La fede nella Regola di san Benedetto.
Cammino di fede, fede in cammino
Domenica 23 settembre 2012,
Incontro Oblati
Riprendendo con gioia il nostro cammino annuale sulla Regola di san Benedetto, ci dedichiamo oggi al grande tema della fede. E non potrebbe essere altrimenti. Sappiamo, infatti, che il santo Padre Benedetto XVI, con la Lettera Apostolica in forma di motu proprio “Porta fidei” ha indetto l’anno della fede, e che questo importante anno che coinvolge tutta la Chiesa è alle porte:
“…ho deciso di indire un Anno della fede. Esso avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre 2013. Nella data dell’11 ottobre 2012, ricorreranno anche i vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, testo promulgato dal mio Predecessore, il Beato Papa Giovanni Paolo II, allo scopo di illustrare a tutti i fedeli la forza e la bellezza della fede” [1].
Vogliamo allora introdurci fin d’ora nella forza e nella bellezza di questa “porta della fede”, così urgente in un tempo storico come l’attuale, e farlo con la grazia e la visuale di san Benedetto. Seppure molto in sintesi, cercheremo di cogliere il ruolo e l’intensità della fede nella vita e nella regola di san Benedetto, per aprirci così, anche come Oblati, a questo dono ecclesiale.
San Benedetto, uomo di fede
Dando solo una rapida lettura all’unica fonte storica della vita di san Benedetto, cioè il secondo Libro de I dialoghi di san Gregorio Magno [2], il tratto rilevante della personalità di Benedetto, anche umanamente, è proprio la fede.
Abbiamo detto: umanamente. È importante. Non c’è il santo, se non c’è l’uomo. Santo perché umano, umanissimo. Uomo di Dio, il grande papa Gregorio continua a definire, in questa sua ‘biografia’, il nostro Benedetto.
- Uomo di Dio
- Benedetto di nome e di grazia: che realizza il suo nome nei fatti, in concreto!
- Servo di Dio: serve, e resta libero; rimane creatura di Dio, quindi piccolo, senza troni; non cade nell’idolatria del possesso e dell’autocompiacimento; dunque, è capace di amare davvero, senza mai trattenere a sé il frutto del suo servire… Senza legarsi ai risultati raggiunti.
Benedetto, lo vediamo nei Dialoghi, avanza sempre, va sempre oltre nella sua vita, mosso solo dal desiderio di Dio (e che cos’è la fede, se non desiderio di Dio?) senza mai cullarsi sugli allori; sì, avanza continuamente nella fede e nell’amore, beneficando il prossimo, e insieme purificando ogni intenzione e progetto suo e del prossimo nei suoi riguardi.
Un’umanità piena e compiuta, davvero riuscita, quella di Benedetto, perché si mantiene nel tempo serena e modesta, senza mai… “mettere la cresta”, senza presumere, fidarsi d’altro che del Signore. La sua forza sta proprio nella fede: nel suo basarsi assolutamente su di Dio. Questo lo lascia libero e lo fortifica, strada facendo. Questo lo matura e lo rende sapiente, autentico maestro di vita.
Uomo di Dio, uomo di fede. La sua vita è tutta una scuola di fede.
Se leggiamo gli episodi che san Gregorio tratteggia – sembrano ‘quadretti’, tanti piccoli aneddoti, un florilegio di opere dalla morale chiara e immediata – vediamo come il nostro santo passa portando alla luce le intenzioni dei cuori, evidenziando il bene, scardinando il maligno dalle sue tane, superando le insidie, e glorificando in ogni cosa la verità. La dinamica è sempre questa, in tutti i racconti.
Ma per vivere così, ancorati al bene, alla ‘roccia’ che è Dio, ci vuole fede.
Occorre non desistere mai dalla fede come ‘cammino’: cammino di fede, e fede in cammino. Benedetto non si sente mai un arrivato. Trae frutto da tutto e da tutti. Se la fede in lui è un dono, è però anche un compito, una missione da portare avanti sempre, con perseveranza. Una missione che è in lui un appello per i fratelli, davanti a Dio. L’uomo e il santo, crescono insieme nella fede in cammino.
Dal primo miracolo operato da giovinetto – quello del vaglio rotto dalla nutrice, da lui ricomposto (e qui si vede come Benedetto sia attento agli affetti e alle relazioni umane) – fino alle soglie della sua morte luminosa, Benedetto affina continuamente la sua fede. Che sa e sente piccola, ma in crescita, dentro la potenza di Dio. Anche quando opera miracoli, Benedetto non ne è mai protagonista, perché vive ogni evento che ha del prodigioso dentro la forza unica della preghiera.
Anche – ed è un caso eclatante – nell’episodio del fanciullo risuscitato (Dialoghi, 32), Gregorio scrive: “vi narrerò un grande miracolo che egli ottenne con la preghiera”. Con la preghiera, con la fede dei santi. Con la fede dei piccoli: infatti qui Benedetto, sulla scia dei miracoli evangelici, opera il miracolo grazie alla fede del padre del ragazzo, grazie all’insistenza di questo papà nel dolore. E Gregorio Magno conclude: “Qui è chiaro che questo miracolo non l’operò per potere posseduto, perché per poterlo compiere, dovette chiederlo prostrato per terra”.
Opera nella piccolezza, forte di Dio. Il potere riconosciuto solo a Dio divine grazia, grazia operante. Ecco la fede: credere nell’opera di Dio, in atto nella tua vita.
“Tutto posso in Colui che mi da’ la forza” (Gal 2, 20). La vita di san Benedetto è testimonianza viva di questa fede all’opera, in cammino, sempre in crescita.
E io?
Come entro in questa “porta fidei”, che si apre davanti a me?
Come sto, quanto a fede? Qual è lo stato di salute della mia fede?
Desidero crescere nella fede?
Che cosa mi ostacola nel cammino di fede?
La Regola benedettina sotto il filtro della fede
Sarebbe interessante leggere la “piccola regola”, coma chiama Benedetto il codice di vita stilato per i monaci, alla luce della fede. Fede in cammino, appunto. Più volte e in più occasioni ci è capitato di affermare che l’immagine più bella del monaco benedettino – e quindi dell’oblato – è il cammino. Il dinamismo e non la stasi è il tratto saliente della nostra vita per il padre dei monaci d’Occidente: e il bello è che facciamo voto di stabilità!
Stabili sì, in Cristo, ma mai fermi. Sempre dentro una fede che cresce, una fede nuova, che si colora ogni giorno della dinamica bellezza del Vangelo.
Ascolta, figlio (Prol., 1): accoglienza, disponibilità, apertura, reattività. Questo è il passo della nostra Regola.
Si tratta di camminare, e non di starsene seduti. Si tratta di “ritornare a Colui dal quale ti eri allontanato cedendo alla pigrizia…” (Prol. 2): di un cammino di ritorno. Di un’alba nuova: “Leviamoci dunque, finalmente… È ormai tempo di svegliarci dal sonno” (v. 8). Un cammino che mette gioia nel cuore, e che, nel suo dispiegarsi diviene, armoniosamente, una corsa: “Correte mentre avete la luce…” (v. 13).
La Regula Benedicti è tutta un camminare, un procedere ‘robusto’ – così lo vuole san Benedetto - che poi sfocia, con il passare dell’esperienza e degli anni (!), in una vera e propria ‘corsa’, al seguito del Cristo glorioso. La corsa, ossia lo slancio ardente del cuore, si libera in proporzione alla fede:
“…il Signore, nella sua grande bontà, ci mostra il cammino della vita. Munìti dunque di una fede robusta e comprovata dal compimento delle buone opere, procediamo sulle sue vie, sotto la guida del Vangelo, per meritare di vedere Colui che ci ha chiamati al suo regno” (Prol. 21).
Morale: se non cammini, se non procedi, non vedi.
Se non credi, se non ci metti la fede, e una fede robusta, operativa, comprovata dalle opere, dai fatti, non arrivi a contemplare Dio. La contemplazione non è sulle stelle, ma nei fatti. Non incontri davvero il Signore, se non parti dalla fede, se non ti giochi la vita nella fede: senza la fede in primis non fai veramente esperienza di Lui.
Come ha detto molto bene il Santo Padre Benedetto XVI alla preghiera dell’ Angelus di un mesetto fa: prima si crede, e poi si comprende. Se aspetti di capire tutto, che tutto sia chiaro davanti a te, per credere, non parti più [3], non avrai slanci né luci, non capirai nulla. Per capire, bisogna prima fidarsi: entrare nel mistero, e quindi comprendere. Credo ut intellegam (sant’Anselmo). Il che non significa che la fede sia irrazionale, no. È ragionevole l’atto di credere: ma prima lo attui, meglio credi, e meglio comprendi.
Che forza, la fede! Questione di slancio, di vita, di corsa, appunto.
Lo stesso ci dice Benedetto: prima credi, prima bùttati, e poi vedrai, capirai, ‘toccherai’ con mano la presenza viva di Dio nella tua vita.
Lo vediamo, questo, in tanti capitoli della Regola. Anche in quelli più semplici, più ordinari, più apparentemente scontati. Perché la “mistica” benedettina, ormai lo sappiamo, perché è un po’ che ce lo andiamo dicendo, passa attraverso la concretezza della vita. Non è sulle stelle, appunto.
Prendiamo ad esempio RB 22: Come devono dormire i monaci. Niente di più quotidiano. Eppure… nel regolare, nel dare un ordine, Benedetto punta sempre in alto, e da’ forza allo spirito: andiamocelo a leggere questo capitoletto, simpatico anche, per come il padre del monachesimo occidentale si sofferma sui dettagli, in riferimento ai monaci del suo tempo, ai quali chiede di dormire… senza coltelli al fianco, per evitare di ferirsi, inavvertitamente, nel sonno. Ma, sotto tutto questo regolare, organizzare, prevenire ed istruire, da parte di Benedetto, c’è una regola di vita, cioè una sapienza spirituale, che viene fuori: il monaco è un vigilante; l’orante non può essere un dormiente, un pigro, uno che si lascia andare… Dice, qui, san Benedetto: “Così i monaci si tengano sempre pronti, e appena è dato il segnale, si alzino senza indugio e si affrettino cercando sempre di prevenirsi a vicenda nell’andare all’Opera di Dio…” (RB 22, 6).
La fede come vigilanza, Diciamo pure – sempre però con armonia… monastica! – la fede come stare pronti, come ‘santo combattimento’, come buona battaglia per il Regno. Non c’è posto per la pigrizia o per il barcamenarsi. L’identità benedettina è netta, inequivocabile, limpida.
Un bel programma per l’Anno della Fede, vero?!
Si potrebbe, in ogni capitolo della Regola, trovare un insegnamento di san Benedetto sulla fede: fede in Dio, ma anche nella Chiesa, cioè nella Comunità, nei fratelli, nel prossimo, nella vita. In Dio Creatore, operante sempre negli eventi.
Così, il primo capitolo della Regola – de I diversi generi si monaci – rivela la fede ecclesiale di Benedetto: quando tratta e valorizza il genere dei cenobiti, ossia di coloro che “vivono in monastero e obbediscono a una Regola e a un Abate” (RB 1, 2), egli li chiama “fortissima stirpe” (v. 13). Dove l’obbedienza alla Regola e all’Abate, alla vita comune, richiede fede; e tale esercizio continuo di fede che è l’obbedienza, rende forti, capaci di riconoscere e di respingere il male. Fede nella comunione, dentro la Chiesa: fede che ci si offre reciprocamente, aiutandosi a credere.
Ma anche nel secondo capitolo – come deve essere l’Abate – san Benedetto mette in luce la fede che è richiesta sia ai monaci che all’Abate: “per fede sappiamo, infatti, che nel monastero egli (l’Abate) tiene le veci del Cristo” (v. 2). E se i monaci esercitano la propria fede trattando ogni giorno con l’Abate per tutto ciò che riguarda non solo l’andamento della vita e della Comunità, ma anche, e soprattutto, riferendosi a lui per la propria anima, credendo che attraverso l’Abate, e specificatamente attraverso l’Abate, vanno a Dio – e non per vie traverse: anche qui, verticalità e limpidezza! – emerge altrettanto chiaramente, leggendo questo secondo capitolo, quanta fede è richiesta all’Abate nel compimento del suo mandato! Quanta fede, quanta luce, quanta soavità di cuore e fermezza di tratto… Perché, se l’Abate non guarda al Cristo, e fortemente, non ce la fa a reggere con amore e costanza, con equanimità e pazienza, “con tutto lo zelo possibile” (v. 8), “un gregge irrequieto e indocile”, realisticamente parlando. È sempre tanto realista san Benedetto. Lo dice chiaro: la missione dell’Abate è dura, pesante. Ma se l’Abate ha fede, e vede il Cristo, e dona il Cristo, allora… tutto cambia.
Fede che diventa umiltà al capitolo terzo – su: La convocazione dei fratelli a consiglio, dove l’Abate è chiamato a non fidarsi troppo di sé, delle sue luci; a non presumere, per il fatto che è stato scelto come guida dei fratelli, di avere sempre la risposta ad ogni questione. Gli altri sono importanti! E allora, di fronte ai problemi rilevanti, cosa fa l’Abate? Convoca tutta la Comunità, è l’ascolta – “Ascolta, figlio” vale in primis per l’Abate – l’ascolta e chiede consiglio a tutti, anche agli ultimi arrivati, “perché spesso proprio al più giovane il Signore manifesta ciò che è meglio fare” (v. 3). Fede e umiltà, senza scorciatoie per l’Abate: anzi, è il primo che, con il ‘sale’ della sua umiltà, è chiamato a corroborare la fede di tutti, e a dare compattezza al corpo comunitario, tonificandone il passo.
Fede nella Comunità, fede nella Chiesa.
Fede in Dio - fede nella Chiesa, attraverso la mia Comunità:
Come mi trovo qui?
Quali passi sono chiamato/a a compiere in questo senso?
Vediamo quanti spunti, e a vasto raggio, ci offre la nostra Regola.
E ciò che vale in senso stretto per i monaci, per i cenobiti, no vale di meno per gli Oblati. Proprio questo Anno della Fede che comincia ci chiama a corroborare la nostra identità di:
- Uomini e donni di fede;
- La nostra appartenenza a Dio; la nostra dipendenza concreta da Lui;
- Il nostro essere comunità in cammino qui, nel monastero di Ronco di Ghiffa;
- Ma anche il nostro ‘portare’ la Regola benedettina, e la forza di san Benedetto, in famiglia, in parrocchia, al lavoro, tra gli amici…
“Come stai con la tua fede?” ci chiede il nostro Vescovo.
Che l’Anno della Fede parta già da qui, oggi, per un cammino davvero – utilizziamo ancora i termini che stanno a cuore a mons. Brambilla - “tonico e vivificante”: per il nostro essere Oblati, legati e donati a questa Comunità benedettina; per il nostro essere credenti, sempre e dovunque.
Dipenderà anche da noi, dalla nostra fede sempre più corroborante la vita, se questo Anno della Fede lascerà una bella traccia nella Chiesa e nel mondo.
Come figli di san Benedetto siamo chiamati a partire bene, con il piede giusto, fin d’ora: chiedendo al Signore, per intercessione del nostro patrono, una fede robusta, che esprima l’amore per Cristo attraverso il “buon zelo” (RB 72) e le “buone opere”. Insomma, è un ‘santo viaggio’, quello della fede, e guai a chi si arrende.
Perché la fede cresce solo camminando, e camminando con gioia!
[1] Benedetto XVI, LetteraApostolica in foma di motu proprio“Porta Fidei”, 4, 11 ottobre 2011
[2] Gregorio Magno, Vita di san Benedetto e la Regola, Città Nuova, Roma 2006
[3] Il Papa, a Castel Gandolfo, nel discorso all’Angelus di domenica 26 agosto, citava qui – riferendosi a Gv 6, 68-69 – sant’Agostino, e commentava: “E noi abbiamo creduto e conosciuto. Non dice: abbiamo conosciuto e creduto, ma: ‘abbiamo creduto e poi conosciuto’. Abbiamo creduto per poter conoscere; se, infatti, avessimo voluto conoscere prima di credere, non saremmo riusciti né a conoscere, né a credere… Così ha detto sant’Agostino in una predica ai suoi credenti”.
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