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Deus absconditus, anno 97, n. 4, Ottobre-Dicembre 2006, pp. 10-13

 

Sr. Maria Cecilia La Mela osb ap*

Teologia femminile in Mectilde de Bar

C’è una “teologia femminile” che trova il suo prototipo in Maria di Nazareth e che, pur palpitante in tantissime donne, ha preso voce ed espressione somma in alcune figure di grande rilievo. Madre Mectilde de Bar è una di queste. In lei la teologia propriamente speculativa si fonde con quell’intuizione tutta femminile che dà alla fede “ragionata”, come potrebbe essere ad esempio quella di Sant’Anselmo, l’irrazionale impennata dell’amore estatico, quasi un portare in grembo l’incomprensibile Mistero svelato e nascosto allo stesso tempo. La teologia cristiana ha il suo centro e fondamento nell’Incarnazione, nel Verbo eterno che si è fatto Carne per scrivere nel cuore degli uomini la parola eterna di Dio. La Vergine Maria è “teologa” in quanto, accogliendo questa Parola nel suo seno, l’ha donata al mondo, custodendola e meditandola nel suo cuore per tutti i suoi giorni.

Questa teologia femminile si caratterizza per l’importanza data all’esperienza personale più intima. In una conferenza sulla carità Madre Mectilde diceva alle sue figlie: «Batto e ribatto su questo punto, perché ne conosco l’importanza. Ho un’esperienza e conosco le cose che voi non vedete» [1]. Questo non implica presunzione, ma zelo materno che fa uscire dal proprio esclusivo rapporto con il Trascendente, per partecipare agli altri le urgenze di fede “rivelate” dalla profonda intimità con il Signore. Madre Mectilde è vera teologa nel senso dato a questa parola dai Padri della Chiesa, i quali affermavano che teologo è colui che sa parlare con Dio, perché soltanto chi ha parlato con Dio è in condizione di parlare di Dio.

Accostandoci ai testi di Madre Mectilde ci rendiamo conto come non può esserci teologia senza una forte esperienza della vita da un lato e, dall’altro, una profonda contemplazione che squarcia il Mistero raggiungendolo per la via del cuore. Per questo la fede in lei non è stata una teoria, un’idea, bensì un principio esistenziale che è diventato anche il fondamento nella sua missione di guida delle anime. In molte sante questa esperienza personale si è trasformata in fonte di vita, di luce e di carità oblativa per gli altri nella condivisione di una strada interiore di avvicinamento a Dio.

Ad esempio santa Caterina da Siena, come Mectilde de Bar, ebbe una forte esperienza mistica del Corpo e del Sangue di Gesù e da essa ne ha tratto un insegnamento: tutto il Corpo di Gesù crocifisso è via che si fa ponte, verità che è scala al Cielo, è un libro di vita!

Lo stesso si può dire di santa Teresa d’Avila che, come poi la Beata Elisabetta della Trinità ed Itala Mela, vive profondamente l’esperienza dell’inabitazione di Dio nell’anima sino a farne il fondamento di tutta la sua sintesi dottrinale. È quello che riscontriamo pure nella nostra Madre Fondatrice:

«La fede ci dice che Dio è presente nelle anime in una maniera particolare e vi è impresso con un marchio incancellabile [ ... ] Sì, tutta l’Augusta Trinità risiede in noi. Se mi chiedete dove dimora: se nella testa, nel cuore o nel petto, vi risponderò che Dio riempie tutte le facoltà dell’anima nostra: è dappertutto ed in ogni sua parte. perché l’anima nostra informa tutto il nostro corpo ed è indivisibile» [2].

Anche santa Gemma Galgani consegna alla Chiesa una sua particolare esperienza mistica del mistero della Redenzione: è la teologia vissuta dell’amore di Gesù Crocifisso Redentore dell’uomo. In queste donne, altresì in Mectilde de Bar, è fortissima la dimensione corporea di Cristo; per loro Dio è tutt’altro che una realtà astratta, Egli è palpabile, concreto, vicinissimo, ne è conferma il fatto che denominatore comune a tutte è la devozione privilegiata all’Eucaristia.

Come non ricordare le appassionate e brucianti manifestazioni affettive di santa Geltrude verso lo Sposo celeste e l’ingenua, delicata ma robusta tenerezza di santa Teresa di Lisieux? Allo stesso modo di Maria Maddalena sono donne concrete, passionali, dolcissime .... ognuna di loro può essere assimilata alla sposa-amante del Cantico dei Cantici .... «mi baci egli con i baci della sua bocca!» (Ct 1,2).

Non abbiamo la conferma certa che Mectilde de Bar abbia avuto rivelazioni o estasi particolari, tuttavia in molte confidenze fatte alle sue monache ella, fedele al valore del nascondimento, parlando in terza persona, racconta casi eccezionali capitati ad altre persone che l’hanno messa a parte dei loro segreti mistici, ma dal contesto e dal messaggio è più che evidente il celarsi della Madre dietro l’anonimato.

Comunque sia, per queste donne l’estasi non è qualcosa di alienante, è una manifestazione concretissima del rapporto d’amore con Dio, è vivere il soprannaturale come qualcosa di straordinario e di normale al tempo stesso.

La rivelazione estatica è un dono particolare, a volte sorprendente, come in Ildegarde, Brigida, Margherita Maria, Faustina, ma anche quando non c’è, come in Chiara d’Assisi, Teresa di Gesù Bambino, Teresa di Calcutta, non diminuisce l’unione sponsale col Signore … l’amore non dipende dall’estasi ma dalla risposta di fede fattiva, quasi sempre caratterizzata dalla sofferenza perché Gesù è “uno Sposo di sangue”.

Santa Caterina parla del Gesù Crocifisso “beato e doloroso” e la persona che lo ama diventa anch’essa in qualche modo “beata e dolorosa”. Nei testi di Madre Mectilde la tribolazione, la prova, è sempre intesa come partecipazione alle sofferenze di Gesù, ma è un dolore trasfigurato dall’Amore, fonte di una continua e indicibile gioia.

Bellissima questa preghiera di Madre Mectilde che ci rivela la sua passionalità erompente pur nel linguaggio apparentemente duro e forse anche prolisso, ma intenso proprio perché totalizzante:

«O eccesso, o bontà, o amore infinito, o carità troppo grande! O mio Salvatore, voi soffrite che i miei peccati vi facciano innumerevoli ferite senza lamentarvi! E dopo aver così ferito la vostra santa umanità, mi dite di entrare nelle sue dolorose e deliziosamente amorose aperture per trovarvi un asilo e il mio luogo di difesa contro la giusta collera del Padre vostro; e come se voi foste insensibile ai vostri dolori, mi dite tanto amorosamente di dimorare nelle vostre sacre piaghe, di nascondermi in quelle divine caverne, di restare là come perduta ... O eccesso, o amore! Ecco il linguaggio che voi tenete all’anima colpevole che dovrebbe annegare nelle lacrime di una sincera contrizione e di un amore che divori cuore e vita! O Gesù, voi siete il Salvatore dei peccatori, voi siete Colui a cui io devo tutto! Fatemi la misericordia di non uscire mai da queste adorabili ferite che i miei peccati e il vostro amore vi hanno fatto! Che la mia anima vi sia immersa così profondamente da non poterne mai uscire, che il vostro prezioso sangue la purifichi, e il vostro amore la consumi in voi per non più apparire fuori di voi. Amen» [3].

La vita e gli scritti di Madre Mectilde, ugualmente a quelli di ogni consacrata misticamente innamorata, non sono altro che un continuo inno alla carità, espressione di un cuore che batte solo per amore di Gesù e, in Lui, per tutta l’umanità bisognosa di salvezza. Ella ci lascia una testimonianza viva del suo cuore verginale, indiviso, pienamente umano, totalmente proiettato verso il divino. È un amore che fa vibrare la sua più profonda sensibilità, la sua ricca personalità, e che coinvolge fortemente la sua femminilità. È la bellezza di un cuore umano, di un cuore di donna completamente realizzato, “dilatato nell’indicibile soavità dell’amore”.

Ecco perché l’Istituto dell’Adorazione Perpetua da lei fondato ci consegna un carisma eucaristico che ci fa amare Cristo al modo di spose e figlie e i nostri fratelli in qualità di madri e sorelle.

Mectilde è una donna che ama: i voti vissuti in qualità di vittima sono offerte ardenti di amore perché solo l’amore, come il roveto sul Sinai, brucia ma non si consuma. Il fuoco è un’immagine cara a queste donne per le quali possiamo parlare anche di teologia simbolica, in quanto il simbolo diviene espressione di sentimenti e percezioni inesprimibili.

«Sì. Gesù Cristo nostro Signore, nel SS. Sacramento, è un fuoco divino che deve infiammare i nostri cuori. O fuoco adorabile, troppo trascurato! Sì, Dio è un fuoco che brucia e infiamma tutti i beati senza consumarli, e in quel divino ardore li unisce e li trasforma in se stesso. O Fuoco divino, perché non bruciate anche noi? State sull’altare e vi date a noi per questo! E i nostri cuori sono ancora di ghiaccio» [4].

Alimentare la fedeltà quotidiana alla propria vocazione è “sciogliersi”, è rendersi incandescenti nel dono totale di sé. È l’Amore che sollecita il dono stesso fino ad ottenere l’impossibile. È la felice conclusione del racconto dell’ultimo incontro di Benedetto e Scolastica:

«E non c’è per niente da meravigliarsi che una donna, desiderosa di trattenersi più a lungo col fratello, in quella occasione abbia avuto più potere di lui perché, secondo la dottrina di Giovanni: “Dio è amore”; fu quindi giustissimo che potesse di più colei cha amava di più! » [5].

 

 

 

 

 

 

 



* Monaca del Monastero “San Benedetto” di Catania.

[1]  CATHERINE MECTILDE DE BAR, Gli obblighi del nostro Istituto, in Capitoli e conferenze. Alatri 1998, p. 160.

[2]  EAD., Capitolo in un venerdì di Avvento 1663, in Capitoli e conferenze, cit., p. 235.

[3]  Cit. da: V. ANDRAL, Catherine Mectilde de Bar. I. Un carisma nella tradizione ecclesiale e monastica, Roma 1988, pp. 132-133.

[4]  C. M. DE BAR, Festa del SS. Sacramento, in Capitoli e Conferenze, cit., p. 403.

[5]  GREGORIO MAGNO, Dialoghi. Libro II, 33 in Vita di San Benedetto e la Regola, Roma 1995, p. 98.