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Deus absconditus, anno 99, n. 1, Gennaio-Marzo 2008, pp. 19-35

Sr. Marie-Cécile Minin osb ap
La riflessione teologica di
Madre Mectilde de Bar
sul mistero della salvezza

Madre Mectilde de Bar è ora oggetto di seri studi, sia sulla sua vita, sia sul suo pensiero. I suoi scritti sono scoperti oggi con stupore e sopratutto costituiscono degli strumenti per un cammino di vita spirituale salda e profonda. Il suo insegnamento sul mistero della nostra salvezza lascia trapelare come ella, nella sua giovinezza, sia stata formata sotto il profilo teologico. L’esposizione del suo pensiero è poderosa e ferma. Il suo argomentare merita di indugiarvi maggiormente. Madre Mectilde non considera il mistero della salvezza in sé, ma nel suo prolungamento, come sorgente di vita divina attraverso la grazia del battesimo. Questa grazia è il punto di partenza di tutto il suo insegnamento. Per lei, vivere sotto lo sguardo di Dio è vivere in grazia di Dio accogliendo giorno dopo giorno il don che è Gesù stesso che ci trasforma in Lui mediante la comunione. Madre Mectilde offre a chi la legge, una via sicura per raggiungere il vero fine dell’uomo, in altre parole conoscere e amare Dio per vivere eternamente uniti a Lui.

A – Il mistero della salvezza

Madre Mectilde de Bar ha questa grande capacità di sapere cogliere l’evento pasquale nel mistero celebrato. Così la sua meditazione sul mistero della nostra salvezza raggiunge la liturgia pasquale. E’ come un eco dell’Annuncio pasquale, questo canto che ricorda la storia della salvezza: «Egli (Cristo) – si canta – ha pagato per noi all’eterno Padre il debito di Adamo e con il sangue sparso per noi ha cancellato la condanna della colpa antica [...] Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti»[1].

Sì, davvero, l’Incarnazione è un mistero da contemplare in vista di un’accoglienza totale del evento pasquale nella nostra vita.

1 – L’Incarnazione del Verbo, un mistero da contemplare

Nell’anno 1684 è pubblicato, in seconda edizione ampliata, un libricino intitolato Il Vero Spirito delle Religiose Adoratrici del SS. Sacramento dell’Altare, che può essere considerato un compendio del pensiero di Madre Mectilde de Bar. Si tratta di una raccolta di lettere e conferenze della Madre. Nel capitolo 10, scrive Madre Mectilde:

Gesù viene al mondo, facendosi uomo per essere la vittima della giusti­zia e santità di Dio. Egli è venuto per immolarsi e dare la Sua vita: ecco il mo­tivo della nostra gioia. […]. O Gesù, Dio-fanciulo, appena apparite sulla terra, siete già destinato alla morte, non respirate che il sacrificio, e l’amore che vi ha fatto usci­re dal seno del vostro divin Padre, vi con­duce alla Croce e alla morte. E’ il prime gesto che compite venendo al mondo sacrificandovi per rendere gloria e ono­re infiniti al Vostro divin Padre e per riparare gli oltraggi da Lui ricevuti a moti­vo dei peccati dell’umanità. O Gesù, fin da questo momento, noi dobbiamo considerarvi come la nostra vittima. Voi venite sulla terra per subire la morte e darci, morendo, la vita. Fateci la grazia che il momento della vostra na­scita sia per noi quello della nostra morte. Solo la vostra Vita sia la nostra vita![2].

Trapela qui la somiglianza fra il pensiero mectildiano e quello di Anselmo d’Aosta. Scrive infatti san Anselmo in suo trattato Cur Deus Homo? (Perché un Dio Uomo?) [3]:

Il punto principale della questione era perché Dio si è fatto uomo, per salvare l’uomo per mezzo della sua morte, mentre avrebbe potuto farlo – sembra – in altro modo? Tu (è Bosone che dialoga con Anselmo), rispondendo con numerose e necessarie ragioni, hai mostrato che la restaurazione della natura umana non sarebbe dovuta rimanere sospesa, e si sarebbe potuta realizzare solo se l’uomo aveva pagato a Dio il debito del peccato. Tale debito era così grande, che pur dovendolo pagare solo l’uomo, poteva pagarlo solo Dio, e occorreva perciò che lo stesso soggetto che era uomo fosse anche Dio.[4]

L’argomentazione di Anselmo è interpretabile alla luce delle concezioni giuridiche del suo tempo, come se si trattasse di ristabilire la giustizia verso un signore, restituendogli un bene di cui il peccato dell’uomo l’ha privato.

L’uomo ha di fatto vulnerato l’ordo rerum e il vulnus va riparato. Ora ad essere stato offeso è l’onore di Dio (honor Dei) e la riparazione è necessaria. Essendo Dio, l’offeso, infinito, la riparazione deve essere compiuta, quanto al dovere dall’uomo, mentre quanto al potere solo da Dio.

E’ nello stesso modo che madre Mectilde presenta il mistero dell’Incarnazione. In una conferenza «per prepararsi alla Natività di Nostro Signore», così parla alla sua comunità:

Il Verbo divino si offre per riparare la gloria del Padre e salvare l’intero genere umano dicendo, come leggiamo nella sacra Scrittura : «Ecco io vengo per fare la tua volontà», pur essendo egli stesso l’offeso.[5]

Per Madre Mectilde come per Anselmo d’Aosta, l’uomo è tra le creature quella che più delle altre porta il sigillo, l’immagine divina. Questa condizione pone l’uomo nella situazione di comprendere ciò che deve fare e deve voler fare. L’unità di azione e intenzione è il fondamento della moralità. Basta pensare alle numerose indicazione della Madre a coltivare la purezza di intenzione, a vivere nella rettitudine. Ciò che costituisce la dignità essenziale dell’uomo è la sua libertà, che è una partecipazione alla libertà stessa di Dio. Dove non c’è libertà, non c’è dignità. Ecco perché Dio ha voluto associare la propria libertà alla libertà umana per manifestare e restaurare pienamente l’onore che è dovuto a Dio e all’uomo.

Dunque è più libera la volontà che non può deviare dalla rettitudine di non peccare, rispetto a quella che può abbandonare tale rettitudine. L’uomo è pertanto inevitabilmente predestinato al bene, ontologicamente orientato al bene e tuttavia mantiene la libertà di deviare dalla rettitudine.

Madre Mectilde insiste anche molto sulla gravità del peccato[6]. Ché cos’è il peccato? Spiega San Anselmo: «Il peccare (...) non è altro che il rifiuto di rendere a Dio il dovuto», cioè che «la volontà della creatura razionale deve essere sottomessa interamente alla volontà di Dio» [7].

Nella stessa conferenza sulla Natività, madre Mectilde prosegue:

L’amore e il desiderio che nutre di riparare la gloria del Padre e di salvare gli uomini, lo portano a espropriarsi di quanto gli è dovuto. E ecco che si umanizza. Come possiamo non ardere di fuoco d’amore per un Dio da cui ci viene tanto bene ? Ci ha donato un’anima tanto preziosa da renderla eterna perché potessimo gioire di lui per l’eternità. Il nostro peccato ci ha come strappati da Dio, e soltanto un Verbo umanizzato poteva ricondurci a lui. Il Padre lo dona a noi per salvarci.[8]

È solo nel Dio-Uomo, il Cristo, il Verbo incarnato, che si realizza questa condizione. Ci si interroga continuamente sul senso che si deve assegnare alla nozione di soddisfazione utilizzata a proposito di quanto Cristo ha fatto per riconciliare l’uomo con Dio.

Sant’Anselmo usa la nozione di debito (debitum), nel senso che ciò che è dovuto a Dio, è pure il suo onore. Anche nella penna di madre Mectilde si ritrovano questi stessi concetti di debiti, offesa, onore, soddisfazione, rettitudine. Madre Mectilde usa lei medesimi termine:

Non vi era – dice Madre Mectilde – che il Figlio di Dio che potesse redimerci e pagare i nostri debiti ; senza di questo la natura umana sarebbe rimasta insolvente e per sempre oggetto della indignazione di Dio. Il peccato è cosa talmente orrendo e spaventosa, che è stata necessaria la morte di un Dio per ripararlo.[9]

Lungo tutta la vita, madre Mectilde non cesserà di approfondire il mistero della salvezza. Così, in un’altra conferenza in preparazione alla solennità del Natale, nel 1693, esterna l’ammirazione e lo stupore di fronte al mistero dell’Incarnazione:

Ecco dunque che è stabilito nell’eterno consiglio che questo Verbo adorabile si incarni per l’onore del Padre suo, per riparare la sua gloria e, infine, per salvare gli uomini. (…) O prodigio! O amore del Padre e del Figlio! Del Padre che ci dona il Figlio; del Figlio che si dona per riscattarci. [10]

Sia per Anselmo che per madre Mectilde, l’Incarnazione assume pieno significato in questa prospettiva . È questa la sua ratio. Il Verbo, incarnandosi, ha assunto quella natura umana che si era resa colpevole di avere vulnerato l’ordo universi e con un atto del tutto gratuito la morte di croce, Egli ha riconciliato questa stessa natura con Dio. Prosegue san Anselmo nel Cur Deus homo:

Per l’onore di Dio, l’uomo non può offrire nulla di più duro e difficile, che soffrire la morte liberamente e non per debito; e non può dare se stesso a Dio più pienamente, che consegnandosi alla morte per l’amore di lui.( ...) Colui che vorrà soddisfare per il peccato dell’uomo deve essere allora uno che possa morire, se lo vorrà.[11]

Il Figlio, Servo sofferente, l’ha voluto fino alla fine. A differenza dell’uomo solo Cristo può offrire la propria vita a Dio non a titolo di debito, ma per amore e per l’onore di Dio. «L’amore di Dio infatti (...) è gratuito. L’unico amore al mondo veramente e totalmente gratuito che non chiede nulla per sé (ha già tutto) ma solo dona, o meglio, si dona. (...) Gesù dunque ha sofferto ed è morte liberamente, per amore. Non per caso, non per necessità, non per oscure forze»[12] ma perché Egli ci ha amati per primo (1 Gv 4, 10-19).

Si percepisce bene quanto l’approdo teologico di Madre Mectilde sia vicino al pensiero anselmiano, non solo per l’aspetto pessimistico, ma anche per la capacità di stupirsi di fronte all’opera della Redenzione. Per entrambi la vetta, il capolavoro dell’umano è, infatti, l’Incarnazione del Verbo in Cristo[13].

L’umanità santa di Gesù Cristo – afferma Madre Mectilde de Bar –  è stato il suo capolavoro.[14]

Sentiamo ancora madre Mectilde:

Sì. E’ la felicità e la speranza della nostra sorte eterna, perché Ge­sù, con la sua nascita, con la sua soffe­renza e la sua morte ha dato inizio alla nostra riconciliazione con il Padre.[15]

Come non essere nello stupore. Il Verbo si incarna, assume la natura umana, la eleva mediante la sua persona divina al rango della divinità e, restituendosi a Dio, restituisce a Dio l’intera umanità e all’umanità restituisce la giustizia, la liberazione del peccato. Ma questa redenzione in !cristo, siamo pronti a accoglierla.

2 – La Redenzione, un mistero da accogliere

Per capire il pensiero di Madre Mectilde, è importante partire da san Tommaso D’Aquino. Madre Mectilde ne fa riferimento una volta  nel Capitolo di Pace dell’anno 1672.[16]

Nella III pars[17], san Tommaso espone il mistero della Redenzione. La redenzione si realizza per via di merito, di soddisfazione e di sacrificio: di merito, con il quale Cristo ottiene per noi la grazia che ci santifica; di soddisfazione, con la quale ripara la colpa della nostra offesa a Dio e salda il nostro debito penale contratto col peccato; di sacrificio, con il quale è dato a Dio l’onore a Lui negato da noi col peccato. Tutto questo è l’opera dell’uomo Dio. Il principio personale del merito, della soddisfazione e del sacrificio è il Verbo, l’unica persona che vi è in Cristo. Ma il principio formale è la natura umana e essa sola; la nature umana in quanto buona.

Nella sua conferenza Prepararsi alla Natività di Nostro Signore, madre Mectilde riprende gli stessi concetti:

Il Verbo eterno, essendo l’Intelletto del Padre, vedeva l’estrema miseria e conosceva l’eterno consiglio riguardante la propria Persona e la redenzione degli uomini. Era stabilito che il Verbo si incarnasse e morisse nella carne per salvare l’umanità. Infatti, non potendo la natura di Dio soffrire, il Verbo non avrebbe potuto soddisfare la giustizia divina. D’altre parte, le sole sofferenze dell’uomo, finite e limitate, non potevano espiare pienamente i peccati che offendendo la maestà infinita di Dio, hanno origine da un male infinito.[18]

Dio non può meritare, né soddisfare, né offrire sacrificio; e quando assume la natura umana non gli dà il potere di fare queste cose. Ciò che fa è di dare valore personale divino a quello che essa può realizzare.

Prosegue Madre Mectilde:

Per questo, anche se tutti gli uomini e gli angeli si annientassero e consumassero nelle suppliche più straordinarie, una sola sua lacrima o un solo suo sospiro avrebbero più valore, poiché essi non sono che creature finite e limitate[19].

Qui, Madre Mectilde mette in rilievo il valore soprannaturale degli atti di Cristo. Dice anche Madre Mectilde de Bar:

L’uomo era incapace di risollevarsi da solo e gli angeli non potevano soccorrerlo, poiché, essendo stato Dio infinitamente offeso, la sua giustizia richiedeva una soddisfazione infinita. [20]

La parola soddisfazione non si trova né nella Sacra Scrittura, né nei Padri. E’ un termine che risale soltanto ai tempi di Anselmo di Aosta. Questo termine è adatto a illustrare un’idea molto ricorrente nella rivelazione; quella cioè che Cristo ha dato il prezzo dovuto per i peccati degli uomini. Il fatto che i peccati non fossero suoi e fosse lui a soddisfare, implica una sostituzione. Affinché la sua opera di soddisfazione fosse efficace, egli aveva bisogno previamente di prendere su di sé il debito degli altri. E’ questo che si vuole indicare, quando alla parola soddisfazione si aggiunge l’aggettivo "vicaria"[21].

Continua Madre Mectilde:

Soltanto il Verbo, dunque, il Figlio che Egli genera da tutta eternità, poteva soccorrerci, poiché, essendo Dio come il Padre e lo Spirito Santo, tutte le sue azioni hanno un prezzo infinito.[22]

Ecco ciò che Madre Mectilde espone. Poiché la natura umana può meritare, soddisfare e sacrificare, essendo unita al Verbo, il suo merito, la sua soddisfazione e il suo sacrificio sono atti compiuti da una persona divina. Ma con un principio formale umano. Tutte le azioni di Cristo avevano valore divino personale, perché procedevano dalla persona del Verbo, e valore morale formale, perché procedevano dalla grazia santificante.[23]

Vediamo quanto madre Mectilde de Bar propone a chi desira intrare nell’intimità del Figlio. Ella ci domanda di applicarsi:

a considerare ciò che nostro Signore Gesù Cristo ha fatto e sofferto nel Giardino degli Ulivi. Abbandonandoci alla sua grazia e al suo ti­more, per riceverne qualche buono effet­to, offriamo all’Eterno Padre la contrizio­ne del Suo divin Figlio in soddisfazione di quella che ci manca.[24]

Tanto il merito come la soddisfazione sono attribuzioni della virtù di giustizia. Il merito di un atto buono è il rapporto fra l’atto e una retribuzione giusta; la soddisfazione di un atto doloroso è il rapporto fra l’atto e una giusta compensazione. La giustizia richiede uguaglianza. Vi è giustizia quando il dovere corrisponde al diritto. La giustizia comporta anche uguaglianza personale, ciò che è essenziale è che vi siano due persone.

Gesù, dice Madre Mectilde:

è il nostro garante, geme per noi, pa­ga al nostro posto. Facciamo almeno no­stre le sue sante disposizioni e non ren­diamo inutile la grazia che ci ha meri­tato».[25]

La valorizzazione degli atti di Cristo aveniva in ordine alla grazia degli altri. I suoi atti avevano il valore di soddisfare per quello che gli altri dovevano soddisfare, di liberare gli altri dalla schiavitù dell’anima, di meritare per gli altri la grazia santificante. Riprendiamo la riflessione di Madre Mectilde:

È qui – scrive ancora – che si dona a ciascun’anima in particolare, è qui dove accetta la morte per darci la vita, dove ci ridona i diritti che il peccato ci aveva sottratto. [26] (…) per vendicare l’ingiuria che il peccatore fa a Dio con il proprio peccato [27]. (…) È qui che bagna la terra con il proprio Sangue, che si abbatte fino a sperimentare l’agonia della morte, dove tutti i peccati piombano insieme su questo Salvatore divino, per coprirLo delle loro tristi ombre e farLo comparire in questo stato dinanzi alla giustizia divina, la quale trae la piena soddisfazione, dovutale rigorosamente.[28]

Madre Mectilde considera anche Gesù:

cauzione e garante, per soddisfare la divina giustizia in tutto il suo rigore[29].

Questi termini «in tutto il suo rigore» vanno intesi nel loro esatto significato teologico. Per compensare l’offesa infinita si deve offrire un onore infinito. E l’onore non si misura sulla dignità dell’onorato, ma su quella di chi onora. Una persona si considera tanto più onorata, quanto più degno è chi la onora. Ne consegue che per compensare debitamente Dio dell’offesa fatta col peccato, è necessario che colui che compensa, che onora, sia infinito, come infinito è l’offeso. Nessuna creatura è infinita; perciò nessuno può soddisfare ex toto rigore justitiae. Solo Cristo invece può farlo perché la sua persona è divina [30].

Il caso de condigno ex toto rigore iustitiae, si ha quando esiste un’uguaglianza perfetta fra tutti i termini comparati[31]. La soddisfazione di Cristo è de condigno in tutti i suoi aspetti : in quello di compensazione penale per ciò che il peccato ha di sottomissione indebita a un bene relativo e in quello di compensazione per la macchia e l’offesa a Dio insite nel peccato.

Gesù – dice madre Mectilde – pur senza colpa, appare colpevole; è qui, dove è trattato con rigore dalla giustizia e santità divina. [32]

E’ de condigno ex toto rigore iustitiae. Cristo può soddisfare ex toto rigore justitiae, poiché la sua grazia capitale, da sola, per il bene degli uomini, dà enormemente di più di ciò che la loro volontà perversa dà per il male ; e la sua persona divina ha la stessa dignità di colui che fu offeso, cioè Dio.

In questa prospettiva vanno intese le parole « in tutto rigore », e non in senso negativo. Si impone un salto di qualità a chi vuole comprendere la spiritualità mectildiana, con un ritorno obbligato al valore delle parole nel XVII secolo. Con la redenzione Egli ci ha meritato di partecipare alla vita stessa di Dio.

B – La partecipazione alla vita divina

Senza la grazia insegna Madre Mectilde, non c’è possibilità di partecipazione alla vita divina. Ecco come ella definisce la grazia:

«Numerosi spirituali hanno dedicato le loro fatiche a comprendere che cosa è la grazia, specialmente dopo le nuove opinioni del tempo. Alcuni l’hanno definita un movimento e ispirazione dello Spirito Santo; ma io dico che la grazia non è altro che una partecipazione di Dio, meritata da Gesù Cristo, di modo che, in verità, possiamo dire che la grazia è una partecipazione di Gesù Cristo e i suoi effetti sono le produzioni del suo amore e delle sue misericordie. Per questo può dirsi che l’anima in grazia possiede nel suo fondo un tesoro nascosto, e questo tesoro non è altro che Gesù Cristo».[33]

La grazia divina increata causa in noi delle grazie create, dei doni e dei benefici creati, per i quali noi rendiamo azioni di grazia.

La grazia ci preserva del peccato mortale o lo annulla in noi. La grazia ci renda atti a riparare i nostri peccati. Nello stato di grazia possiamo condurre la vita soprannaturale. Scrive Madre Mectilde:

(...) un’anima, che per gra­zia di Dio è esente dal peccato mortale, partecipa al Sacrificio di Gesù nel modo che ho detto. Quanto poi a quelle anime, la cui vita è più perfetta, è certo che ri­cevono doni più sensibili e più meravi­gliosi.[34]

Madre Mectilde tratta tutti gli aspetti della grazia; li riprendiamo uno dopo l’altro.

1 – L’ordine soprannaturale, d’Adamo a Cristo, nuovo Adamo

La grazia originale o di Adamo

Dio ha creato l’uomo al fine soprannaturale, per conoscerLo e amarLo. Dio non ha creato l’uomo in uno stato drammatico, ma in uno stato d’armonia. Gli ha dato sin dal primo momento di essere un «figlio di adozione», l’ha rivestito della sua grazia; è venuto ad «abitare in lui». Questa grazia confortava meravigliosamente la triplice dominazione naturale ma fragile e precaria dell’anima sul corpo, della ragione sulle passioni, dell’uomo sull’universo, si facendo che l’anima tenesse il corpo e non l’abbandonasse più; la ragione governava pienamente le passioni e quindi assenti i conflitti passionali, l’uomo regnava veramente sul mondo. Questo triplice sostegno apparteneva ai doni preternaturali.

Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. A sua immagine, significa con un’anima immortale, a sua somiglianza, significa con la grazia e l’inabitazione della Trinità. Nel Vero spirito, l’intero capitolo 3, intitolato Le tre dimore di Dio, è dedicato a questo tema. A proposito della terza dimora, che è l’anima, scrive Madre Mectilde:

E’ in questa dimora che si co­munica pienamente all'anima pura e che vi ricompone la sua immagine, cancel­lata dal peccato. (…)Vedete dunque che egli chiede umilmente a Dio di abitare per sempre nella sua casa, che è il pro­prio intimo, dove Dio risiede veramente. Lì   le tre   Persone  divine  vi   dimorano come nel proprio tempio. E' lì che com­piono le operazioni dell'amore divino; è lì che l'anima riacquista quella rassomi-glianza con Dio, perduta a causa del pec­cato.[35]

Quando l’uomo ha peccato, egli ha perduto la «somiglianza» di Dio, ma ha custodito in sé la «immagine» di Dio. Continua Madre Mectilde :

Il peccato, sorelle mie, non può cancellare totalmente l’immagine e il ca­rattere che Dio ha impresso in noi, ma ci toglie la somiglianza che ci era stata data nel Battesimo, quella che Adamo aveva ricevuto all’inizio della creazione, quando Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza».[36]

L’opposizione fra la grazia e il peccato appare molto viva negli scritti paolini. La grazia è un elemento soprannaturale; il peccato la sottomissione a un elemento terreno. La grazia è il principio per operare il bene : i suoi frutti sono la pace, la carità reciproca, l’amore, la sobrietà, la moderazione, la verità. Il peccato è il principio per operare il male: i suoi frutti sono l’odio, l’inimicizia, l’invidia, l’ubriachezza, il furto, l’omicidio, la menzogna. (Cf. Galati 5, 16, 26.)

Spiega Madre Mectilde :

(...) Sorelle mie, il far voto di seguire Gesù Cristo non significa solo promettere povertà, castità, obbedienza, ma vivere come Gesù Cristo anche se non lo possiamo come la stessa perfezione. Egli è infatti la santità stessa, mentre noi abbiamo una natura corrotta che ha perduto la grazia originale per la disobbedienza del nostro primo padre Adamo.[37]

La grazia originale manifestava una potenza che non esercita più nell’ordine presente. La potenza trasfiguratrice della grazia originale eliminava la sofferenza e la morte, i conflitti passionali, l’angoscia dello sforzo creatore. Se Adamo non avesse peccato, sarebbe passato dallo stato di via alla trasfigurazione dello stato di gloria, senza conoscere la morte[38]. Perduta la grazia, cioè il dono divino soprannaturale per essenza, nel medesimo tempo egli ha perduto i doni preternaturali e la sua natura umana è ferita e falsata nella sua tendenza al bene.

Dio ha conferito a Adamo tutto in una volta il dono soprannaturale della grazia santificante. Ma si lamenta Madre Mectilde:

Purtroppo (…) spesso noi ostacoliamo i suoi disegni e le sue vie ; e l’ostacolo è l’amore sregolato che abbiamo per noi stessi. L’amore sregolato che abbiamo per il nostro misero corpo (il quale, parlando francamente, non è che corruzione e miseria), ci trascina continuamente al peccato per una disgraziata e detestabile inclinazione che tutti abbiamo ereditato da Adamo, il quale, avendo perduto la grazia, con la sua colpa ci ha seppellito tutti nella sua sventura.[39]

Adamo era capo di tutta l’umanità, perché, prototipo recante la natura umana allo stato più perfetto e sorgente che doveva trasmettere ai suoi discendenti la natura umana con tutti i privilegi che essa comportava. Dopo il peccato egli non ha più trasmesse che una natura umana spoglia, diminuita, ferita, recante la tara del peccato e il senso della morte, una natura privata della grazia, disordinata, poiché Dio l’aveva ordinata alla grazia. Ma, ricco in misericordia, Dio si è ricordato della sua creatura. Dio ha mandato il Suo Figlio Unico, il Verbo fatto carne in Cristo.

La grazia di Cristo

In virtù dell’unione ipostatica Gesù è Dio, perché egli è il Verbo e la sua natura umana non ha altra personalità che quella del Verbo. In virtù della grazia santificante, la sua natura umana è divinizzata in se stessa e capace di conoscere e di amare Dio in una maniera divina con le sue facoltà umane d’intelligenza e di volontà. L’umanità di Cristo, distinta dalla sua divinità, non è divina per natura, ma per partecipazione, cosa questa che appartiene alla grazia santificante.

Benché Gesù sia morto per tutti, tuttavia non tutti godono i benefici della sua morte, ma solo coloro ai quali viene comunicato il merito della sua passione dove:

ci merita la grazia di entrare in comunicazione con il suo divin Padre; (…) ci insegna a detestare il peccato, instillandone in noi l’orrore.[40]

La natura umana di Cristo è unita a Dio in una maniera unica avendo per soggetto personale il Figlio unigenito ed eterno. Inoltre, questa natura umana è in se stessa divinizzata dalla grazia santificante e ornata della pienezza della grazia (cf. Gv 1, 14) e di tutti i doni soprannaturali.

2 – La nostra incorporazione al Corpo mistico di Cristo per il battesimo

Nell’ordine soprannaturale dell’Incarnazione non si parla più della grazia di Adamo, ma di una grazia molto superiore, della grazia che viene da Cristo. L’essenza della grazia comporta dunque la diffusione della vita divina di Cristo, la cui perfezione risiede solo in Cristo.

Quando Madre Mectilde parla della vita, ella vuole:

parlare della vita di grazia e non di quella puramente fisica che abbiamo in comune con gli a-nimali. Ma questa vita divina, che è do­no diretto di Gesù, e che ci viene comu­nicata in modo mirabile, anche se per noi incomprensibile, è la vera vita, quel­la sola che merita questo nome e della quale noi dobbiamo vivere.[41]

Solo Dio è causa principale della grazia, ma l’umanità di Cristo è il mezzo e lo strumento col quale questa grazia ci è data, perché la grazia ci fa partecipi della vita divina di Cristo Dio e uomo. Cristo è il nuovo Adamo, sorgente di vita divina per tutta l’umanità, ma come abbiamo già detto, infinitamente superiore al primo Adamo e per conseguenza sorgente di una grazia superiore.

Stabilita tra Adamo e tutta la sua stirpe una prima solidarietà, questa legge di solidarietà spiega la trasmissione del peccato originale. Una nuova solidarietà, intrecciata tra Cristo e l’umanità spiega come nella persona di lui, l’umanità si sia rialzata ed abbia riacquistato la vita divina.

Madre Mectilde constata:

E’ sorprendente il fatto di sapere, per fede, che formiamo un solo corpo con Gesù Cristo, nostro Signore e che, nonostante tale verità così preziosa, non siamo quasi mai unite a questo adorabile Capo con l’intenzione e l’applicazione attuale. Nella nostra qualità di membri del Corpo mistico di Cristo godiamo di una specie di unione ineffabile con Lui, e co­me conseguenza, possediamo una felici­tà, una grazia e un dono di valore infini­to. E, tuttavia, sorelle mie, trascorriamo ore, giorni, settimane, e forse mesi inte­ri, senza pensarvi in modo serio, senza riflettervi e senza appoggiarvi la nostra fede.[42]

La grazia costituisce l’anima, l’essenza, il fondamento e il vincolo di quella verità misteriosa e profonda che è la dottrina del Corpo mistico di Cristo. Per essa noi veniamo uniti a Gesù Cristo. Costituiamo con Cristo una sola cosa. Viviamo della stessa vita di Cristo come la stessa vita vivono il capo e le membra nel corpo umano[43].

Madre Mectilde presenta il suo pensiero sulla nostra incorporazione al Corpo mistico di Gesù, nel capitolo 16 del Vero spirito. Ecco uno stralcio:

Resi membra di Gesù Cristo, Fi­glio di Dio, noi non rimaniamo uniti al suo Cuore, come alla sorgente, dalla quale riceviamo continuamente la vita. Poiché Dio è inaccessibile, per il fat­to che abita in Se stesso e nella sua santità, perché non procuriamo di ren­derci più familiare la presenza del suo divin Figlio Gesù Cristo, che l’amore ha talmente fatto nostro, fino al punto da fargli assumere la nostra natura per po­tere dimorare in noi? Anima mia, perché tralasci così facil­mente di pensare e di vivere in un rap­porto d’amore e d’abbandono con l’ama­bile Gesù, dal momento che fai parte del suo corpo? Può forse il braccio rimanere vivo, se è staccato dal suo capo? E come potreste vivere voi in un modo puro, se vi separate da Gesù Cristo? E’ una neces­sità inderogabile il rimanere unite stret­tamente a Lui, Separate da Lui, non ave­te né vita, né movimento. E’ da Lui che ricevete la vita in ogni momento, ad ogni battito del cuore. Intendo parlare della vita di grazia...[44]

La grazia santificante e la grazia attuale

La grazia santificante (o abituale) è una partecipazione formale della natura divina. La natura di Dio è una sola. La sua partecipazione, quindi, sarà sempre formalmente unica. La partecipazione alla natura divina è una rassomiglianza soprannaturale con essa. Con la partecipazione alla natura divina scende in noi, per mezzo della grazia, la più alta perfezione. La grazia prepara l’uomo alla partecipazione della conoscenza di Dio. E’ il mistero della elevazione della nostra natura mediante la grazia, e perciò questa nuova vita si chiama soprannaturale.

La grazia santificante è la grazia con le virtù infuse, quali la fede, la speranza, la carità, la prudenza, la temperanza, la forza, la giustizia. La grazia santificante ci fa partecipanti della vita divina. Di chi ne è in possesso diciamo che vive in grazia di Dio[45].

«San Tommaso d’Aquino afferma che la grazia è un’anticipazione della gloria; come à dire che nella misura in qui noi viviamo in grazia già sperimentiamo qualcosa di quella che sarà l’esperienza del Paradiso, perché quando siamo in grazia la Trinità è dentro di noi (...) Alla luce di questo, ci rendiamo conto che il peccato è distruzione della grazia e annebbiamento della Trinità dentro di noi. (...) Capiamo la distinzione abissale tra grazia e peccato, tra vita con Dio e vita senza Dio?»[46]

Chi possiede la grazia santificante non è più un semplice uomo, ma è un uomo divinizzato. Ha in sé la vita divina, è vivo come è vivo Dio, e per questo è destinato a godere della stessa felicità di Dio.

La grazia abituale e la grazia attuale sono necessarie all’uomo per compiere atti soprannaturali.

Dice Madre Mectilde :

Nostro Signore ci dice nel santo vangelo: «siate santi come io sono santo» e in un altro punto: «siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Ecco quanto basta per vedere l’obbligo che abbiamo di tendere alla santità. E a tal fine, è sufficiente la grazia attuale che possediamo; la grazia abituale ci viene poi in aiuto.[47]

La grazia attuale è un dono che si conosce per fede. E un aiuto soprannaturale di Dio. Non è una qualità che resta, come la scienza, la salute, ma un aiuto divino di luce e di forza che passa. Si può dunque definire come un aiuto di Dio interno, soprannaturale, non permanente ma passeggero. E necessaria, perché l’uomo caduto in peccato mortale non può mettersi in grazia santificante senza l’aiuto della grazia attuale[48].

La nostra premura, – spiega Madre Mectilde – la nostra vigi­lanza, il nostro amore e la nostra fedeltà Lo fanno vivere più o meno vigorosamen­te. Dipende quindi da noi, sorelle mie, far vivere Gesù in noi mediante la sua grazia. [49].

Corrispondere alla grazia è un grande beneficio di Dio. Infatti, Madre Mectilde sa bene che la grazia attuale interna si distingue in sufficiente ed efficace. La grazia sufficiente è quella che dà il potere di agire. Quando corrispondiamo alla grazia, di fatto, si compie il bene e si evita il male, allora la grazia si chiama efficace. A chi ha la grazia santificante sono date grazie attuali per conservarla. Inoltre riceve grazie attuali interne. A proposito della santa Messa, Madre Mectilde constata, giustamente, che una seria partecipazione consentirebbe a molti di ricevere:

grazie efficaci per la loro conversione e per il loro ritorno a Dio, ed insieme la forza per allontanarsi dal vizio.[50]

Madre Mectilde sa, per averlo insegnato durante le lezioni di catechismo alle bambine, quando era Annunciata in Lorena, o alle contadine quando era benedettina errante in Normandia, che, quando la grazia attuale interna arriva alle anime, si convertono i peccatori più ostinati, si vincono le tentazioni più violente, si compiono gli eroismi più generosi, si vive in pienezza la propria vocazione nella Chiesa.

L’uomo fu creato in stato di grazia e destinato al fine soprannaturale. Ciò che dà valore positivo presso Dio è per l’uomo il fatto di essere in stato di grazia (informato cioè della grazia abituale) oppure che, pur compiendo un atto del tutto naturale, mosso dall’impulso della grazia attuale, lo ordini al fine soprannaturale; a cui è sempre ordinato. il Verbo infatti si è incarnato per renderci capaci di conseguirlo.

Il grado di grazia di ciascuno

La grazia essenzialmente identica, ammette diversità di gradi in coloro che la possiedono. Nella vita delle anime ci sono differenze di grado, ma in ciascuna di esse, da un medesimo movimento si sviluppano l’intensità della grazia e l’intensità dell’inabitazione della Trinità.

Voi sapete – dice Madre Mectilde – che un bambino di buona famiglia non brama che di conformarsi alle abitudine e inclinazioni di suo padre per la stima che ha di tutto quanto viene da lui. Noi siamo figli di Dio, che è nostro Padre. È mai possibile che i figli del secolo considerino più il loro padre naturale di quanto i cristiani il Padre celeste ? So bene che noi, avendo una natura corrotta, non possiamo agire così perfettamente come Gesù Cristo, che è la santità stessa. Ma so anche quale fedeltà dobbiamo alla grazia, che ci è data abbondantemente, a ciascuno secondo la propria via. [51]

E a proposito dello stato vittimale, precisa:

Dio vi ha chiamata alla condizione e allo stato di vittima, questo è sicuro; ma dire a ciascuna fino a quale grado di grazia, di morte e di consumazione non posso farlo io : è il secreto dell’eterna prescienza di Dio, che crederei temerario voler penetrare.[52]

Da madre spirituale esperta, Madre Mectilde invita ciascuna a scoprire il sentiero da percorrere. Sa bene che come spiega ella stessa:

 (...) Benché facciamo tutte le stesse cose, ogni anima ha un sentiero particolare da seguire per darsi a Dio. Siate fedeli alle vostre attrattive. Chiedete incessantemente la venuta e la dimora di Gesù nelle nostre anime, non come nella sua nascita a Betlemme, circoscritta nel tempo : il suo disegno è quello di dimorare per sempre in noi, che siamo suoi templi, fino alla consumazione dei secoli. Vuole stabilire in noi il suo trono e il suo dominio. Consegniamoci alla sua potenza, adoriamo, accettiamo tutti i mezzi che egli usa per condurci e i disegni che ha su di noi.[53]

E non esita a tornare sullo stesso argomento:

Ognuno deve scrutare le tendenze del proprio intimo per giungere a conoscere il sentiero segreto della perfezione, nel quale Dio vuole che l’anima cammini. E’ importante che sappia ciò che deve fare. Bisogna ripetere di frequente con piena fiducia questo versetto del Profeta: «Vias tuas, Domine, demonstra mihi», mostra­temi, Signore, le vostre vie e fatemi conoscere il sentiero segreto, nel devo camminare per unirmi a Voi, Questo sentiero rimane, per così dire, nascosto ai nostri sensi, i quali vogliono sempre vedere, conoscere, gustare e sentire. Si tratta di un sentiero stretto: per camminare in esso dobbiamo quin­di spogliarci del nostro modo di vedere e dei nostri affetti. [54]

Poco importa se il bicchiere è grande o piccolo: ciò che conta è che sia interamente colmo di grazia. L’importante è la pienezza e non la capienza. Vivere in grazia di Dio è gustare già la pienezza dell’amore di Dio, è gustare Dio in questa vita. E l’unica porta per partecipare in verità alla vita stessa di Dio.

Ecco la buona notizia: l’uomo è stato creato per vivere sotto la grazia, e così conoscere e amare Dio. Il suo fine è d’ordine soprannaturale e non d’ordine naturale. Non avere il coraggio di dirglielo sarebbe strappargli la vera e unica ragione della sua esistenza.

Forse è questo che manca terribilmente all’uomo di oggi, proiettato unicamente verso un fine naturale, mentre il suo vero fine è di ordine soprannaturale come Madre Mectilde de Bar ribadisce alle sue figlie nel suo costante insegnamento sul carisma specifico della riparazione. A questo proposito, vale la pena ascoltare le parole rivolte dal santo Padre Benedetto XVI ai parroci e al clero della Diocesi di Roma, il 22 febbraio 2007. Ecco alcuni brani di questo intervento del Papa:

Mi sembra che dobbiamo andare a fondo, arriva­re al Signore stesso che ha offerto la riparazione per il peccato del mondo, e cercare di riparare: di­ciamo, di mettere equilibrio tra il plus del male e il plus del bene. Così, nella bilancia del mondo, non dobbiamo lasciare quésto grande plus al negativo ma dare un peso almeno equivalente al bene. (...) Questo, per quanto posso capire, è il senso del sacrificio eucaristico. Contro questo grande peso del male che esiste nel mondo e che tira giù il mondo, il Signore pone un altro peso più grande, quello dell’amore infinito che entra in que­sto mondo (...) Il plus del male, che esiste sempre se vediamo solo empirica­mente le proporzioni, viene superato dal plus im­menso del bene, della sofferenza del Figlio di Dio. (...) Questo plus del Signore è per noi una chiamata a metterci dalla sua parte, ad entrare in questo grande plus dell’amore e a renderlo presen­te, anche con la nostra debolezza. Sappiamo che anche per noi c’era bisogno di questo plus, perché anche nella nostra vita c’è il male. Tutti viviamo grazie ai plus del Signore. Ma Egli ci fa questo dono perché, come dice la Lettera ai Colossesi, possia­mo associarci a questa sua abbondanza e, diciamo, far aumentare ancora di più questa abbondanza concretamente nel nostro momento storico.[55]

Ritornare a un discorso serio sulla grazia, riscoprire il dono inestimabile fattoci col battesimo, ecco il messaggio che Madre Mectilde de Bar può offrire al nostro mondo dove la grande assente nella nostra vita può proprio essere la Grazia di Dio, questo «plus del bene».(…) «Questo plus del Signore [che] è per noi una chiamata a metterci dalla sua parte, ad entrare in questo grande plus dell’amore», cioé a lasciare che la Grazia di Dio operi veramente nelle nostre anime, affinché possiamo davvero essere portatori di speranza nel mondo intero.

 

 



[1] Annuncio pasquale, testo completo nel Missale dell’assemblea cristiana, festivo.

[2] CATHERINE MECTILDE DE BAR, Il Vero Spirito delle Religiose Adoratrici del SS. Sacramento dell’Altare, Ronco di Ghiffa, 1980, cap. 10, p. 101-102 (n. 1107).

[3] Anselmo d’Aosta, Perché un Dio uomo?, Lettera sull’Incarnazione del Verbo, Collana Fonti medievali 27, Città Nuova, 2007. Roberto Nardin, Il Cur Deus homo di Anselmo d’Aosta, Lateran University Press, Corona Lateranensis 17, 2002. La prima edizione delle opere di Anselmo d’Aosta era stata curata e publicata nel 1675 sotto il titolo Sancti Anselmi opera, Lutetiae Parisiorum da dom Gabriel Gerberon monaco benedettino della Congregazione di S. Mauro all’abbazia di Bec in Normandia. Sappiamo che Madre Mectilde era sin del 1672 in relazione con dom Luc d’Achery, bibliotecario di Saint Germain des Près e aveva una buona conoscenza della lingua latina.

[4] Anselmo d’Aosta, o. c., 2, 18, p. 170. Cf. Roberto Nardin, op. cit., p. 197.

[5] N. 1591 Prepararsi alla Natività di Nostro Signore, in Catherine Mectilde de Bar, L’anno liturgico, ed. Glossa, Milano 1997 (d’ora in poi AL/1), p. 82.

[6] Il Vero Spirito, o. c., cap. 5.

[7] Anselmo d’Aosta, o. c., 1, 11 p. 102. Cf. Roberto Nardin, op. cit., p. 126

[8] N. 1591, in AL/1, pp. 82-83.

[9] N. 1591, in AL/1, p. 82.

[10] N. 2484 Conférence de la surveille de Noël 1693 (CC 18/1).

[11] Anselmo d’Aosta, o. c., 2, 11, p. 152. Cf. Roberto Nardin, op. cit., p. 179-181

[12] Raniero Cantalamessa, Il potere della Croce, Ancora, 1999, p. 20.

[13]  Jean Leclerq, La contemplazione di Cristo nel monachesimo medievale, San Paolo, 1993, pp.152-155.

[14] N. 567, Conférence pour le dimanche de la Septuagésime, (CC 62/1).

[15] Il Vero Spirito, o. c., cap. 10, p. 102 (n. 1107).

[16]  N. 1240, Chapitre de paix le dernier jour de l’année 1672, (CC 32/1). »Un auteur dit que tout chrétien ayant l'usage de raison est obligé sous peine de péché mortel de réciter l'acte qu'il a fait au baptême ; c'est Saint Thomas qui le dit, ce n'est pas moi”. Però, cf. AL/1 page 108 nota 4 sull’incertezza di questa affermazione.

[17] Cf. San Tommaso D’Aquino, Summa Theologiæ, III, 48.

[18] N. 1591, in AL/1, p. 82.

[19] N. 1591, in AL/1, p. 82.

[20] N. 1591, in AL/1, p. 82.

[21] Cf. Bernard Sesboüé, Gesù Cristo l’unico mediatore, Saggio sulla redenzione e la salvezza, vol. 1, San Paolo, Prospettive teologiche, 11, 1990, pp. 291ss.

[22] N. 1591, in AL/1, p. 82.

[23] Cf. Emilio Sauras, Teologia del Corpo mistico, Città nuova editrice, 1964, p. 536ss.

[24] Il Vero Spirito, o. c., cap. 5, p. 59 (n. 1879).

[25] Il Vero Spirito, o. c., cap. 5, p. 59 (n. 1879).

[26] Il Vero Spirito, o. c., cap. 4, p. 53 (n. 1836).

[27] Ibidem.

[28] Ibidem.

[29] Il Vero Spirito, o. c., cap. 1, p. 13 (n. 1530).

[30] Emilio Sauras, o. c., p. 530, 531, 554, 567ss.

[31] San Tommaso D’Aquino, Summa Theologiæ, I-II 114 a.3 ob 1.

[32] Il Vero Spirito, o. c., cap. 4, p. 52 (n. 1836).

[33] Scritto n. 2069, L’anima, tempio di Dio. Cf. Sr. M. Cecilia La Mela osb ap «La riflessione sulla grazia in Madre Mectilde de Bar: dalla teoria alla prassi» in Deus absconditus, anno 95, n. 4, Ottobre-Dicembre 2004, p. 28.

[34] Il Vero Spirito, o. c., cap. 7, p. 82 (n. 610).

[35] Il Vero Spirito, o. c., cap. 3, p. 34 (n. 2029).

[36] Il Vero Spirito, o. c., cap. 3, p. 34 (n. 2029).

[37] N. 1240, Nell’ultimo giorno dell’anno, in AL/1 p. 110.

[38] Cf. Charles  Journet, Riflessioni sulla Grazia, Collana « Sapientia cordis », Ancora, Milano, 1962, p. 127. M. J. Sheeben, Le meraviglie della grazia divina, Società editrice internazionale, Biblioteca di ascetica e mistica, 1943.

[39] N. 1591, in AL/1, p. 81.

[40] Il Vero Spirito, o. c., cap. 4, p. 53 (n. 1476).

[41] Il Vero Spirito, o. c., cap. 16, p. 138 (n. 213).

[42] Il Vero Spirito, o. c., cap. 16, p. 136 (n. 213).

[43] Cf. Vicenzo Faraoni, Il Canto della Grazia, Vita e Pensiero, Milano, 1954..

[44] Il Vero Spirito, o. c., cap. 16, p. 137 (n. 213).

[45] Cf. Roberto Coggi, La grazia, E.S.D, 2002. Cf. anche Giovanni Blandino, La grazia, I sacramenti, ADP, 20072.

[46] Guido Marini, O Trinità che adoro !, Portalupi, 2001, p. 72

[47] N. 1240, in AL/1 p. 110.

[48] Cf. P. M. Corti. S. J. Vivere in Grazia, Editrice Selecta, Milano, 1955.

[49] Il Vero Spirito, o. c., cap. 1, p. 19 (n. 2562).

[50] Il Vero Spirito, o. c., cap. 4, p. 42 (n. 1476).

[51] N. 2573, Nel giorno della festa dell’attesa del parto della Santa Vergine, in AL/1 p. 62.

[52] N. 2128, Per il primo giorno dell’anno, in AL/1 p. 115.

[53] N. 2573, in AL/1 p. 62.

[54] Il Vero Spirito, o. c., cap. 3, pp. 35-36 (n. 2029).

[55] Discorso del papa Benedetto XVI del giovedì 22 febbraio 2007, nell’Aula delle Benedizione, in La Traccia, Tutti i discorsi e i documenti del Pontefice del mese di febbraio2007, anno XXVIII, pp. 205-206.