Entrare nell’offerta di Cristo
Voglio partire da un brano scritturistico: Rm 5,6-11
Partire dal punto di vista di Dio. Non possiamo capire qualcosa della riparazione se prima non entriamo un po’nella realtà dell’offerta di Dio, dello stile della sua offerta.
Un amore solidale e sanante
“Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori (lett. deboli, astenici, ammalati, estenuati), Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. Ora a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione”.
Il quadro teologico che san Paolo offre della situazione umana che si presenta agli occhi di Cristo che entra nel mondo con l’oblazione perfetta, unica ed eterna della sua volontà e corporeità (cf. Eb 10,5-10) è impressionante: l’umanità tutta, racchiusa da Dio nella disubbidienza per usare a tutti misericordia è malata, estenuata nelle sue forze vitali. Debolezza ed empietà sono radicate nel peccato, rottura della relazione buona e giusta con Dio.
L’h si trova in una condizione oggettiva di opposizione all’amore e al progetto di vita e di salvezza di Dio (=la sua giustizia), in uno stato di inimicizia radicale.... Situazione tragica di non-comunione e di morte, che può essere superata solo con un surplus divino di amore gratuito, riconciliatore, risanatore e rivivificatore, che si faccia guarigione dall’interno. Questo è stato reso possibile con l’incarnazione di Cristo, Figlio obbediente fino alla morte, offerto a questa umanità debole ed empia come ponte vivente di riconciliazione.
L’amore di Dio per noi si è reso visibile nella morte e risurrezione di Cristo: un amore riparatore e riconciliatore, che rende nuovamente possibile l’amicizia e la pace con Dio, operando una trasformazione e trasfigurazione della situazione di morte per mezzo dello Spirito Santo, che trasforma in amabile chi non lo era, fa libero chi era schiavo.....
Gesù con la sua incarnazione viene e prendere su di sé la condizione tragica di morte e di lontananza da Dio, frutto del peccato, trasformandola dall’interno con il suo viverla in amore perfetto e obbediente. In lui, l’umanità può tornare a Dio.
Mt 8, 17, a conclusione dell’opera esorcistica e terapeutica di Gesù ricordata nel versetto precedente: …”perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: ‘Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie’ (cf. Is 53,4). Tutta l’opera di Gesù è vista come compimento del destino sofferente del servo di JHWH, che nell’addossarsi solidarmente le infermità dell’umanità, le toglie di mezzo.
(miracoli, guarigioni, commozione perché le persone della folla “erano come pecore senza pastore” Mc 6,34). Tutta la sua prassi va nel senso di un amore riparatore che restituisca dignità alle persone (dignità fisica e morale = adultera).
La commensalità scandalosa con i peccatori è segno della profonda solidarietà con il malato/peccatore, in vista però della sua conversione.
Potremmo dire che Gesù ama “nemici” e peccatori e il suo amore per il non amabile in vista del suo pieno ricupero salvifico, si presenta come concreto amore riparatore. Fino all’ultimo vive questo amore riparatore, quando sulla croce chiede il perdono per i suoi carnefici.
Il frutto precoce della sua agonia innocente per amore è la conversione del malfattore (Lc 23,39-44), la fede del centurione (Mc 15,39), il pentimento del popolo (Lc 24,48).
Un amore sacerdotale
Una profondissima lettura di questo aspetto dell’offrirsi di Cristo per la nostra salvezza, non “dall’alto”, ma a partire dalla nostra stessa condizione assunta per amore, ci è data dalla Lettera agli Ebrei. Non possiamo soffermarci compiutamente, ma qualche breve richiamo ci aiuterà.
In questa lettera (un tempo attribuita a san Paolo) viene ripresa in una sintesi potente tutta la catechesi cristologica anteriore sull’oblazione e sul sacerdozio. Cristo è presentato come il grande, unico e definitivo sacerdote.
La concezione veterotestamentaria del sacerdozio: offrire per mediare (fase ascendente/centrale/discendente). “Ogni sommo sacerdote viene costituito per offrire doni e sacrifici” (5,1). Ma Cristo offre se stesso. Questa verità a noi pare assodata. Ma non doveva suonare così alle orecchie di chi ascoltava la lettera agli Ebrei. Il sacrificio della croce era l’esatta antitesi dell’oblazione. Questa era inserita in un rito solenne, grandioso, glorificante che univa a Dio e otteneva le benedizioni divine. L’esecuzione di un condannato, invece, era infamante e, lungi dall’unire a Dio e attirare la sue benedizioni, costituiva una maledizione (Dt. 21.22).
Che cosa, quale forza straordinaria ha trasformato in oblazione un evento a cui mancavano tutte le condizioni prescritte per costituire un’oblazione?
E’ l’amore che ha trasformato la morte di un condannato in offerta perfetta di sé a Dio. E questa oblazione non è stata lo slancio facile di un essere tutto spirituale, ma una lotta faticosa, compiuta “nei giorni della sua carne”, una trasformazione dolorosa, attraverso sofferenze e lacrime. Il punto di partenza dell’oblazione di Gesù non è gloriosa, ma umilissima.
La Chiesa, continuatrice del sacrificio di Cristo
La Chiesa è chiamata ad assumere il compito sacerdotale. Non può dimenticarlo. La riparazione deve essere una costante nel ministero della Chiesa. Il servizio riparatore appartiene alla natura stessa della Chiesa. E’ un fare nostra la causa di Gesù, venuto perché gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.
GP II (Salvifici doloris 19): “Ognuno è chiamato a...diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo”.
S. Clemente Romano: “Vi affliggevate per le mancanze del prossimo, come se i difetti altrui fossero stati vostri” (1 Cor 2).
S. Gregorio di Nazianzo: “diventare una forza vitale per tutti gli uomini”.
Non “paghiamo per gli altri”, ma ci sentiamo inseriti in una reale unità solidale che ci permette di diventare anima per chi non ha anima, perché sia lo stesso peccatore a ritrovarsi dentro la capacità del ritorno.
“Si condivide il destino di Gesù che ha offerto se stesso e si condivide il destino di tutti i fratelli della comunità che non sono capaci di fare questo passo. La riparazione è sostituirsi con l’amore alle persone che quest’amore non riescono ad esprimere sia per colpa, sia per incapacità, sia per qualunque altra situazione. Allora, in questo caso, nella comunità cristiana il concetto e la mozione di riparazione non vanno interpretati come se Gesù fosse indignato e andasse trattenuto nella sua ira, ma, piuttosto […] come un bisogno di essere accanto a quei fratelli che, per un motivo o per un altro, non riescono ad esprimere la riconoscenza del loro cuore nei confronti di Dio. Ecco perché la riparazione è salvezza per questi fratelli; è salvezza perché noi li teniamo presenti di fronte a Dio, noi li sostituiamo tenendoli accanto” (Crimaldi, 130).
S. Ambrogio (De poenitentia): Concedimi anzitutto o Signore di essere capace di condividere con intima partecipazione il dolore dei peccatori. Questa infatti è la virtù più alta...Ogni volta che si tratta del peccato di uno che è caduto, concedimi di provare compassione e di non rimbrottarlo altezzosamente, ma di gemere e di piangere così che, mentre piango su un altro, io pianga su me stesso”.
Offrire se stessi “per” e “a nome” dei fratelli
Portare nel cuore il peso del peccato e dei peccatori, offrire la vita per la redenzione del mondo. Sensibilità al dolore di Cristo...completare in noi ciò che manca ai patimenti di Cristo: non “pagare” una taglia per il conguaglio delle mancanze con cui si è sottratto onore a Dio, ma fare nostri i sentimenti del cuore di Cristo, che si è offerto non solo a favore degli uomini, ma anche “a nome loro”. In forza della sua solidarietà di mediatore, li ha resi presenti, assumendoli in sé davanti al Padre.
“Fatto peccato”, dice san Paolo…
Allo stesso modo siamo chiamati ad una solidarietà affettiva ed effettiva con tutti i fratelli, immedesimandoci nella loro lontananza da Dio e rappresentandoli....Prendersene carico....
Questo avviene quando la mia vita è consegnata interamente all’azione dello Spirito. Possiamo chiederci: la mia vita è tutta “consegnata”?
Così ha scritto sulle pagine di Avvenire il card. Carlo Maria Martini in un articolo dedicato al tema della preghiera di intercessione il 20 gennaio 2008:
Capite allora che la riparazione non è una pratica consolatoria, un “restringersi dei buoni” tra di loro per lamentare tra di loro la cattiveria del mondo e separarsene indignati. Dio ama i peccatori, e lo ha dimostrato nella sua esistenza. Non può permettersi di perdere nessuno, perché tutti gli uomini gli stanno a cuore. Per questo si è fatto “agnello” che porta su di sé i peccati.
Dio non si “sostituisce” mettendo da parte l’uomo per far fronte da solo al suo compito, ma diventa soggetto attivo dentro l’uomo. Il compito sacerdotale della Chiesa è ripetere la stessa offerta di sé per i peccatori. Sentendo tutto il peso del peccato...
Non è cristiano né evangelico ragionare così, in una specie di equazione contabile:
L’amore non è amato, quindi stringiamoci noi, i pochi buoni, attorno a lui, perché non veda i tanti cattivi che lo insultano. I cattivi, poi, sono da deprecare, da abbandonare al loro destino. Ma Dio non ha bisogno di cose, ama uomini veri, e non può consolarsi con nessuna sostituzione. La gloria di Dio è l’uomo vivente!
Noi dobbiamo dare voce ai lontani da Dio! Dobbiamo lottare con Dio perché Lui li converta.
E farlo con speranza: speranza nell’amore di Dio. La nostra speranza deve essere così forte da giungere persino a dare fiducia alla mia povera intercessione di peccatrice, convinta che Dio la prenda sul serio fino a farne suo strumento.
Nel “fiume” dell’intercessione e riparazione di Cristo
Concludo prendendo a prestito ancora le parole del Card. Martini perché ci spronino a sentire con grande intensità il dovere di “farci carico” del peccato e del male del mondo e, attraverso una intensa preghiera di intercessione e la consegna della nostra vita a Cristo, contribuire a far sì che il mondo e i nostri fratelli in umanità siano e vivano secondo il progetto di Dio.
“Naturalmente so bene che la mia preghiera è molto povera, pigra, spesso piena di distrazioni. Ma non di meno la considero come un piccolo rigagnolo, che fluisce dentro il grande fiume che è l’intercessione della Chiesa e delle persone buone di tutta l’umanità.
Questo grande fiume di intercessione fluisce e si immerge, per me come cristiano, nel grande oceano dell’intercessione di Cristo, che «vive sempre per intercedere» a nostro favore (cf. Eb 7,25; Rom 8,34). Così la mia piccola intercessione è parte di un grande oceano di preghiera in cui il mondo viene immerso e purificato.
Lo stesso grande scrittore della fine del diciannovesimo secolo che ho citato prima, Dostoevskij, ci ha dato nello stesso libro una commovente descrizione della preghiera di intercessione. Lo staretz Zosima dice a un giovane: «Ragazzo, non scordare la preghiera. Nella tua preghiera, se è sincera, trasparirà ogni volta un nuovo sentimento e una nuova idea che prima ignoravi e che ti ridarà coraggio; e comprenderai che la preghiera educa.
Rammenta poi di ripetere dentro di te, ogni giorno, anzi ogni volta che puoi: 'Signore, abbi pietà di tutti coloro che oggi sono comparsi dinanzi a te'. Poiché a ogni ora, a ogni istante migliaia di uomini abbandonano la loro vita su questa Terra e le loro anime si presentano al cospetto del Signore e quanti di loro lasciano la Terra in solitudine, senza che lo si venga a sapere, perché nessuno li piange né sa neppure se abbiano mai vissuto. Ma ecco che forse, dall’estremo opposto della Terra, si leva allora la tua preghiera al Signore per l’anima di questo morente, benché tu non lo conosca affatto né lui abbia conosciuto te.
Come si commuoverà la sua anima, quando comparirà timorosa dinanzi al Signore, nel sentire in quell’istante che vi è qualcuno che prega anche per lei, che sulla Terra è rimasto un essere umano che ama pure lei. E lo sguardo di Dio sarà più benevolo verso entrambi, poiché se tu hai avuto tanta pietà di quell’uomo, quanto più ne avrà Lui, che ha infinitamente più misericordia e più amore di te. Egli perdonerà grazie a te» ”.
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