1. Un tema pasquale e monastico
Quello che scelgo di affrontare oggi è veramente un tema pasquale. Infatti, il saluto che Gesù risorto rivolge ai suoi discepoli è proprio “pace a voi”. Potremmo dire che è il suo dono. Al culmine della sua missione, Gesù conforta i suoi discepoli con parole che l'evangelista Giovanni ci riferisce e che sono entrate nel rito della Messa: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore” (Gv 14,27). Val la pena ricordare che alla pace è legato il primo apparire di Gesù sulla terra: alla sua nascita gli angeli cantano: “...e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14). È con Lui che si manifesta la pace: san Paolo arriva a dire, con un'espressione concisa ed efficace: “Egli - cioè Gesù - è la nostra pace” (Ef 2,14).
Sempre san Paolo nella lettera ai Galati, presentando i frutti dello Spirito di Cristo, o meglio il frutto dice: “...è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza....” (cf Gal 5,19.23).
La pace è anche tema monastico e benedettino: in tutti i monasteri benedettini campeggia la scritta “pax”, a volte sulle tende, sui piatti, nei centrini... Il tema della pace è molto presente nella S. Regola: l’idea di monaco delineata da san benedetto è quella di un uomo (o di una donna) profondamente pacificato, di comunità in cui le diversità, persino gli scontri, se ve ne sono, si compongono nella pace.
Già dal Prologo, cita il sal 33 “cerca la pace e perseguila”: il santo legislatore ha cura che in monastero “tutte le membra siano in pace” (cap 34,5), che vengano dati aiuti ai fratelli più sovraccaricati di lavoro perché non mormorino, perdendo la pace e facendola perdere, che venga distribuito a tutti il necessario “perché nella casa di Dio nessuno si turbi” (cap 31,19)... c'è un'attenzione e una determinazione nel togliere, nel rimuovere all'interno della comunità monastica tutto quanto può turbare la pace: gli eventuali screzi devono essere “riparati” prima del calar del sole, se si vede un fratello turbato nei nostri confronti bisogna prostrarsi ai suoi piedi chiedendogli perdono...un excursus sul testo della Regola ci farebbe scoprire un gran numero di rilievi in questa direzione...
La pace del cuore è qualcosa a cui aspiriamo tutti, tanto più oggi, con ritmi di vita tutt'altro che tranquilli e pacificanti...si va di corsa... Potremmo dire veramente che la nostra epoca è segnata dalla fretta, dall’inquietudine. Neppure noi ne siamo risparmiati. Spesso questo atteggiamento nell’affrontare la nostra quotidianità viene vissuto anche nella sfera della vita spirituale.
Dio è amore, pienezza di amore e di pace: è quiete e movimento, riposo e lavoro, silenzio e parola, comunione e distinzione. Vivere nella pace non significa non darsi da fare, ma rimanere in Dio e operare in Lui.
La riflessione che vi propongo oggi non è una ricetta preconfezionata con cui ottenere la pace del cuore... niente a che vedere con quella visione di tipo buddista o new age...il nirvana... Non dimentichiamo che sì, il Risorto saluta i discepoli con “Pace a voi”, egli promette la pace ai suoi discepoli, ma dice anche che non è venuto a portare la pace ma la spada! E allora? Quello su cui vorrei invitarvi a riflettere oggi è un concetto autenticamente cristiano di pace. Ripeto, nessuna ricetta pronta, ma alcuni semplici spunti su cui riflettere.
La pace di Cristo non è un articolo a buon mercato, un bene di consumo facilmente reperibile...E' sempre frutto di una lotta...e non giunge se non dopo un cammino, spesso difficile. Nel brano di Gv che ho citato, dopo aver detto ai discepoli “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”, Gesù aggiunge: “non sia turbato il vostro cuore...”. E due capitoli più avanti, Gesù afferma: “...vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo”. Gesù ci presenta la sua pace come una realtà non esente da difficoltà...e ci mostra che c'è qualcosa che si oppone alla pace, che la insidia, che la ostacola...
Per queste riflessioni ho ampiamente attinto a un libro che ho letto recentemente: La pace del cuore di Jacques Philippe, che vi consiglio vivamente [1]. Poco più di una settantina di pagine, ma ricche di autentica sapienza spirituale. Il fatto che nel 2006 fosse arrivato alla 16° edizione è abbastanza eloquente.
2. Nulla ci turba o ci turbiamo per nulla? Ciò che insidia la pace del cuore e ciò che la ostacola
Nulla ti turbi, diceva santa Teresa d'Avila. La nostra esperienza quotidiana ci dice invece che spesso ci turbiamo di nulla.
a. Le preoccupazioni della vita
La prima insidia alla pace sono le preoccupazioni della vita. In genere perdiamo la pace per il timore suscitato da alcune situazioni che ci toccano personalmente e nelle quali ci sentiamo minacciati, e dalla paura di essere privi di qualcosa di importante, siano essi beni materiali (soldi, salute, potere) o morali (affetto delle persone, stima, capacità) o spirituali (virtù, grazie)
Il potere del male e della sofferenza è terribile; ci spinge ad attirare l'attenzione sui problemi, su noi stessi, ha il potere di scatenare l'orgoglio e la paura, facendoci dimenticare il bene, Dio, gli altri...Mette confusione e disordine nei pensieri e quindi nelle decisioni.
Il primo “campo di battaglia”, il luogo dove più facilmente si perde la pace del cuore è quindi il pensiero, i pensieri. Ci scopriamo spesso ad opporre pensieri cattivi a pensieri buoni che ci aiutino a rasserenarci. Il punto di partenza indispensabile su questo fronte è questo: tutte le ragioni che ci fanno perdere la pace del cuore sono cattive ragioni. Solo il peccato è la vera realtà devastante.
Il nostro Dio è il Dio della pace. Parla e opera nella pace, non nel turbamento e nell'agitazione. Spesso ci agitiamo, perdiamo la pace nel tentativo di voler risolvere tutto da soli, mentre sarebbe più efficace rimanere sotto lo sguardo di Dio.
Possiamo forse garantire a noi stessi il possesso duraturo di qualche bene? É assurdo pensare che “da soli” possiamo riuscirci: “Chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?” (Mt 6,27).
Ciò che abbiamo fra le mani può sempre sfuggirci in un batter d’occhio. Cercare di assicurarci la vita, le cose della vita, è il modo più sicuro per perdere la pace del cuore: “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà” (Mt 16,25).
La pace interiore, al di là di qualunque accorgimento o tecnica deriva principalmente da un unico fattore: l’atteggiamento che abbiamo nei confronti di Dio. Per conservare la pace nelle alterne vicende della vita non abbiamo che un mezzo: appoggiarci a Dio con una totale fiducia in lui.
Il dramma di oggi è proprio la mancanza di fiducia in Dio da parte dell’uomo. Non è assurdo che un bambino dubiti di suo padre? E noi? Che dire se il “padre” in questione è il Padre celeste? Quando cerchiamo di assicurarci la felicità da soli, è allora che ci rendiamo infelici. Penso a tanti giovani, magari chiamati a donarsi totalmente al Signore, che reputano Dio incapace di renderli felici…
Cf. Mt 6,25-34
Dobbiamo recuperare la fiducia nei confronti di Dio…cammino arduo e lungo, ma necessario!
b. Difficoltà a credere nella Provvidenza
Un ostacolo che si presenta è la difficoltà a credere nella Provvidenza. Vorremmo sperimentare e poi credere: invece è il contrario. “Dio dona nella misura che attendiamo da lui” dice san Giovanni della Croce, e san Francesco di Sales gli fa eco: “La misura della divina provvidenza a nostro riguardo è la fiducia che riponiamo in essa”.
Guardiamo all’esempio dei fondatori di ordini religiosi…la loro fiducia illimitata nella Provvidenza fa sì che Dio compia miracoli!
c. La presenza della sofferenza
Un secondo ostacolo a questo pieno abbandono e fiducia è l’esperienza della sofferenza nella nostra vita e nel mondo che ci circonda, che sembra contraddire ogni discorso a favore della bontà di Dio. Egli permette delle sofferenze anche per coloro che si abbandonano a lui. Questa è una grande sfida per la fede. Ma di una cosa dobbiamo essere sicuri: Dio potrà lasciarci mancare di alcune cose, ma non ci lascerà mai mancare l’essenziale: la sua presenza, la sua grazia e tutto ciò che è necessario alla realizzazione del suo disegno su di noi. Dio è tanto potente da saper usare anche il nostro male e le sofferenze in nostro favore. Come? Inutile cercare certezze matematiche: possiamo solo fare un atto di fede. Il paracadutista non può sperimentare l’azione delle corde che lo tengono fino a quando non si è buttato.
Il male è e rimane uno scandalo. Dobbiamo fare il possibile per combatterlo ed eliminarlo ed alleviare le sofferenze. Ma rimane presente comunque. Dobbiamo credere che il suo posto nell’economia della redenzione appartiene alla saggezza di Dio: “…perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie….” (Is 55,8).
d. I difetti degli altri
A volte perdiamo la pace per atteggiamenti, o comportamenti di persone o realtà vicine: figlio/a marito/moglie, parrocchia ecc. Quanto nervosismo a volte per questo! La risposta è sempre la stessa: fiducia, abbandono. Io devo fare quello che posso per aiutare gli altri a migliorare, devo anche intervenire a seconda del mio ruolo, ma in modo dolce e tranquillo. Laddove non riusciamo, lasciamo agire Dio e sopportiamo con pazienza. Se il Signore non ha ancora trasformato questa persona o questa realtà, vuol dire che la sopporta com’è! Lui pazienta e anch’io io sono chiamato a farlo e a pregare intensamente. L’esercizio della pazienza, inoltre, opera in noi una grande purificazione.
e. Le nostre fragilità
Un semplice accenno. La visione delle nostre fragilità o l’oggettività di colpe commesse nonostante la nostra buona volontà possono farci perdere la pace, causandoci scoraggiamento, turbamento, tristezza. Questi non sono affatto buoni sentimenti. Quando ci macchiamo di una colpa, dobbiamo cercare di ritrovare al più presto la pace. Non la pace falsa, ovviamente, un atteggiamento di quiescenza, di lassismo o di rassegnazione alla mediocrità, ma la vera contrizione e il vero pentimento. Una bella confessione, un dire al Signore “Ti chiedo perdono! Ecco cosa sono capace di fare, abbandonato a me stesso. Ma ho una fiducia immensa nella tua misericordia”. Ecco l’atteggiamento giusto.
Deprimerci eccessivamente dopo una colpa spesso non è affatto segno di un sincero dolore di aver offeso Dio, quanto piuttosto la delusione per aver visto crollare l’immagine che abbiamo di noi stessi. Senza contare poi che lo scoraggiamento è un’arma utilizzata dal nemico per impedire il nostro progresso spirituale.
Certo, dobbiamo lottare contro il peccato e lavorare per correggerci delle nostre imperfezioni; se siamo stati causa di male dobbiamo cercare di riparare per quanto è possibile.
Ma la misericordia del Signore – e proprio oggi celebriamo la domenica della Divina Misericordia – sa trarre il male anche dal bene. Chi cade ma si rialza subito, ha “guadagnato” in umiltà e in esperienza della misericordia. Chi rimane triste ed abbattuto ha perso…. Il segno del progresso spirituale non è il nona cadere più, ma l’essere capace di rialzarsi rapidamente dalle proprie cadute.
3. Come crescere nella fiducia?
La diffidenza e il dubbio circa la bontà di Dio e la sua Provvidenza sono una traccia lasciataci dal peccato originale e un terreno in cui il nemico lavora. Non sottovalutiamo la sua azione! Dietro ogni perdita della pace, c’è lui! Dietro ogni falsa pace, e ogni apparente tranquillità, c’è lui.
Non saranno i ragionamenti (che non quadrano mai!) a farci crescere nella fiducia e nella confidenza, ma uno sguardo di contemplazione sul Signore Gesù. Stare vicini a Dio, al suo cuore: ecco il segreto della nostra pace. Sentirci nel cuore di una volontà benefica e salvifica. Crederci, aderire a questa verità. Io sono amata, tu sei amato. Dire spesso: “Gesù, confido in te”….“pensaci tu!”…
Prendersi degli spazi di silenzio, per contemplare l’amore di Gesù per noi, per nutrirci di questi pensieri…per posare uno sguardo di fede e di amore sul Signore… La preghiera silenziosa, cuore a cuore, è la vera fonte della pace interiore…
Occorre inoltre coltivare un atteggiamento di abbandono totale. Anche questo è difficile. Rimettere tutto nelle mani di Dio, TUTTO! Quello che siamo, quello che abbiamo. Ma questo non significa che il Signore si prenderà tutto! Il demonio è bravo a farci credere questo. Il Signore spesso ci chiede solo un atteggiamento di distacco a livello del cuore. Ci chiede di essere disposti a donargli ogni cosa, rimanendo in atteggiamento di totale fiducia nella sua sapienza e nel suo amore. A volte esige anche un distacco effettivo, ma ce lo farà capire e ci donerà la forza di farlo.
Mi direte: “sì, è una parola! Ma cosa dobbiamo fare quando non riusciamo ad abbandonarci?”. Una mistica francese che forse alcuni di voi conoscono, Marthe Robin, morta nel 1981, ha risposto a questa stessa domanda: “Abbandonarsi ugualmente”!. Santa Teresa di Lisieux le fa eco: “L’abbandono totale: ecco la mia sola legge!”. E anche madre Mectilde, giunta quasi alla fine della sua vita (siamo nel 1694, lei muore nel 1698), dopo una lunga esperienza può dire così alle sue figlie:
“Trovo dunque che l’abbandono è la strada più breve, anche se non la più facile, per andare a Dio, per possederlo e goderne. Sì, figlie mie, nell’abbandono c’è una grazia ineffabile, che conduce l’anima fino al seno di Dio e che la fa restare in pace in mezzo alle tempeste. Mi potete domandare come si fa questo abbandono. Esso si opera nell’anima in vari modi: ha un inizio, un progresso e una fine, una sua perfezione. Ma quando l’anima ha ben lavorato, rimane in un riposo e una semplicità, senza far tanto rumore nel suo interno”[2].
L’esperienza dei santi ci dimostra che l’abbandono non è facile e neppure naturale, ma è una grazia da chiedere a Dio; ed egli ce la concederà, se chiediamo con perseveranza.
4. Non manco di nulla
Il salmo 22 rappresenta una delle più alte e belle espressioni dell’abbandono fiducioso. Possiamo dare voce a questo abbandono: preghiamo spesso questo salmo! In esso è contenuta un’affermazione fondamentale: non manco di nulla, cioè la certezza che Dio non ci lascia mancare nulla.
L’autore del testo di cui vi parlavo, Jacques Philippe, afferma che esiste una tentazione molto comune nella vita cristiana ed è quella di ritenere che nella situazione attuale ci manchi qualcosa di essenziale e quindi che non ci è possibile crescere spiritualmente come dovremmo. Qualche esempio: manco di salute, quindi non posso pregare come dovrei; la mia famiglia mi impegna, quindi non posso dedicarmi ad attività spirituali che mi gioverebbero; oppure ancora: non ho le qualità, le virtù, la forza, i doni necessari per realizzare qualcosa di buono nella vita spirituale. In una parola: non si è soddisfatti della propria vita, e vivo con la sensazione che finché le cose andranno così, non potrò vivere veramente e intensamente. In pratica, ho la sensazione che “la vera vita sia altrove”, come diceva il poeta francese Rimbaud. Altrove, quindi, e non qui, ora.
Questo modo di sentire è molto frequente anche tra i cristiani. Esso rivela una mancanza di fede. Perché se ho la certezza di fede che “nulla mi manca”, non vivo nell’illusione che quanto mi circonda cambi, che le circostanze esteriori del mio vivere si trasformino per miracolo. Ma mi convinco che è il mio cuore che prima di ogni altra cosa deve cambiare, purificandosi dal ripiegamento su se stesso per abbracciare la vita con tutte le sue circostanze sfavorevoli, nella certezza che anche in esse Dio è presente, agisce, opera.
San Giovanni della Croce ha scritto che “Molto spesso da quello che essa crede di perdere che l’anima trae maggior profitto”.
Se qualcosa ci manca è il credere, come diceva santa Teresa di Lisieux, che “tutto è grazia”.
Dio potrà lasciarmi mancare alcune cose (denaro, salute, virtù, talenti, affetti) ma non mi lascerà mai mancare se stesso e la grazia che mi consente di vivere ogni situazione (fuori e dentro di me) come opportunità per crescere nell’amore.
Sì, perché in definitiva, la vera perfezione è quella dell’amore. Chi accetta di essere debole, di cadere spesso, e sa mantenere il suo sguardo e la sua fiducia nella misericordia divina, è incamminato sulla via della santità. In questo modo, la gioiosa accettazione della propria povertà non è rassegnazione alla mediocrità o abdicazione alla perfezione, ma abbandono di bimbi alla grazia di Dio, nella certezza che lui ci conduce dove noi, con le nostre forze non arriveremmo mai. Ecco la pace del cuore, ecco la via che tanti santi hanno percorso.
É a madre Mectilde che affido ancora la conclusione di questa riflessione:
“Oh, la felicità di un’anima che si riposa in Dio…Due cose ci sono da fare nella vita per appartenere a Dio: Adorare e aderire sempre. Dunque adorate e aderite a tutto ciò che egli permette, amandolo, volendolo e gradendolo per sottomissione ai suoi ordini…É così che dormirete e riposerete dolcemente in Dio…”[3].
Si avvererà allora nella nostra vita quanto san Paolo scrive ai cristiani di Filippi:
“Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Fil 4,6-7).
Chiediamo questo dono alla misericordia di Dio nella preghiera!
PER RIFLETTERE
PER APPROFONDIRE
Spigolando nell’esperienza e nelle parole dei santi e degli autori spirituali
Juan de Bonilla (XVI sec.)
“Che la vostra volontà sia sempre pronta ad ogni evenienza e che il vostro cuore non sia assoggettato a nulla. Quando formulerete qualche desiderio, che sia fatto in modo di non provare poi alcuna pena in caso di fallimento, di custodire l’animo in pace come se nulla aveste sperato. La vera liberà consiste nel non legarsi a niente.
É proprio così, senza vincoli, che il Signore vuole la vostra anima per potervi operare le sue grandiose meraviglie” (Traité de la paix de l’âme).
San Francesco di Sales (1567-1622)
“Poiché l’amore non dimora che nella pace, vi raccomando di avere sempre cura di conservare per bene la santa tranquillità di cuore.
Tutti i pensieri che procurano inquietudine e agitazione di spirito non vengono affatto da Dio poiché egli è il principe della pace. Sono tentazioni del nemico e pertanto bisogna scacciarle e non tenerne conto.
Bisogna vivere tranquillamente in tutto e per tutto. Se ci arriva una sofferenza, interiore o esteriore, la dobbiamo accettare tranquillamente. Se ci arriva una gioia accogliamola con eguale tranquillità, senza trasalire. Dobbiamo fuggire il male? Bisogna che sia fatto tranquillamente, senza preoccupazione, poiché altrimenti nella fuga potremmo cadere e dare occasione al nemico di ucciderci. Dobbiamo fare il bene? Facciamolo serenamente, altrimenti potremmo commettere molti errori con l’agitazione. Bisogna fare tranquillamente perfino la penitenza” (Lettera alla Badessa del Puy d’Orbe).
“Sforzatevi, figlia mia, di tenere il vostro cuore nella pace attraverso l’uniformità degli stati d’animo. Non dico: mantenetelo nella pace ma: sforzatevi di farlo. Che questa sia la vostra prima preoccupazione, e guardatevi bene dal turbarvi quando non riuscirete a placare immediatamente la varietà dei sentimenti dei vostri stati d’animo” (a una monaca della Visitazione).
Madre Mectilde de Bar (1614-1698):
“Conosco un solo segreto nella vita interiore: è il caro e prezioso abbandono di tutti noi stessi al beneplacito di Dio. Che viva e regni lui solo e basta, senza riflettere su noi stessi, né sul progresso, né sui doni di Dio, neppure sulla propria eternità” (citato in Véronique Andral osb ap, Catherine Mectilde de Bar. I. Un carisma nella tradizione ecclesiale e monastica, ed. Città Nuova, Roma 1998, p. 111).
“Desideriamo la pace che Gesù Cristo dà oggi ai suoi apostoli: è questo il frutto della sua vita gloriosa. La pace è un tesoro di paradiso, non si trova sulla terra, è la presenza di Gesù che la opera…Quando l’anima possiede questa tranquillità, Dio contempla se stesso nel fondo di lei e c’imprime le sue perfezioni divine…Quando Gesù dà la sua pace a un’anima, le dona il suo Spirito, il suo amore. É una grazia meravigliosa avere questa pace che calma i turbamenti del nostro interno, scaccia il timore, tiene l’anima in un semplice e amoroso abbandono…Cos’è questa pace se non la presenza di Gesù e la sua dimora nei nostri cuori?” (conferenza per il martedì di Pasqua 1665).
Francesco Maria Libermann (1804-1852)
“Quando piacque a Dio di creare l’universo lavorò sul nulla. Vedete bene quali cose meravigliose ha fatto! Così, se vuole lavorare in noi per operare cose infinitamente al di sopra di tutte le naturali bellezze modellate dalle sue mani, non ha certo bisogno che ci diamo tanto da fare per aiutarlo…Lasciamolo piuttosto fare. Egli si compiace di operare sul nulla. Manteniamoci nella pace e nella tranquillità, davanti a lui, e seguiamo gli impulsi che ci dona…
Bisogna dimenticarsi, per volgere continuamente la propria anima verso Dio e lasciarla riposare dolcemente e tranquillamente davanti a lui”.
[1] Jacques Philippe, La pace del cuore, EDB, Bologna 200616.
[2] Véronique Andral osb ap, Catherine Mectilde de Bar. I. Un carisma nella tradizione ecclesiale e monastica, ed. Città Nuova, Roma 1998, p. 162s.
[3] Ibid., p. 165.
Histoire - Communauté - Oblature - Initiatives - Textes - Deus Absconditus - Spazi di luce |
Benedettineghiffa.org - online dal 2009
Cookie Policy - Questo sito utilizza unicamente cookies tecnici necessari alla navigazione. Non installa cookies di profilazione.