Settimana Benedettina 2018
Fermati e torna a te stessa
La stabilità interiore
Anche quest’anno si è svolta l’ormai classica Settimana Benedettina per le ragazze, dal 15 al 20 luglio 2018: anche se ogni edizione è sempre… inedita, si lavora sempre più su una sana e bella tradizione di Casa. È infatti sempre una gioia, per la Comunità, accogliere giovani cuori in ascolto, desiderosi di mettersi in ascolto autentico del Signore per comprendere la Sua Parola e Volontà. Sei le ragazze partecipanti.
Le meditazioni
Questa Settimana Benedettina la dedichiamo al RITORNO al nostro CENTRO. Torna a te stessa… fermati. Ascolta…
Non è un programma che ci inventiamo noi.
È chiaro che le cose più grandi avvengono nel silenzio. Le cose più grandi sono dapprima nascoste.
Un bambino nasce nel silenzio di un grembo materno.
Il giorno nasce dalla notte.
È nel silenzio e nell’ascolto che si prendono le grandi decisioni.
Le scelte vere si compiono… nella notte: in preghiera, nel silenzio, nella solitudine che è comunione profonda con Dio. Attesa di Lui…
“Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2, 16)
“Gli disse: ‘Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore’. Ed ecco il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto. Ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto…”
(2 Re 19, 11-13)
“In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici…”
(Lc 6. 12-13)
Fèrmati. Dove vai, se prima sai fermarti? Di fermarti alla presenza del Signore, di ritrovarti davanti a Lui, per recuperare la roccia, il fondamento stabile della tua vita.
Una vita ben stabile e centrata è quel che tutti cercano e desiderano, ad ogni età, oggi più che mai, e in modo spesso esasperato. Ma allora, come si fa?!
La nostra Regola Benedettina ci chiede la stabilità nel monastero, il voto di stabilità è tipicamente benedettino. Alla Professione monastica facciamo voto di stabilità nel monastero in cui emettiamo i Voti: voto di stabilità nel luogo di appartenenza, per tutta la vita. Fino alla morte! Stabili in monastero fino alla fine. Non è come fuori, che si va, si viene, si corre, si gira e si rigira, si viaggia e si vola… in monastero si sta, si rimane… per sempre.
Non è solo una stabilità del luogo, ma, più ancora, è stabilità del cuore. Stabilità di un cuore che non si disperde, che non fluttua di qua e di là, che non tradisce. Perché è di Cristo. Ed è una santa battaglia da portare avanti ogni giorno! Non bisogna illudersi mai di essere a posto. Se si vuole diventare STABILI, bisogna camminare, non stare statici; lasciandosi portare ogni giorno al centro, verso Gesù Cristo.
Ma non è che san Benedetto se l’è inventato questo voto di stabilità…
Ricordiamo il motto ricorrente dei padri, di fronte alla prova e alla tentazione:
“Rimanere nella propria cella”. Restare, rimanere, stare in Dio, aggrappati a Lui, più ‘infuria la bufera’. Più le cose, dentro e fuori, si mettono male, e più è urgente fermarsi, restare, non fuggire, aspettando con pazienza e perseveranza che ogni vento contrario cessi. Rimanere, per diventare stabili. Rimanere dentro una costante conversione, questa è la vita monastica.
Rimanere per tutta la vita in conversione. Rimanere con il cuore aperto alla conversione, passando dalla in-firmitas (l’anima è in-ferma) alla stabilitas.
Restare in un luogo, sì, la cella, che però è il cuore stesso di Dio. Restare in Dio è l’abitazione, la vera dimora del monaco, nei tempi felici e in quelli turbolenti, e non ce n’è altre. Tutto il resto è illusione, fuga, appunto. Questo è significativo, e ci illumina.
Anche san Cesario di Arles, monaco di Lerins (+ 542), ammoniva:
“Che nessuno ci inganni: non sfuggiamo al maligno fuggendo da un posto all’altro, ma solo passando dal peccato alla virtù, dalla passione al pentimento. Se pensi di sfuggire al demonio cambiando luogo, lui ti seguirà; correggiti, e il demonio fuggirà da te”.
Stabilità come condizione per la conversione (correggiti!). Condizione per la coerenza di vita, per la santità. Stabilità come fedeltà, e garanzia della libertà. Non ci si santifica fuggendo, rinunciando, girovagando, cambiando continuamente luogo, senza mai impegnarsi, ma restando, rimanendo, perseverando. Il ‘rimanere’ in un certo senso ti ‘obbliga’ – in senso buono! – a cambiare tu, dentro, ti ‘inchioda’ alla conversione, alla fedeltà, ti impegna a fare dei passi in avanti, verso il bene ed il meglio di te, senza alibi.
Molto spesso, anzi, quasi sempre, si pensa che le cose vanno male, che le persone accanto a me non mi capiscano, che la realtà non funziona, che la Vita non va, che sono sfortunata…
Già… ma io? Io come sto DENTRO?
Me la prendo con il “fuori”… ma DENTRO mi vedo come sono, come va?!
La chiave è dentro, nel cuore.
La chiave della Vita è dentro.
Di qui, capiamo bene perché san Benedetto nel capitolo 1 della Regola, ce l’abbia tanto con i monaci girovaghi, che chiama appunto “l’ultimo genere dei monaci…”. L’ultimo. Come a dire: se potessi, non ne parlerei nemmeno. Ma, già che ci siamo, lo dico chiaro, quel che sono:
“essi passano la vita errando di regione in regione, facendosi ospitare per tre o quattro giorni nelle celle degli altri, sempre vagabondi, mai stabili, schiavi delle proprie voglie e dei vizi della gola, peggiori persino dei sarabaiti (‘molli come il piombo’)…”
(RB 1, 10-11)
Corruzione della volontà, che rimane proprietaria, in balia delle ‘proprie voglie’: nel monaco girovago, in-stabile, c’è un difetto radicale di consegna di sé, una mancanza sostanziale di obbedienza e di abbandono, e, in fin dei conti, la non volontà intrinseca di conversione.
Stabilità monastica e conversione dei costumi formano un connubio indissociabile: l’una è condizione dell’altra. Ecco, allora, perché Benedetto vuole monaci cenobitici, “fortissima stirpe” di gente stabile, ben fondata, stabilita dentro, con radici profonde, che, radicandosi in una terra precisa, quella della propria comunità, così com’è, e non come la si desidererebbe secondo un bell’ideale, ma ancora nostro, si lega per sempre e in concreto a Cristo, con-vertendosi, volgendosi progressivamente e sempre più decisamente verso di Lui.
Questo fa la stabilità: un voto, un legame, una radice profonda, che per il benedettino è, però, prima di tutto un dono, che si riceve dall’alto.
È questione di RADICI. Dove io ho le radici…
Tanti fratelli e sorelle che giungono in monastero, infatti, rimangono meravigliati a sentire di Sorelle che sono in monastero da 40, 50 anni, e si chiedono, oggi, come questo sia possibile e fattibile… ma la Regola lo spiega con semplicità, questo ‘mistero’ della stabilità.
Si tratta di prendere una decisione, con fermezza.
Decidere di fermarsi, di andare al centro. Al centro di se stessi, per ritrovarsi davvero in Dio, unica certezza.
San Benedetto nei tre anni passati nella grotta di Subiaco ha fatto questo. Ha abitato solo con se stesso, ignoto a tutti, sotto lo sguardo di Dio. È andato a fondo, non è fuggito dal suo cuore, lottando aspramente contro le tentazioni più dure. Si è lasciato conoscere e guardare da Dio. Non ha avuto paura dello sguardo di Dio su se stesso, perché ha conosciuto che Dio è Amore. Così, è andato in profondità, dentro di sé. Oggi, entrando a visitare il monastero sovrastante il sacro speco, a Subiaco, veniamo accolti da questa suggestiva iscrizione:
Se cerchi la luce, Benedetto, perché scegli la grotta buia?
La grotta non offre la luce che cerchi.
Continua pure nelle tenebre a cercare la luce fulgente,
perché solo in una notte fonda brillano le stelle.
Non dobbiamo temere la profondità. Non dobbiamo aver paura delle nostre “grotte”. Dobbiamo imparare ad abitarci, per emergere allo scoperto, e ritrovare la luce.
Vedete, il problema della vita è che si rimane in superficie, facendo finta che tutto vada bene. La leggerezza, la dispersione, anche la simulazione, persino con noi stessi… tutto passa via, come fumo che inquina, e confonde, ed è solo confusione. Ci si accontenta dell’esterno. E non si ha il coraggio di andare dentro, di scendere, di prendersi in mano con decisione, e vedersi davanti a Dio per quel che si è davvero. Si scappa dalla verità, e così non si cammina e non si cresce.
Il primo passo importante invece è quello di fermarsi. Fermarsi e ascoltare. Ascoltarsi dentro. Come ha fatto san Benedetto a Subiaco, e come suggerisce all’inizio della Regola. “Ascolta, figlio”.
Questo fermarsi è per mettere radici vere, e per ritrovare le nostre radici.
La stabilità pone un fondamento, fissa le radici profonde del nostro cuore, in Dio, ancorandoci a una terra, a una storia, a uno spazio, a una ‘passione’. Contro la frammentarietà della vita, san Benedetto propone la stabilità come risposta chiara e forte, per l’uomo e la donna di ogni tempo, del suo sì dentro la storia concreta, vissuta, spesa fino in fondo, in una donazione totale e continua, nell’amore a Cristo, alla Chiesa, all’umanità.
La stabilità, è, in radice, una risposta d’amore. Propositiva, protesa in avanti, perché fortemente ancorata al passato che ci ha generati. Ogni monaco, ogni monaca benedettina, promette stabilità in monastero a Cristo, alla sua Comunità così com’è, con la sua storia, la sua tradizione, il suo passato, il suo presente, il suo futuro, nella fede e nell’abbandono pieno. Stabilità è incarnazione, nella fede. Risposta in Dio, contro tutto ciò che evita di ancorarsi, di radicarsi, di lasciarsi immettere vitalmente dentro un solco già tracciato, che continua a crescere. Io faccio la mia parte, il mio pezzettino di storia, ma dentro una storia ben più grande, che mi accoglie e mi porta, e mi protende in avanti.
Si tratta di una sfida coraggiosa! È molto più facile fuggire che voler restare.
Un apoftegma dei Padri del deserto racconta di un monaco che diceva: “Resterò qui in questa cella ancora per l’inverno. E poi, con la primavera, me ne vado”. Quando poi arrivava la primavera, diceva: “Beh, starò ancora questa primavera, ma poi, quando viene l’estate, basta, me ne vado…”. E così per quarant’anni!
Questo ci dice che la stabilità è una decisione che passa attraverso la sofferenza, la fragilità, anche la nostra inconsistenza. Si resta perché ci si crede, e ci si vuole credere.
Anche Papa Giovanni XXIII soleva dire: “solo per oggi faccio il Papa!”, ma lo diceva a mo’ di esercizio interiore: e intanto, quanto lavorava sul fondamento di questo suo rimanere, in Cristo!
Se no, la mia vita resta inconsistente, frantumata, fluttuante. È vero che dentro questo restare c’è una fatica, e un prezzo; ma, dietro e al di là del costo, c’è sempre la grazia, c’è sempre la gioia. Gioia che nasce dal sacrificio, dall’offerta di sé, con Cristo.
Rimanere e permanere produce gioia.
Non è un caso… che la gioia più pura la troviamo qui proprio tra le monache più anziane, che nel sacrificio nascosto e quotidiano, goccia dopo goccia, hanno dato tutto di sé, senza risparmio. Ma hanno sempre avuto chiaro per Chi e perché l’hanno fatto. Per amore di Chi?
La stabilità poggia sulla chiarezza dei fondamenti.
Oggi c’è tanta confusione, non ci si ritrova mai. Ma perché non si ha il coraggio di fare questo lavoro di guardarsi davanti a Dio.
Io credo che questa Settimana Benedettina 2018, dentro il contesto di una comunità monastica che mi provoca con il suo voto di stabilità, tu sia chiamata, adesso, a chiederti sinceramente:
Penso di cavarmela da sola nelle situazioni?
Chiedo aiuto?
Di chi mi fido?
Chi mi aiuta?
Mi affido?
“Perseverando nella Tua dottrina, il Vangelo di oggi, nel monastero, fino alla morte, che si è fatta vicina e rimane minacciosa, partecipando alle tue sofferenze, o Cristo nostra Pasqua, mediante la pazienza al fine di meritare di essere consorti, eucaristizzati, cristificati. Nel monastero fino alla morte, sì, se e come Tu vuoi, ma non fuori da una fedeltà viva al tuo insegnamento: ciò che ha detto a noi lo Spirito in questo tempo della Chiesa” [1].
Essere monaco, unificato, è rimanere al proprio posto, in Dio.
È non fuggire, perché si è trovato il senso. Il senso più profondo e bello della Vita.
Allora, questa Settimana Benedettina è una sfida aperta per te.
E il testamento del fr. Christian, Priore di Tibhirine, canta in modo sublime questa incarnazione:
“Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo…, vorrei che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese… E anche per te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio da te previsto. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se lo vuole Dio, nostro Padre comune”.[2]
La stabilità della vita, in radice, è il rimanere nell’amore. Scegliere di rimanere nell’amore di Cristo, ad ogni costo. In questo modo la stabilità è il principio della santità, ma parte e si consuma nel quotidiano, rimanendo al mio posto, lì dove mi vuole Dio, momento per momento.
Se fr. Christian e i suoi fratelli monaci sono stati in grado di vivere fino al martirio questo amore di Cristo, è perché si sono esercitati ogni giorno in questa consegna di tutti se stessi all’amore. E l’hanno fatto in una terra inospitale. Ma loro sono stati ospitali, accoglienti, capaci di fare il primo passo, di andare sempre oltre, in una parola, di amare!
“Più la speranza è immensa, meglio percepisce istintivamente che potrà compiersi solo investendosi risolutamente in una lunga pazienza con sé, con l’altro, con Dio stesso. È giorno per giorno che dovrà mantenersi, per vivere. Ogni piccolo gesto le serve per dirsi. Un bicchiere d’acqua offerto e ricevuto, un pezzo di pane condiviso, una stretta di mano parlano meglio di un manuale di teologia riguardo a ciò che è possibile essere insieme. Siamo segnati, gli uni e gli altri, dalla chiamata di un aldilà, ma la logica prioritaria di questo aldilà è che si può far meglio tra noi, oggi, insieme. Un mondo nuovo è in gestazione, e a noi spetta di lasciarne presentire l’anima."[3]
La voce di fr. Christian è il desiderio di Gesù nell’uomo, il respiro di Cristo nell’uomo. Cristo vive in me, in te, in noi, nella misura in cui lasciamo vivere e crescere dentro di noi la speranza che adesso, oggi, c’è la salvezza. Adesso, ora,c’è il mondo nuovo! Non è utopia. È fede nel reale. È impegno concreto nell’amore di Cristo, che trasfigura le mie giornate. È lotta quotidiana contro la passività, la resa sterile, il pessimismo, la noia, l’accidia. È un rimontare la sveglia sempre, perché è Cristo la Stella del mattino, che colma di senso, in concreto, i miei giorni.
Nella misura in cui io sono RESPONSABILE, mi assumo la responsabilità dei miei passi, posso lasciar vivere Cristo in me, oppure rifiutarlo.
Questo significa che IL REALE mi riguarda, chiede la mia responsabilità. Il reale, non il virtuale, con tutte le sue chimere… La Vita mi chiede di uscire dalle paludi di un io che si rintana, per scoprire che Gesù passa, ogni giorno, davanti a me, e mi chiama, mi interpella.
È importante che ti fermi, per vedere Lui, riconoscerLo, e sceglierLo.
FERMARSI è il primo passo.
TORNARE A NOI STESSE e chiederci: dove sto andando? Cosa voglio? Chi scelgo?
Poi METTERE ORDINE nella propria vita.
ORDINARE la mia giornata.
La regolarità di Vita è importante. Darsi un programma, a partire dalle cose più concrete. Vivere, scegliere di vivere bene, in modo sano e costruttivo… senza lasciarsi vivere.
Non è che in monastero la campana suona… per caso, tanto per fra ginnastica! È che se io non mi lascio ordinare la vita da Qualcun altro, la vita si sregola, e in preda al disordine diventa schiava.
RESTARE DUTTILI, aperte, al dialogo, alle persone, a quello che accade.
Saper vedere il “filo d’oro”, la Volontà del Signore su di me, che passa ogni giorno, che mi cambia ogni giorno.
Se non vivo così, a questo livello, rischio di non approfondire mai la vita, e di non appartenerle mai sul serio. E poi è un disastro…. Gli anni passano… e io firmo l’infelicità!
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LA TESTIMONIANZA DI UNA NOSTRA SORELLA…
Suor Maria Grazia della Santa Sindone
(Jole Tozzi)
Passata all’eternità il 12 dicembre 1977
La Tua Parola, Signore, è la mia vita
Nel silenzio di una grande pace, la nostra cara Consorella Suor Maria Grazia è entrata nella vera Vita. L’aveva tanto bramata e sospirata ad ogni istante della sua giornata terrena. E’ passata come è vissuta : in un atto di donazione denso di amore, di sacrifici, di silenzio.
Jole nacque a Suna (Novara) il 28 ottobre 1901, figlia unica fra quattro fratelli. Fin da piccola si rivelò in lei l’animo delicato, veritiero, limpido come acqua di sorgente. In famiglia troverà l’ambiente ideale per custodire e sviluppare i tanti doni di natura di cui il Signore l’aveva arricchita. La mamma, donna di grande fede e di sapiente consiglio, la seguiva con particolare tenerezza ; il papà ed i fratelli l’adoravano. Jole si faceva facilmente amare per il suo temperamento chiaro, affettuoso e vivacissimo..., tanto che a volte costringeva la mamma ad armarsi di un piccolo battipanni, i cui colpi andavano però a vuoto perché Jole, svelta svelta, si rifugiava sotto il tavolo..., e non c’era più nulla da fare. Ne usciva illesa, con un “perdono, mamma!”, e un bel bacio.
La mattina della prima Comunione, Jole si trovava vicino alla cuginetta, in Chiesa, nel banco parato a festa per il grande avvenimento. Sennonché in un baleno le venne in mente qualcosa che non la lasciò più quieta. Toccò la cuginetta e le disse sottovoce :
“Ieri, dopo esserci confessate, ho commesso un peccato. Non posso fare la Comunione!”.
Visto che non si poteva muovere, Jole, facendo segno col suo ditino al Sacerdote, che era sul Presbiterio, lo chiamò perché andasse da lei. Quando questi le fu vicino, gli disse :“Padre, mi dia l’assoluzione, perché ieri, dopo che mi sono confessata, ho detto una paroletta sgarbata” In tal modo, felice, poté ricevere nel suo cuore Gesù.
E’ un aneddoto che ben rivela come già il suo animo non sopportava la più piccola ombra di meno puro, meno bello, meno perfetto, in sé. Sarà proprio questa la massima sofferenza che l’accompagnerà nella sua vita religiosa e che diventerà in lei sempre più acuta, man mano che nell’esercizio delle virtù si avvicinerà sempre di più a Colui che è la stessa bellezza, purezza, perfezione e giustizia, per Essenza.
Divenuta signorina, teneva molto all’estetica del suo volto e della persona, anche se ciò non le era difficile dato il suo tratto naturale fine ed elegante.
“Ma tutto ciò, - confesserà più tardi in Monastero - non lo facevo per piacere a qualcuno : era in me una viva esigenza”. Vedendo la signorina Jole, la si sarebbe pensata la persona più felice ed invidiabile di questo mondo : bella, intelligente, fine, di condizione agiata, era la gioia della famiglia e delle persone che, frequentandola, ascoltavano volentieri la sua parola meditata e pur chiara e gaia.
L’animo suo terso rifuggiva ogni discorso men che bello; tuttavia:
“Non pensavo di farmi Suora - ci dirà più tardi - , anzi, mi stancavo moltissimo a dire il Rosario ! Quante volte la mamma mi esortava a pregare ! Io ne rimanevo sempre annoiata... ! In fondo a me, però, c’era un vuoto ; non mi sapevo decidere per nulla : neanche il matrimonio mi attirava. Anzi, quando ritornavo da qualche celebrazione matrimoniale, mi dava un gran sollievo pensare che non ero io la sposa !”.
Di certo il Signore l’attendeva.
“Nel XXV anniversario dell’ostensione della Santa Sindone - ci raccontò - la mamma mi condusse a Torino. Andai a vederla con la mia solita indifferenza. Ma quando mi trovai di fronte alla bellezza di quel Volto dalle sembianze divine, alla perfezione di quel Corpo..., sentii in me uno sconvolgimento totale ! Nel silenzio del mio cuore, che si spalancava alla grande scoperta della mia vita, gridai: ‘Ho trovato Colui che il mio cuore desidera. Non lo lascerò più!’”.
Non sembra questa l’espressione della Sposa del Cantico dei Cantici ?
Uscita, fu lei a dire : “Mamma, andiamo al Santuario della Consolata a recitare il Santo Rosario”. E vedendo la mamma che portava un pacchetto : “Lascia, mamma, lo porto io!”.
La meraviglia della mamma fu grande : non riusciva a capacitarsi del cambiamento improvviso della figliola, che fino ad allora mai avrebbe portato il più piccolo peso, per timore di rovinarsi la linea del portamento!
Incominciò così un periodo totalmente nuovo nella vita di Jole. Il momento fu decisivo ; né mai più si ritrasse. Il suo cuore era colmo di gioia, di vita, di tenerezza e di sincera volontà di donarsi. D’ora in poi, quella perfezione che prima esigeva per la sua estetica, l’esigerà per il suo spirito, e diverrà per lei l’apice della più grande umiltà riconoscere la propria miseria e nullità.
Fu questa l’opera della Grazia, che man mano, forgiando quest’anima datasi completamente in balia dell’Amore, la condurrà alle vette dell’unione con Dio. Fra la viva meraviglia dei familiari, la si vedrà d’ora innanzi andare tutte le mattine alla S. Messa. A tavola, incanterà il papà con i suoi discorsi sulla grandezza di Dio, sulla bellezza della Sua creazione, riflesso del Suo Amore, sul significato di un fiore, specchio delle perfezioni di Dio, ecc. Nel suo diario comincerà ad annotare i “fiori” e i “dispiaceri” dati a Gesù. Ecco cosa scriveva il 25 settembre 1931, durante il suo primo corso di esercizi spirituali :
“Oggi ho cominciato a dire tre Rosari alla Madonna perché preghi per me il Suo Gesù, e continuerò questa pratica fino alla fine degli esercizi”. Il 26 settembre 1931 :
“Ieri mi è arrivata la lettera del papà. Di colpo Gesù mi ha suggerito di fare un sacrificio per amor Suo, e di leggerla solo alla fine degli esercizi. Caro il mio Gesù ! E’ Lui che mi chiede i regali che Gli debbo fare. Me ne ha chiesto un altro più difficile : quello di non mangiare mai frutta in questi giorni. Io Gli concedo tutto quello che Vuole, perché è degno di tutto il nostro amore, e sarà sempre poco quello che farò per Lui.”. E ancora:“... Mi si dice che assolutamente Gesù Vuole da me che rinunci ad ogni mondanità, a quell’attaccamento che ho sempre alla mia estetica. Come potrò non mettere la cipria ? Ritoccarmi come facevo prima ? Sarà terribile uscire al ‘naturale’! Ah, Gesù vuole da me una grande rinuncia, che mi costa più di qualunque altra cosa ; cioè, rappresenta il massimo ! Sarà la mia morte morale ! ...Dopo aver tanto pianto disperatamente, ho promesso a Gesù che ascolterò il Suo desiderio, ma ho bisogno che mi dia grazia superiore ; altrimenti, come farò a mantenerlo ?”.
I familiari, vedendo il cambiamento di Jole, credevano si trattasse di un momento passeggero. Ma Jole faceva sul serio. Ed eccola rivolgersi al Padre spirituale perché le indicasse un Convento dove poter essere per sempre Sposa di Gesù. Dopo essersi rivolta ad alcuni, senza tuttavia trovare quello che desiderava, le capitò di entrare nella Chiesa del nostro Monastero di Ronco-Ghiffa. Vi era esposto solennemente il SS. Sacramento. Ci narrò in seguito di avervi sentito la netta sensazione che Gesù le dicesse :
"Questo è il tuo posto !”, mentre una grande pace le invadeva l’anima. Detto e fatto : il 26 luglio 1933 faceva il suo ingresso in Noviziato, fra le Benedettine dell’Adorazione Perpetua del SS. Sacramento.
“Dal momento in cui entrai in Monastero - ci confidava - cessò per me ogni spirituale dolcezza e consolazione, che fino ad allora mi era stata spinta e forza per ogni cosa. Mi trovai immersa nel buio e non sentivo più le carezze di Gesù.”.
Questo stato di aridità si prolungherà per tutta la sua vita, ma non la priverà dell’intimità col suo Sposo Gesù. Così notiamo nei suoi diari, che sono un inno di fede, di amore e di speranza; una gloria a Dio nel riconoscimento della propria miseria e impotenza.
Le difficoltà che incontrò in Monastero non furono poche per il suo temperamento e per il suo fisico delicato. Suor Maria Grazia, come da allora si chiamerà, nella brama ardente di vivere con rettitudine il dono di sé a Gesù, non si fece intimidire da esse. Appoggiata al suo Diletto, che scorgeva in tutte le cose, in tutti gli avvenimenti e persone, camminava sicura, anche a sua stessa insaputa. La sua sarà una vita d’amore vissuta nel segreto, nel profondo del suo essere, con tanta naturalezza. Apparentemente, si sarebbe detta una vita il più comune possibile a quella delle sue Consorelle.
Ecco il programma che scrisse all’inizio del suo Noviziato, il 20 settembre 1933 :
“Mi sento il vivissimo desiderio: Come modello terrò innanzi agli occhi il contegno di Maria Bambina al Tempio : umile e sconosciuta a tutti, ma sommessamente cara a Dio.
Io credo fermamente, o Dio onnipotente, che se mi darai la Tua Grazia, potrò mettere in pratica quanto ho promesso.”.
D’ora in poi, il lavoro che afferrerà tutto il suo essere sarà quello di divenire una “vera” Religiosa, tesa alla perfezione per piacere a Gesù e darGli gloria. Come? Ce lo dice lei stessa :
“ - la leggerezza di spirito : in Religione tutto è serio e della massima importanza ; - l’indelicatezza verso il Signore ; - le mancanze di generosità : è generoso chi fa più che può, senza ragionare sulle conseguenze. Con la generosità si diventa presto sante, e grandi sante.”. (anno 1935).
“Dobbiamo infiggerci bene nel capo - scriveva ancora - il chiodo della santità, ad ogni costo. In punto di morte sarà un gran tormento per una Religiosa quello di non essersi fatta abbastanza santa. Saremo giudicati di tutto e di ogni cosa, e se la nostra vita avrà corrisposto alla Vocazione di Benedettine Adoratrici e Riparatrici. Non bisogna dare ascolto al demonio, quando ci dice che continueremo sempre così, col nostro tran-tran”.
Il 10 agosto 1939, avvicinandosi il momento del suo passaggio dal Noviziato in Comunità, annotava nel suo diario: “Sento che Gesù nell’Ostia sarà il mio tutto, nella mia vita futura di Comunità. A Lui ricorrerò in ogni vero bisogno ; presso di Lui verserò le mie lacrima”.
Il 21 ottobre 1939 : “Sento che ho tanto bisogno di vigilare su di me. Devo tenermi d’occhio, come si fa con un nemico che ci può fare solo del male”.
La sua delicata costituzione fisica era ritenuta da lei solamente indolenza, e spesso considerava mancanze, e se ne accusava, quelle che per lei erano vere impossibilità. Nel 1940 così scriveva : “Entrando in Monastero, non ho più sentito Gesù ! In questi sette anni l’ho chiamato, invocato, pianto ; ma forse non ho ancora preso la strada giusta che poteva condurmi a Lui. Quanto ho sofferto! Quanto ho pianto! Oggi mi è stata indicata : la strada è l’annientamento della mia volontà; è la rinuncia; il dovere compiuto con l’occhio sempre rivolto a Te, o Gesù, per averne la Tua sola approvazione; è la strada della guerra contro le passioni; dell’odio verso noi stesse; guerra e odio che mi fanno già sentire quello che non avevo ancora provato in questi sette anni di vita religiosa: la pace del cuore.”.
Alcuni giorni dopo questa scoperta, nota :
“Ho continuamente la sensazione di questa pace ; di camminare in una strada tranquilla, serena. Vedo Iddio che dal Cielo mi sorride e approva ; gli Angeli mi stanno intorno, sorridenti ed incoraggianti. Gesù non lo vedo ancora, ma lo sento Amico. Non mi rimprovera più ; non mi fa più piangere !”.
Su questa strada camminerà giorno per giorno nel silenzio, nell’immolazione nascosta e feconda, in un dialogo di abbandono e d’amore continuo e segreto col suo Gesù. La sua vita interiore era basata su solidi pilastri : umiltà, carità, lealtà e rettitudine. Il suo alimento quotidiano era l’Eucaristia ed il Vangelo. Aveva una sete insaziabile di conoscere sempre più Gesù.
Il 12 aprile 1949, scrive :“Come mi sento slanciare verso le grandi verità massicce: verso l’Eucaristia, verso il Vangelo, la Croce, la presenza di Dio nella anime, il Suo Amore che sempre ci avvolge, la Sua provvidenza, la Sua misericordia ! Le altre cose mi stancano ed annoiano ! Solo queste mi danno sicurezza, pace, riposo, gioia all’anima ! Oh, il mio diletto Vangelo, come lo copro di baci ! Come mi prostro dinanzi ad ogni sua parola ! Lo aspiro e me ne nutro quasi come una Comunione : è una Comunione con la Verità, con Gesù ‘vero’ !”.
Il 12 settembre 1949, scrive :
“Il Predicatore degli esercizi, nel lasciarci ci diede come ultimo saluto il ricordo di avere sempre dinanzi il Vangelo. Egli diceva che anche le persone dedite alla pietà ed alla vita spirituale possono facilmente finire per allontanarsi completamente dagli insegnamenti di Gesù, e malgrado la loro contemplazione, ridursi a non essere affatto cristiane. E’ quindi necessario avere sempre il Vangelo alla mano e studiarlo ; confrontarlo con la nostra condotta, per vedere se essa corrisponde ai Suoi insegnamenti.
Quale ricordo sostanziale ci ha lasciato, e come gliene sono grata ! Come ho ragione di non voler leggere altri libri all’infuori di questo Libro Divino! Fino ad ora nel Vangelo ho quasi solo studiato la Persona di Gesù, e mi sembra di averLo compreso. So bene ciò che Egli ama e ciò che disprezza ; ciò che Lo rapisce d’ammirazione e ciò che Gli suscita ripulsa ; quali sono le colpe che ottengono da Lui facilmente misericordia, e quali Lo accendono di sdegno e Lo mostrano terribile Giudice. Ora è tempo che studi il Vangelo sotto un altro aspetto : cioè che lo confronti con la mia vita, per vedere se pratico la Dottrina di Gesù che tanto ammiro ; se vivo del Suo Spirito. Ahimè, su questi punti dovrò dire : ‘Io non faccio come Vuole Gesù !’.”.
La sua vita divenne veramente una meditazione continua del Vangelo. Alcuni brani del suo diario ci rivelano come sapeva rapportare tutto ad Esso.
“Gesù, che ho appena ricevuto nella S. Comunione, è l’Oggi a me presente con la sua Grazia, momento per momento. Oh, se si vivesse il Vangelo ! Non dice forse Gesù : ‘Perché vi date pensiero del domani ? A ciascuno basta la croce di ogni giorno. Il Padre vostro Sa di che cosa avete bisogno. Cercate prima il Regno di Dio e la Sua Giustizia, e il resto vi sarà dato per soprappiù.’.
Il ricco avaro che aveva accumulato grandi ricchezze, diceva a sé stesso : ‘Ora puoi godere.’ In quella stessa notte dovette morire e non poté godere neppure una delle gioie che si riprometteva. Perché non abbiamo sempre presenti gli insegnamenti di Gesù ? Quale altro scrittore può parlare meglio della Sapienza divina ? Anch’io ripeto, con l’autore dell’ ‘Imitazione di Cristo’ : ‘Taccia Mosé, tacciano i Profeti : Tu solo parla a me, mio Dio ; Tu solo hai parole di vita eterna !’”.
Ancora:
“Il Vangelo di oggi racconta la magnifica storia del cieco nato : come per aver egli parlato bene di Gesù, suo Liberatore, viene strapazzato dai Capi e cacciato dalla Sinagoga. Poco dopo Gesù gli si fa incontro, e a lui, povero pezzente, rivela la Sua divinità. Oh, la grande ricompensa, il grande premio per quel poco che aveva patito per Lui ! Che cosa non farai Tu, Gesù, per quelli che Ti seguono e si sacrificano per una vita intera, e sostengono, cercano, anzi, ogni pena per Tuo Amore? Di quanto amore circonderai queste anime ! Come rivelerai loro la Tua divinità, i segreti più alti ed intimi !”. (1951).
“Nel libro datomi per la Quaresima, ho letto la scena sempre commovente di Gesù con l’adultera ! Dice il libro che, alla fine, tutti gli accusatori se ne andarono, e rimasero solo l’estrema miseria con l’estrema Misericordia ! Queste parole mi hanno commossa, e mi sono rallegrata di essere, io pure, questa estrema miseria unita all’estrema Misericordia ! Come mi fa bene questo pensiero oggi, vigilia dell’anniversario delle mie nozze con Gesù !
Gesù, mia Misericordia estrema, Ti offro di nuovo il dono che Ti feci dieci anni fa ; dono, certamente, della mia miseria. Tu lo gradisci, Signore, perché ami la verità ; perché Sei buono e ami ricevere le nostre miserie, per gettarle e distruggerle nell’abisso avvampante della Tua Misericordia.”
Il 17 marzo 1951, scriveva :
“Ho letto : ‘Se la vostra giustizia non sarà superiore a quella degli Scribi e dei Farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli.’.
Gli Scribi ed i Farisei osservavano a puntino tutte le prescrizioni esterne della Legge ; eppure, non erano ‘giusti’ ! Giustizia vuol dire aver di mira Iddio in ogni cosa ; vuol dire bontà e misericordia col prossimo ; preferire il bene degli altri al nostro ; vuol dire dare buon esempio a tutti. Temo che la mia giustizia non sia superiore a quella delle persone del mondo. Oh, mio Gesù : almeno che Tu abbia a trovare più in me che nelle persone del mondo ; maggior spirito di compunzione ; maggior fiducia nella Tua bontà, nella Tua provvidenza !”.
Era veramente animata da un vivo spirito di fede, che le dava un’immediata chiarezza nella valutazione delle cose, persone, avvenimenti : sapeva riferire tutto a Gesù.
“Cos’è lo spirito di fede ? - scriveva - E’ quello spirito che ci fa vedere Dio in ogni cosa. Ciò che appare oscuro, incomprensibile all’uomo comune, è chiarissimo, semplicissimo, agli occhi di chi lo vede con la luce di Dio”.
“Credevo di avere tanta fede, - confesserà ingenuamente nel suo diario - invece, quanto ho bisogno anch’io di pregare e lavorare per accrescerla !
Se temo la fatica, il sacrificio, le umiliazioni, le privazioni, è perché la mia fede non è ancora forte ; c’è, ma non ha ancora la forza di far muovere queste tremende ruote !
C’è in me la luce, ma è ancora tanto debole ; tant’è vero che cammino adagio : ho paura di slanciarmi a correre perché non distinguo perfettamente ciò che incontro per via. Oh, se vivessi di fede, come vivrei le parole di Gesù, che dichiara beatitudine la povertà, le lacrime, le privazioni, le persecuzioni !”.
In Comunità aveva il dono di creare, in certe circostanze, rappresentazioni che erano ricche di insegnamenti. Le sue doti non comuni di delicato e profondo sentire, di un vivo senso della perfezione, del bello e del buono, risuonavano in esse come un canto che scendeva benefico e fecondo nei nostri cuori. Si usciva ristorate fisicamente e soprattutto spiritualmente : c’era sempre qualcosa di nuovo da imparare, mentre ci si ricreava. L’amore alla perfezione in Sr. Maria Grazia non poteva sopportare un minimo gesto men che appropriato, una piccola piega sull’abito, ecc. . Quindi, ogni più piccolo richiamo che poteva fare alle Consorelle per insegnare loro a recitare, risuonava nel suo intimo come un rimprovero, uno sgarbo, una mancanza di carità fatta loro e, al termine della rappresentazione, la si vedeva andare dalle Consorelle per chiedere loro perdono, con un’umiltà che faceva tenerezza, mentre edificava. Se nell’idearle vi trovava gusto, nel realizzarle vi scopriva una fonte di sacrificio. Ecco cosa scrive nel suo diario:
“La visita di alcune persone mi è servita come rivelazione. Anche il chiasso e le urla dei figli che si divertono insieme, rallegrano il cuore del padre. Oh, mio Dio, che dono mi fai a farmi comprendere queste cose ! Ora capisco il mio torto nell’essere così contraria alle festicciole. Iddio deve invece godere nel vederci unite e allegre. Tutte queste cose che tanto mi infastidiscono, servono per unire gli spiriti e i cuori. D’ora innanzi non dirò più nulla in contrario. Se per me sono di sofferenza, l’accetto per rallegrare le mie Sorelle ; per far loro del bene, per unire i cuori. Oh, come allora sarà contento di me il Padre Celeste ! Non permetterà di certo che la distrazione che devo sentire nuoccia al mio spirito, e, invece di offendersi perché non sto con Lui, mi guarderà con tanto Amore, mi benedirà e farà nuovi doni all’anima mia !”.
Spesso si chiedeva quale fosse la sua missione particolare nella Chiesa. Il 14 aprile 1949, così annotava:
“Mi vado sempre più convincendo che la mia missione è quella del seme che deve marcire sotto terra. Appena entrata in Monastero, il Signore mi ha messo all’istante in questo stato di tenebre ; e come ne ho patito, credendomi lontana dal Sole ! Invano cercavo l’amore, la gioia, il movimento, la libertà ! Non sono mai riuscita a trovare nulla di tutto questo, ed ora mi sembra di averne capito il perché. Il seme sepolto sotto terra non può godere di queste cose ; guai se esce dalla sua sepoltura ; guai se vede la luce ! La pianta non metterà radici e non germoglierà mai ! Il seme deve stare là, solo, nel buio, nell’umido, senza movimento ; deve fare una cosa sola : ‘marcire’. A lui nessuno pensa, nessuno lo contempla e lo ringrazia ; esso è là, sotto terra, che geme, soffre e si distrugge ; ma nessuno se ne accorge. Ma Tu mi guardi, Gesù, vero ? Tu non distogli un istante il Tuo Sguardo da questo seme che tanto male ha sostenuto la sua missione. Oh, quale grande missione ! Come hai potuto pensare di affidarla a me ? Eppure Tu non sbagli nel scegliere i Tuoi soggetti ; Tu sapevi che per la mia natura tutto è sacrificio, e il seme avrebbe ben avuto modo di marcire! E ora, Gesù, come si trova il mio seme ? Sta morendo, oppure è ancora intero? E’ cioè un essere inutile, che non fa germogliare nulla ? O mio Diletto : stendi la Tua mano a questa miseria, a questo povero essere senza coraggio. Vedi, Gesù, come il mio corpo si indebolisce sempre più, e come ogni minima cosa è dura e pesante per me !”
La consapevolezza di questa missione fu sempre presente nella sua vita religiosa, tanto che un’ora prima della sua morte, quasi improvvisa, a Nostra Madre che andò a trovarla, disse:
"La mia missione è quella del seme che deve marcire."
Coerenza di impegno e di vita ! Come visse questa sua missione? Ce lo dice lei stessa :
“Constatando come tutto per me è sacrificio, - sacrificio che incontro ad ogni passo, senza bisogno che lo cerchi ; sacrificio che debbo assolutamente fare, perché sono cose di Regola, e quindi di dovere, dalle quali non posso dispensarmi - ho pensato che dovrei rallegrarmi di questo, perché forse indica una tenerezza speciale di Dio per me. Iddio si comporta con me come una madre, immensamente amante del suo bambino malato e difettoso. E’ Lui che pensa a farlo camminare in un posto o in un altro ; a dargli tutto quello che gli occorre. Questo bambino non ha bisogno né di chiedere né di scegliere, perché il Padre pensa a tutto, sapendo bene quel che gli occorre. Mi sembra che il Signore mi dica che l’anima mia è curata come un bambino : non ho nulla da chiedere, nulla da scegliere ; tutto mi viene presentato ad ogni istante dalla Mano amorosa del mio Padre Celeste. Oh, non invano ci si sacrifica e si soffre ! Se i Martiri hanno tanta gloria per aver dato il proprio Sangue in un istante solo, che sarà della Religiosa se ella vive in un continuo annientamento di sé, sempre facendo violenza alla natura, sostenendo il proprio dovere anche quando sente di non averne la forza... ; e questo anche quando è avanti in età, senza la minima poesia, senza nessun fervore sensibile ? Certamente il Signore Sa bene come tutto ciò sia difficile, come sia un martirio continuo di ogni istante ! E come Gli saranno graditi i nostri sforzi ; come saranno ben notati da Lui ; come non ne sarà dimenticato nemmeno uno! Dammi la grazia, Gesù, di compiere, anche a costo della vita, ogni più piccolo dovere, per meritare di essere tra le martiri che hanno dato goccia a goccia il loro sangue.”.
I suoi principi, la sua volontà, avevano linee molto chiare. Sapeva perché si era fatta Religiosa e cosa vuol dire essere Religiosa, nella sua sostanza massiccia.
“Qual è il mestiere della Religiosa? - scriveva - Quello di farsi santa. Nella vita religiosa, tutto è rinnegamento di sé stessi ; e se non si vedono le cose in modo soprannaturale e non si ha spirito di sacrificio, non si riesce a nulla. Si è Religiose in quanto si ha spirito di sacrificio ; e lo si è tanto più quanto maggiore è lo spirito di sacrificio. Se non si ha questo spirito, non si può osservare la Regola. Che fortuna per noi Religiose non avere nessun piacere, nessuna libertà ! Per essere obbedienti, umili, povere, caritatevoli, occorre un continuo esercizio di rinuncia. Quando nella nostra vita religiosa accadono fatti più o meno sconcertanti, se vi cerchiamo una spiegazione umana, non la troveremo mai ; ma se viviamo nel soprannaturale, comprenderemo che tutto quello che accade è per nostro bene. Dio affanna per consolare. Mi devo santificare, ma non in una vita facile, adattando la Regola ai miei comodi. Il Vangelo è attuabile anche oggi ; e il Vangelo impone lotta, sacrificio, eroismo. Il Regno di Cristo non può essere facile. Gesù dice che ci vuole ‘violenza’. Dobbiamo corrispondere al grande dono della vita religiosa con la fedeltà ai santi Voti e alla S. Regola. Questa è un ‘distillato’ del Vangelo ; è un tratto d’Amore finissimo di Dio verso di noi, perché ci salva dall’incostanza della negligenza. L’osservanza della S. Regola è il termometro della vita di una Religiosa : bisogna farne salire in alto il grado. Dobbiamo lasciarci schiantare piuttosto che trasgredire un punto della S. Regola. Dobbiamo odiare come la peste la dispensa domandata, provocata, all’infuori di un giusto motivo. Gesù nel Tabernacolo vive sotto la Regola, senza mai chiedere dispense. La Sua Regola è il nostro volere. Dopo il Vangelo, per una Religiosa, deve venire la S. Regola”.
In questo lavoro continuo di lotta contro sé stessa e di abbandono e amore in Dio, Sr. Maria Grazia conserverà sempre quell’anima di fanciulla, pura e limpida, capace di meravigliarsi e di stupirsi per il più piccolo particolare, scorgendo in tutto il suo Gesù.
Si studiava per avvicinarsi a Lui sempre di più, e Lo scopriva sempre più Amabile, Giusto, Vero.
Il suo stato abituale di confidenza in Lui era sostenuto da un forte spirito di compunzione. Nella sua vera umiltà, sentiva profondamente la distanza che, in quanto creatura, la separava da Dio, contemplato nelle Sue infinite perfezioni. Ecco che cosa troviamo annotato nel suo diario, al riguardo:
“Se pensassimo bene a quel nulla che è la nostra persona e come sia veramente ritenuta tale dagli altri, avremmo ben motivo di piangere ; ma come consola e rallegra il pensiero che Iddio ama tanto questo essere così spregevole! Diletto mio ! Che io cerchi dunque solo la Tua Amicizia, il Tuo Amore e la Tua Gloria, e nulla desideri, se non il compimento della Tua Volontà! Ogni mattina, più che con l’acqua, mi lavo nelle mie lacrime, tanto è veemente il desiderio che ho di vivere santamente ; e continuo a chiedere a Gesù la mia conversione per tanti difetti, impazienze e mancanze di carità. Il Confessore mi ha detto che Gesù mi lascerà sempre così, coi miei difetti, perché Egli si glorifica in questo mio stato ... Le mie suppliche, il mio pianto, la mia contrizione, Gli sono infinitamente graditi. Gli danno grande gioia e gloria. O, mio Diletto : è proprio vero che non Ti offende il mio stato di miseria ? Ora è mio dovere crederlo, perché me l’hai detto Tu, per mezzo di quel santo Sacerdote. Come Tu vedi tutto ; come non lasci cadere neanche una lacrima ; come tieni conto del nostro sforzo! Ad una Madre che mi chiedeva se mi fosse piaciuta la predica di Don L., risposi che era piaciuta molto al mio spirito, ma per il mio fisico fu insostenibile. E aggiunsi : che miseria! La Madre mi rispose : “Dove vi è più sacrificio, vi è più merito !”. Ed io : ‘Merito ? E’ già molto se Dio non mi castigherà !’. La Madre mi guardò meravigliata, e proseguì : “È forse colpa sua se si sente così ? Non è il Signore che l’ha fatta in questo modo ? E poi, il più debole della casa è il beniamino dei genitori, il più accarezzato. Così accadrà anche a lei”. A stento ho trattenuto l’emozione che mi procuravano quelle parole. Sentivo che la Madre era lo strumento di Dio, ed era Lui che mi parlava in quel modo. Dio mio, Padre mio : Tu vedevi la mia tristezza ; Tu sapevi che mi ritenevo una povera, meritevole solo di disprezzo, e Ti sei chinato sull’estrema mia miseria, e mi hai consolato ! O Mano del mio Buon Padre, che Ti sei posata amorosa sul mio povero capo e mi hai accarezzato, hai asciugato le mie lacrime e mi hai attirata al Tuo Cuore : Ti benedico e Ti copro di baci ! Mi hai detto che non solo non mi disprezzi, ma che sono la Tua beniamina, appunto perché sono la più debole, la più bizzarra ! Dio mio, Padre mio, lascia che Ti chiami con questo Nome così consolante alla mia debolezza, alla mia nullità ; lasciami piangere sul Tuo Cuore Paterno lacrime d’amore, di riconoscenza, di confidenza ; lasciami dimenticare quello che sono, per non pensare che alla Tua Bontà e al Tuo Amore. L’anima mia anela di slanciarsi in alto ; non trova un briciolo di gioia nelle cose della terra. Si consuma dal desiderio di essere gradita a Dio ... .”
Realista e pratica, e pur tesa alla sublimità dell’ideale abbracciato, forte nella sua debolezza fisica, ella continua a camminare veloce verso il suo Gesù: nessuna cosa la distoglie da Lui. E questo nella semplicità più assoluta, nel nascondimento che si schernisce di ogni compiacimento, nel desiderio ardente di vivere con sincerità la sua Vocazione.
“Il Signore mi spinge più che mai ad offrirGli preghiere e azioni non apparenti, ma reali. Tutto deve essere frutto di sincerità : l’Ufficio divino detto bene, seguendo anche le parti dell’Ufficiante, gli Oremus, i versetti, ecc., pensando di parlare a Dio; la S. Messa seguita bene ; la risposta a qualsiasi preghiera recitata in comune, fosse anche solo un ‘Amen’. E così per tutti gli atti della giornata ; specialmente per ciò che si fa in comune. Se non si facesse così, rischieremmo in Religione di non essere affatto sincere con Dio, ma di offrirGli una misera apparenza. Dio ama la verità e di certo Gli deve dar ‘nausea’ una Religiosa che Gli da’ a intendere di pregare l’Ufficio, di fare l’Adorazione, ecc. Quale preziosa luce è questa ! Cosa sono, al suo confronto, le visioni ?!”.
Possedeva l’arte della pittura e del disegno : naturale espansione del suo animo ricco di luce, di bello, di melodie divine ; riflesso dell’armonia fluente di linee e di colori che si ammiravano nei suoi quadri e dipinti, dalla caratteristica unica e dal timbro prettamente soprannaturale.
Quanti disegni, pergamene, quadri ; quanta dedizione e arte, specie per i paramenti sacri. Sempre disponibile ad ogni cenno dei Superiori, lieta di accontentarli nel loro minimo desiderio.
Quali le sue intenzioni ?
“Tutto il giorno penso alle anime che andranno all’inferno ... Ho offerto a Dio tutta la mia vita, ogni mia pena, ogni mio sacrificio, per la loro salvezza ; ho detto a Gesù che Gli legavo le mani, affinché non facesse più nessun segno di condanna.
Questa mattina soffrivo molto al pensiero che tante anime si sono perse perché non mi sono sacrificata per loro ; ma un pensiero mi ha come illuminata, e credo che venga da Dio. Ho pensato che Gesù potrebbe aver salvato ugualmente quelle anime, sapendo che io poi avrei sofferto tutto per loro. Che gioia ho provato ! Nessuno mi potrà convincere che non è così ; e ciò mi spinge a offrire tutto per queste anime. Le vedo in corsa precipitosa verso la voragine ... ; i demoni sono già lì per afferrarle ... ; ma io posso fermarli : un’offerta a Dio del Sangue di Gesù, della Sua Vita Eucaristica, del Suo Sacro Cuore, le può salvare ! In ogni occasione ripeto sempre : ‘Pro eis ! Pro eis !’ Prendo questo pensiero come un dono di Dio : è una missione che mi affida. E’ oscura ; nessuno ne sa nulla : ma è ben grande ! Si svolge tra me, Dio, e le povere anime in procinto di dannarsi! Un Sacerdote mi ha chiesto un aiuto spirituale. Posso dunque credere che sia il Signore che voglia questo. Gesù, come Ti ringrazio di questo incarico, di questo dono ; di questo grande segno di stima che mi dai. Mi sentivo una buona a nulla, e ciò mi faceva tanto soffrire ! D’ora in poi, Gesù, tutto sarà per quel Sacerdote. Sopporterò ogni fatica, ogni sacrificio per il bene dell’anima sua ; per ottenere a lui grazia e forza : perché sappia sempre comportarsi santamente e crescere nella santità.”
Se nel santuario della sua anima ferveva questa vita di donazione continua, di offerta e d’amore col suo Gesù, all’esterno la cara Sr. Maria Grazia manteneva quel suo bel carattere gaio e pieno di spirito, che si notava particolarmente nelle belle ricreazioni comunitarie. Che dire delle sue lunghe Adorazioni, delle sue Comunioni ardenti, della sua vita eucaristica che animava tutti i suoi atti ? Ci spiace di non poter riportare tutto, tanto ogni pagina del suo diario è edificante. Riportiamo solo questo passo :
“E’ domenica, ed è esposto il Santissimo. Guardando l’Ostia, mi sento davanti a Dio, nella Sua realtà... Se potessi capire quanto è sacro e terribile questo ambiente ! L’aria che respiro, profumata d’incenso, ha prima sfiorato il Volto di Gesù, il Volto di Dio... Basterebbe quest’aria sacra che respiro per purificarmi, per santificarmi ... Aria sacra, aria divina, entra nel più profondo dell’anima mia e liberala da tante cose che non piacciono a Dio! Gesù dall’Ostia mi guarda e sembra dirmi : ‘Confida, figlia ; ti sono rimessi i tuoi peccati ; la tua fede ti ha salvata’. La Vocazione eucaristica riparatrice assomiglia alla chiamata che Gesù fece ai Suoi tre discepoli prediletti sul Monte Tabor. A noi si fa conoscere come a nessun altro : si trasfigura. Il Padre ci dice : ‘Questo è il mio Figlio diletto, così maltrattato ! AmateLo ! UsateGli tutte le premure, le attenzioni ; fate tutto quello che potete, per renderGli gloria !’ Anche quando noi non siamo in Chiesa dobbiamo far compagnia a Gesù, ma a Gesu -Eucaristia : dobbiamo tenere sempre nel cuore il SS. Sacramento. Noi dobbiamo riparare il cattivo contegno che usano i cristiani in Chiesa ; e quando lo possiamo, dobbiamo dire a tutti che c’è Gesù sulla terra, nel Tabernacolo ! Dobbiamo pregare tanto per il Regno Eucaristico !”
Passò gli ultimi anni della sua vita in uno stato che la vedeva ridotta allo stremo delle forze. Con quanta pazienza e rassegnazione sopportò la sua lunga malattia ! Con quanto sacrificio continuò a prestare la sua arte, appena le era possibile, o quando pensava che avrebbe potuto far piacere ! Era una gioia per lei poter offrire qualcosa ai Superiori, che venerava come fossero “Gesù in Persona”. Da essi e da tutta la Comunità veniva circondata delle cure più delicate e affettuose, che ricambiava sempre con profonda riconoscenza, edificandoci tutte dalla sua cella, che si era trasformata in un Altare d’offerta e d’amore. Quanto bene si riceveva nell’andarla a visitare! Vi era in lei pure la tenerezza per la sua famiglia, ed in particolare per i suoi fratelli. Negli scritti a loro indirizzati sapeva sempre dire quella parola piena d’affetto, comprensiva, ma sempre sublimata dalla fede, esortandoli ad accettare i dolori della vita in vista del Premio futuro, e ad amare Gesù.
Il tempo della Vita si avvicinava per il piccolo seme, che sotto terra continuava a donare. Confessatasi, disse al Padre : “In Cielo ogni Santo darà gloria a Dio in modo particolare : chi per la sua vita austera, chi per la sua dolcezza, chi per i suoi patimenti, ecc. . Non potrebbe darsi che io, a motivo della mia miseria di cui non riesco a liberarmi, non abbia a glorificare la Sua Misericordia ?”.
E il Padre a lei: “Sì, sì. E’ così ; le assicuro che è così. Lei darà in Cielo grande gloria a Gesù, in questo modo. In morte Lo vedrà, e morirà per la gioia di vederLo ! Quante sorprese l’attendono, e quali gioie !”
Negli ultimi mesi, scriveva : “Sento che il Signore non tarderà molto a prendermi con Sé, e forse il giorno dell’immolazione è vicinissimo. O mio Diletto ! Io sono distesa sull’Altare ; sono pronta al sacrificio quando Tu lo Vuoi. Mio Gesù, com’è felice il mio cuore ; quanta pace sento nell’anima mia : Tu hai dato la Tua Vita per salvare me, ed io do’ la mia vita per Te. O magnifico ideale, meta luminosa finalmente compresa, finalmente veduta !”
E ancora: “Spero che Verrai presto a prendermi per portarmi nella Tua eterna Luce. Ti accoglierò con gioia, Gesù, in qualunque momento Tu venga... Non avrò paura di Te, Bontà e Misericordia infinita ; Ti stenderò le braccia e Ti sorriderò...”.
Alcuni giorni prima di morire, scriveva al fratello: “L’esilio sta per finire ed è vicina la vera Vita : non è lontano il giorno in cui potrò finalmente vedere in Viso quel Gesù che tanto ho amato in silenzio per quarantacinque anni ...”.
Egiunse veramente il momento in cui il povero piccolo seme, ormai disfatto per aver dato tutto, metteva il germoglio. Era un germoglio di Vita radiosa ed eterna ; un germoglio ora fecondo di frutti, di benedizione e protezione su tutta la Chiesa, sulle anime, e in particolare sulla sua Comunità, sui cari fratelli e familiari, invitandoci tutti a camminare nell’amore e nella fede. Il germoglio baciato dalla Luce, dalla Gioia senza fine, è ora Vita. Lassù vicino al suo Gesù, dove, nel Suo sorriso infinito, diffonde una pace eterna.
[1] B. Olivera, I sette uomini di Dio. Un testimone racconta la vicenda dei martiri di Tibhirine, Àncora, Milano 2012, p. 64.
[2] frÈre Christian de Chergé, Più forti dell’odio, Ed. Qiqajon, Bose 2006.
[3] Ibidem, p. 49.
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