più belle le nostre vite.
Sentiamo cosa scriveva – e anche qui, non senza il consueto umorismo – riguardo alle vestizioni, in un clima che si era svigorito, privatizzato in benefici, stabilizzato in privilegi, grazie all’intervento di parenti, benefattori, ecc., ed era realmente bisognoso di conversione dal privato al comunitario, dal bene individuale al bene comune. C’era da riformare, né più, né meno: “Prima di vestire le suore alla nostra moda, bisogna che tutte siano disposte alla vita comune… se non ottieni prima, dopo sarà più difficile”. Retta e netta, chiara, senza indugio. Questa è la scuola di madre Caterina, donna e madre soda, che non stava a guardare mai le cose troppo per il sottile, ma in tutto cercava la gloria del Signore ed il bene delle anime.
Quest’altra missiva a madre Scolastica, della Quaresima 1928, è significativa. Fissa il programma ed offre indicazioni per una vera scuola di preghiera comunitaria, per infondere nella comunità risorgente uno spirito di pietà, fervente nel rapporto personale con il Signore, stimolando madre Scolastica a curare il terreno affidatole, facendo tutto il possibile, senza per questo trascurare il suo cammino:
“…la tua lettera merita una pronta risposta. Veramente desideravo che mi mettessi al corrente un po’ concreto. Ogni tre mesi circa può bastare per rinnovare permessi, ecc. Ringrazio il Signore che ti aiuta. Il cammino non è certo facile: la croce non manca, ma appunto per questo vi sarà grazia sovrabbondante. Dunque: 1) per l’adorazione perpetua, più presto la metti, meglio è. Gesù saprà ricompensare la guardia, da Gesù. Insegna alle Suore in modo facile ed elementare il modo di impiegare con frutto l’ora di adorazione. Scendi al particolare, fissando preghiere, intenzioni, Rosario, spiega il Pater, l’Ave, insegna gli atti di contrizione, la rinnovazione dei voti, l’esercizio di ravvivare la fede nella presenza di Gesù vivo, i Suoi occhi che vedono, giudicano, aiutano, ecc. […] Se la coscienza si forma e la vita interna diventa attiva, il regno di Dio non può mancare, e il resto sarà per sopra più […] Per la tua adorazione, ogni tanto trova una buona tirata da rientrare in te stessa e far rientrare ben bene Gesù in te… e supplisci con visitine fervorose, intenzioni rinnovate, immolazione pratica, amata e offerta con gaudio di volontà, umiltà e fede sempre…”
Tutto questo ha il sapore di una grande donazione, costante, continua. Il cammino non è certo facile, riconosce madre Caterina. Inutile illudersi. La vita nuova che madre Scolastica e le Sorelle vanno generando in Cristo ad Alatri ha un prezzo, e deve averlo. La croce non manca, ma appunto per questo vi sarà grazia sovrabbondante: era questo il leit-motiv di madre Caterina. La presenza della croce è il segnale di grazia appostata, appena dietro l’angolo… e sovrabbondante!
Questo ottimismo di fondo, che apre alla speranza, dentro le prove e le traversie delle nuove Case, è una costante della Madre, trasmessa alle figlie di Ronco e delle altre Comunità.
Ma è ancora patrimonio nostro?
Ce l’abbiamo ancora, noi, questa sana e santa consapevolezza, che la croce porta grazia?
Lo chiediamo a noi monache, prima di tutto, alle nostre comunità, perché anche gli oblati possano crederlo: ci alimentiamo di questa certezza di fede?
La croce produce grazia. Non è facile dirlo, e ancora è meno facile viverlo. Ma quale consolazione provare almeno, a crederci, a farne esercizio nelle occasioni. Questo desiderava allora madre Caterina. E certamente ce lo desidera anche per oggi.
Nella lettera del 11 aprile 1929 scriveva a madre Scolastica: “Vedi tutte e tutto con l’occhio della fede: porta Cristo sacrificato; porterai in cielo Cristo glorioso, e lo farai regnare in terra”.
Nella lettera del 16 marzo 1930, segnata da ombre e tristi presagi in riferimento alle sofferenze inferte a padre Celestino M. Colombo da chi più lo dovrebbe sostenere [2], conclude:
“Cerchiamo Dio, cara figliola! E andiamo diritte a Lui, come una palla di cannone, direbbe il Curato d’Ars. E tu, cara Abbadessina in erba, prepara ogni giorno le spalle alla croce di nostro Signore, e mantieniti sempre il piccolo grano di frumento disposto a marcire. È il segreto per fare meno male il lavoro del solco a noi assegnato dal divino Padrone”
Questa è la via delle Figlie del Santissimo Sacramento: via eucaristica. Dal rinnegamento di sé, dalla mortificazione, la vita, la vita più bella, più pura. Per far splendere Gesù nella Chiesa.
C’è il rischio, in particolare oggi, anche nei nostri monasteri, che ci dimentichiamo che è proprio questa la nostra strada, e solo questa. Da Ghiffa ad Alatri, sempre. Anche per gli Oblati/e.
Vedete che spunti per un vero esame di vita ci offre il modello di questa bella aggregazione!
Storia di ieri, e storia di oggi.
Madre M. Scolastica Cattaneo, prima priora di Alatri, tutto questo l’ha vissuto, da degna figlia di madre Caterina. Cogliamo, dai suoi scritti, alcune note, anche qui programmatiche, come un testamento, per noi, oggi:
“Non ripiegarti mai su te stessa. Non perderti in lamenti, in soliloqui, scusando te stessa o criticando le altre; peggio, poi, se discuti sull’obbedienza. Cerca di fare bene l’esame di coscienza: rinnovi i santi Voti ogni mattina e ogni giornata? Sei assetata di compiere sempre e solo la volontà di Dio, e voli… pur di essere sempre la prima alla voce dell’osservanza? […] Avanti! All’opera, mia figlia prediletta, al lavoro, ma sodo, senza mai fermarti…
La tua forza sia la preghiera. La diffidenza di te, del tuo giudizio, confidenza illimitata nella Misericordia.
Al tuo Gesù abbandona il passato, il presente, l’avvenire. Tu cammina sulla nave dell’ubbidienza, sull’aereo della fede nell’intimità col tuo celeste Sposo. […] E allora Dio ti invaderà, ti trasformerà in Lui. L’amore per la Chiesa, per il S. Padre, per tutte le anime, per ogni sofferenza, sarà l’assillo, il movente, il perché della tua esistenza, e ti sentirai sempre serena. Nulla verrà a toglierti quella pace che il Signore venne a portare… e che è l’ultimo tesoro, e te lo auguro oggi, sempre…”
Sia augurio di conversione e di vita pasquale per tutti noi. Per dare più luce alla terra!
[1] Madre M. Caterina Lavizzari è di Gesù Bambino (cognome monastico)! E ancora oggi, la bella statuetta del Bambino di Madre Caterina è conservata dalla priora di Ronco con fede e grande cura.
[2] Questa lettera è una chiara attestazione della partecipazione intima di madre Caterina e delle figlie alle sofferenze profonde e misteriose del loro padre, Celestino Maria Colombo, il primo a vivere con virtù eroica il nostro carisma pasquale, di offerta piena di sé, in Cristo, per la fecondità del nostro Istituto. Padre Celestino con la vita indicava la via, e madre Caterina la mostrava alle “Abbadessine in erba” e a tutte le figlie. Vangelo vivo, che sempre si diffonde per testimonianza, concretissima: con il sangue, la perdita di sé nell’amore.
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