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Deus absconditus, anno 98, n. 4, Ottobre-Dicembre 2007, pp. 41-63

 

 

Sr. Maria Carla Annamaria Valli, osb ap, monaca di Milano

 

Mectilde de Bar e Margherita di Orléans :

accompagnamento spirituale e pedagogia liturgica.

 

La comunicazione che presento[1] è costruita come un percorso a volo d’uccello su alcuni passi della corrispondenza di Mectilde de Bar a Margherita di Lorena, Duchessa d’Orléans, a partire da una lettera che fotografa la loro relazione, colta relativamente agli inizi della stessa; essa toccherà poi un testo fondazionale delle benedettine mectildiane, il Cap. VIII de Le Véritable esprit des Religieuses adoratrices perpétuelles du Très Saint Sacrement de l' Autel, Paris [1684-1690].  In tal modo vorrei raccogliere elementi per  rispondere alla seguente domanda: in che senso possiamo  ritrovare nell’accompagnamento di Mectilde, attestato nel dossier indicato[2], una pedagogia ‘liturgica’ (intendendo con questa espressione la  partecipazione alla liturgia come cammino conoscenza esperienziale del Signore Gesù, che c’insegni a vivere, ci faccia vivere come uomini e come cristiani) ?[3].

 

 

Un flash sull’accompagnamento spirituale offerto

 

Margherita era la quinta e ultima figlia di François de Vaudemont, fratello del duca di Lorena Enrico II, e di Cristina di Salm. Andò sposa al fratello di Luigi XIII, Gastone, diventando la Duchessa di Orléans. Per una decina d’anni, nell’ultima fase della sua vita, travagliata ma anche affascinante, precisamente dal 1660 (circa) al 1672, anno della morte (precisamente il 3 aprile) [4], è una delle interlocutrici più assidue di Madre Mectilde. Era lorenese come la Madre, la quale avrà le gioie e le tribolazioni dell’aggregazione al suo Istituto dell’abbazia di Nancy, appartenente alla zia di Margherita, Caterina di Lorena, personaggio illustre della Riforma cattolica lorenese del tempo (era uscita dalla sua abbazia di Remiremont, mantenendone però il titolo,  per l’impossibilità ad impiantarvi la riforma)[5] .

Qui però, mettendo da parte la pur interessantissima vicenda dell’abbazia di Nancy, mi concentro sulla figura di Margherita. Ricaviamo notizie di lei e della sua situazione esistenziale da una lettera di Mectilde

 

Lettera del 1 febbraio 1661 (LI, 84-86)

       «… E’ da tempo che cerco di osservare come [Nostro Signore] conduce l’anima vostra e vedo che opera senza posa nuovi rovesci nei vostri affari e nelle vostre richieste, benché esse siano giuste. E’ molto difficoltoso vedersi trattare in tal modo senza che la natura non lo risenta e soffra per questo delle agonie, quando si vede abbandonata da coloro che, secondo il ragionamento umano, ci sarebbero i più obbligati. Ma non pensate che tutte le disgrazie siano casuali in Dio: sono le spine della sua corona e dunque piccola porzione delle pene e delle umiliazioni che egli ha sofferto in questo mondo, a cui bisogna che prendiate parte se volete partecipare alla santità e conformità di stato con Gesù Cristo. Il poco che troverete presso gli uomini vi farà ritirare verso Dio […]

         Conosco il costo elevatissimo  [che si paga ] per vivere distaccati, ma coraggio! , non occorre che uno strappo ben dato, voi avete dato il più grande quando avete reso a Dio colui che avevate di più caro» (LI, 84-85) .

 

1)      La situazione esistenziale di Margherita

Margherita a questa data è vedova: una vedova che aveva amato il marito in modo non comune.

 Si era sposata il 3 gennaio del 1632: un matrimonio segreto  — senza consenso di Luigi XIII, fratello dello sposo, Gastone  — che si era invaghito di lei dopo averla conosciuta a Nancy nell’aprile del ’31 mentre era fuoruscito dal Regno per ragioni politiche e a Nancy rimarrà fino a tre giorni dopo il matrimonio, quando rientrerà nel ducato di Metz e farà atto sottomissione al Re. Il matrimonio era stato celebrato nella chiesa dell’abbazia benedettina di Notre-Dame de la Consolation di Nancy,  guidata  — già lo si ricordava — dalla zia di Margherita, Caterina, abbadessa di Remiremont , presso cui la Nostra era stata educata. La sposa rimase a Nancy fino alla fine di agosto di quell’anno quando le fu consigliato di fuggire prima che la guerra, ormai avviata dal re di Francia contro il Ducato, la facesse cadere nelle sue mani. Così ritroverà a Bruxelles il marito che l’aspettava. Ma in seguito le vicende di quel matrimonio diverranno da romanzo. Il 28 settembre 1633, caduta Nancy senza resistenza nelle mani del Re, Carlo IV di Lorena, con il trattato di Charmes, sottoscrive con la resa anche l’annullamento del matrimonio della sorella  — che non era stato ottenuto “per vie legittime e valevoli” — e si impegnava a consegnare al Re la sorella. L’anno seguente, il 5 settembre 1634, il Parlamento di Francia dichiarerà nullo quel matrimonio. Ed ecco che, all’inizio di ottobre 1634, Monsieur Gaston lascia Bruxelles e la sposa. «Margherita era ormai sola. Fece fronte con molta dignità e coraggio per otto anni alla situazione che le era stata creata. Trovò senza dubbio nell’ educazione cristiana  che aveva ricevuto la forza d’animo di cui diede prova. Riuscì a  far rimandare dalla S. Sede la ratifica dell’annullamento del matrimonio emessa dal Parlamento, malgrado la pressione di Richelieu e le proposizioni dell’assemblea del Clero di Francia. Era in una situazione materiale precaria. Come diceva allora a suo fratello Carlo IV,  ella “mendicava il suo pane”, senza aiuto e senza una buona parola di Gastone. Costui viveva in Francia nell’agitazione e nella dissipazione. Ella aveva conservato il suo attaccamento a quest’uomo volubile che, se si rifiutò sempre di sottoscrivere l’annullamento del matrimonio, non fece grande sforzo perché la moglie potesse raggiungerlo. Le lettere che ella gli scrisse ci svelano la sua grande tribolazione:

“Mi lamento della mia disgrazia piuttosto che lamentarmi di voi, perché capite facilmente, come chiunque, che sono la più disgraziata delle mogli … da tanti anni sono nello stato il più gramo che ci sia, non sapendo a chi rivolgermi, a chi indirizzarmi se  non al mio Dio e alle mie lacrime; ciò che mi affligge maggiormente è che questa vita pregiudica il vostro onore … perché infine io vi amo e vi onoro nel profondo del cuore; so che anche voi mi amate molto; certo, ne avete motivo; fatelo dunque vedere… affinché sia presto vicina a voi per vivere come Dio comanda e la mia vita sia di edificazione del mondo” (19 marzo 1638).

 Margherita conduceva una vita esemplare: la sua costanza ebbe in fine ragione delle opposizioni e del disinteresse che l’opprimevano. Aveva cercato invano di piegare Richelieu ; quando questi morì nel 1642 si rivolse a Mazarino. Il 4 aprile 1643 Luigi XIII le permise di venire in Francia. Il 5 maggio le diede il consenso promesso [per il matrimonio] “essendo stato convinto – dichiarò – dalla stima particolarissima concepita per il merito e la pietà singolare della nostra cognata”.

Il 26 maggio 1643 nei pressi di Parigi Margherita incontrò di nuovo Gastone. Luigi XIII era morto il 14 maggio. Margherita apparve per la prima volta in pubblico a quei funerali; nello stesso giorno l’arcivescovo di Parigi , Jean François de Gondy , benedisse una seconda volta le nozze. Andava a vivere ormai nel palazzo del Lussemburgo, quel sontuoso edificio che Caterina aveva assegnato quale legato a Gastone. Cominciò così per lei una vita nuova.

Gastone, alla morte del fratello, divenne Luogotenente generale del regno e nel 1644, ‘45 e ‘46 partecipò alle azioni militari  […]

Al rientro di Luigi XIV a Parigi, si ritirerà nel suo castello di Blois (la contea di Blois era il suo appannaggio). La Duchessa lo raggiunge nel 1653 e vi resta fino alla morte del marito, il 2. 2. 1660. Monsieur che le era molto attaccato sembra che l’ebbe più volte offesa. Ma alla fine ella lo convertì aiutata dalla sua Dama d’onore, Anna Maria de Saujon. Egli prese come suo confessore de Rancé.

Tornata a Parigi dopo la di lui morte e si stabilisce al [palazzo del ] Lussemburgo. 

Gli aveva dato cinque figli; quando Gastone muore ne erano in vita solo due, la primogenita, granduchessa di Toscana[6] e la secondogenita, la duchessa di Guisa[7] » (LI, 11-12).

 

Già «nel 1644 Margherita aveva accolto nel suo palazzo la zia Caterina che, dopo aver vagato per la Germania e la Lorena, era dapprima ritornata a Remiremont e aveva poi finito per lasciare definitivamente il ducato . L’abbadessa visse presso di lei i suoi ultimi anni  [morirà nel 1648] dedicandosi alla preghiera»[8] (LI, 13). Tornata lì, nel palazzo del Lussemburgo, che era sito di fronte al monastero delle rue Cassette, nella sua vedovanza, troverà in Mectilde una nuova guida spirituale. Nulla la interessava più della vita di corte. E lo dimostrava distanziandosi con tutto il suo atteggiamento dai comportamenti più diffusi in quell’ambiente, che la ripagava con irrisione e ostilità. «La sua figliastra, l'altera Mlle de Montpensier [= figlia del primo matrimonio di Gastone con la duchessa di Montpensier – cfr. DH, 107 nota 20]… diceva che  “il modo in cui si vestiva non contribuiva a riparare il danno che le sue tristezze le avevano causato”.

Madame de Motteville, dama di Anna d’Austria che ha lasciato delle Cronache sulla Corte francese di quel tempo[9], ce la descrive timorosa e triste: Margherita « “era bella nei tratti del suo volto… ma non era piacevole e tutta la sua persona mancava di un non so che affascina … Si è sempre detto di lei che era bella senza esserlo: aveva capacità intellettuali e di relazione (esprit) e pareva non averne, perché non ne faceva alcun uso…”. […] Ella soffriva molto per gli intrighi di corte. Nel cuore era rimasta molto lorenese e sosteneva il duca Carlo » (LI, 12)

 

Riprendiamo la lettura della lettera di Mectilde a Margherita:

 

    «… Non vi resta da immolare quasi più nulla se non voi stessa: domani è il giorno in cui Gesù si offre all’eterno  Padre suo, è anche lo stesso giorno in cui ha ricevuto dalla vostra fedeltà la vittima che gli presentavate nella persona del defunto Monsieur.

      Vi supplico: sia anche il giorno in cui voi sacrificate tutto l’essere vostro a Dio; e se egli differisce [il tempo] in cui mettervi nella cara solitudine che desiderate[10], non lo private del riposo che gli potete dare in voi stessa, con la solitudine e il ritiro interiore, in cui potete godere della sua dolce Presenza e cominciare da questa vita un paradiso anticipato. E’ in questo divino commercio che l’anima vostra prenderà nuova vita e riceverà forze per sostenere tutto ciò che la divina provvidenza vi invierà di amaro e penoso. Vi potrei anche assicurare che il vostro corpo vi troverebbe salute e che niente al mondo è migliore per sostenerlo nei suoi dolori della gioia dello spirito e della dilatazione del cuore.

Farò fare domani a tutte le sorelle la s. comunione per le intenzioni che vi sono care. Se fossi degna d’essere esaudita, sentireste ammirabili effetti di grazia!.

        C’è in me un non so che per cui vorrei mettervi nel Cuore di Gesù Cristo. Vi vedo dei vantaggi così grandi per il vostro farvi santa che non posso impedirmi di domandare a Dio che vi attiri fortemente, che vi distolga da voi stessa. Permettetemi di dirvi che guardo alle contraddizioni umane come a colpi di spada e di verghe che la sua mano potente vi dà per staccarvi dalla Corte. Voi appartenete a Gesù Cristo Crocifisso. Le insegne della vostra casa erano una croce doppia: giudicate voi se non dovete essere crocifissa al mondo e che il mondo, come dice san Paolo[11], sia per voi crocifisso. Vi supplico con rispetto di non sperare da esso mai più nulla e di innalzare il vostro cuore nella fede verso Colui che vuole essere Tutto [per voi] in tutte le cose. Accontentatevi di Dio poiché egli sia contento di voi e non turbatevi più per nessuna cosa» (LI, 85).

 

 

2)      Il punto di vista spirituale di Mectilde: l’ottica vittimale sul fondamento dell’hodie liturgico

 

  Abbiamo letto:

            «domani è il giorno in cui Gesù si offre all’eterno Padre suo, è anche lo stesso giorno in cui ha ricevuto dalla vostra fedeltà la vittima che gli presentavate nella persona del defunto Monsieur [† 2.2.1660]. Vi supplico: sia anche il giorno in cui voi sacrificate tutto l’essere vostro a Dio»

 

Perché questo atto di offerta totale, è richiesto da Mectilde a Margherita in quel giorno?

Sicuramente per non fare dell’anniversario di quella perdita un motivo in più per abbattersi: la Madre vuole insegnare a Margherita un modo per cambiare di segno al solco che quella perdita ha scavato nel suo cuore. Infatti , che cosa coglie Mectilde in quell’offrirsi vittima? Che cosa addita alla sua corrispondente?

In Mectilde non c’è nessun vittimismo: piuttosto quel linguaggio esprime il dinamismo che porta a compimento l’esistenza cristiana. La vita di Monsieur, nella morte, è accolta da Dio Padre in virtù della mediazione assoluta di Cristo Gesù, che riporta ogni vita al Padre: ogni vita che lo voglia, che ratifichi l’itinerario iscritto nella vita umana come tale  – uscire da Dio e a lui tornare —  come già accettato ed anticipato nel battesimo[12].  Certo, il credente che consapevolmente ratifichi il suo battesimo affidandosi a Dio non sa in concreto che cosa vorrà dire quell’immersione nella pasqua di Cristo, perché la volontà di Dio su di lui gli si svelerà strada facendo entro la decisione irrevocabile che ha formulato per /con/ in Cristo Gesù. Ma è sicuro che con Lui arriverà al Padre. In quest’ottica Margherita, sposando Monsieur, aveva irrevocabilmente scelto di,  e si impegnava a, «rispettare i disegni di Dio sulla sua anima e sul suo corpo, offrirlo come vittima a nostro Signore perché egli era parte di lei per il sacramento che li ha uniti. Si obbligava a riferire a Dio tutto il diritto che aveva su di lui col desiderio di vederlo interamente di Gesù Cristo» (Mectilde alla Contessa di Châteauvieux  )[13]. Il periodo del lutto è il tempo in cui le è chiesto di riconfermare a Dio che «la creatura»  — incluso se stessi e il proprio dolore, che accascia e vorrebbe bloccare lo slancio verso di Lui — «non deve mai prevalere, perché si serve la creatura»  — anche se stessi — «solo per onorare Dio ed obbedirgli» (ib.)

 

Ad un secondo livello, però, è da notare che la Madre chieda alla Duchessa quest’ offerta di sé   rimarcando che Margherita ha la sorte di poterla vivere in un momento speciale: la lettera , cala critica interna, risulta scritta la vigilia di un giorno liturgico particolarmente adatto. Se Madame farà la sua offerta come suggerito il giorno dopo, quell’atto entrerà nella celebrazione di un mistero di Cristo. Sempre la celebrazione liturgica — in quanto è il tempo riscattato dalla sua vacuità perché aperto sull’eterno, a motivo della presenza misterica del sacrificio Cristo nella messa —, ha valenza di kairos.  Ma, nel punto di vista spirituale della Madre, massimamente questa trasmutazione del tempo ‘nostro’ nel tempo salvifico è palese nella celebrazione liturgica della Presentazione di Gesù al tempio. Bisognerebbe rileggere qui i suoi sermoni per questo giorno[14] . Quello è il giorno in cui, secondo Mectilde, Gesù celebra la sua prima messa; e fa questo nel senso che, offrendosi al Padre, offre con sé i cristiani (cfr AL testo 36; AL/2 testo 8). Sovrapponendo la contemplazione del mistero della Croce al mistero di Gesù presentato al tempio, la Madre coglie le dimensioni assolute  del mistero personale del Signore; e insegna a non perder mai di vista il nostro poter contemplare — come del resto ha imparato lei stessa a fare dalle espressioni del Canone romano — il mistero personale di Gesù in quanto «ostia santa», oltre che «ostia pura» in virtù della sua natura di Figlio di Dio dall’Incarnazione, e «ostia immacolata»,  perché sul Calvario, innocente fattosi peccato, riconcilia al Padre il mondo immerso nei peccati (cfr. AL testo 36).

Margherita, offrendosi  a Dio nel giorno della Presentazione di Gesù, può e deve trovare nel mistero liturgico del giorno la certezza che quella sua offerta è un passo che la introduce iN una «vita nuova», nella «vita nuova» secondo Dio, poiché Lui non l’abbandona nella situazione di mortificazione a più livelli che sperimenta. E ciò per l’atto originante l’efficacia dell’anno liturgico: il mistero celebrato della pasqua di  Cristo. La «nuova vita» della comunione con Cristo diventa l’orizzonte e la sostanza della sua esistenza cristiana se nella fede Margherita assume quella sua stessa esistenza  ponendo se stessa e tutto ciò che la riguarda nelle mani di Dio.

In questa comunione con Cristo, che cosa spetta a Margherita e , mutatis mutandis, che cosa spetta a noi? Di che cosa siamo responsabili? In che cosa è impegnata la nostra libertà? Permettere a Cristo di venire in noi e sacrificarci con sé al Padre: per questo c’è  la comunione eucaristica. Da ricordare: per Mectilde il sacrificio di Cristo non è la morte in croce soltanto, ma tutto il Suo mistero, dall’incarnazione all’ ascensione al cielo (cf. AL/2 n° 6: nel seno del Padre, dopo la risurrezione, il sacrificio di Cristo è «consumato»)

 

In questa situazione  di comunione con Cristo — donata e, nello stesso tempo, affidata alla nostra libertà —, che spazio ha la sofferenza? È di diritto o è un incidente di percorso? Sicuramente non è di diritto, non è un valore per sé; è piuttosto un incidente inevitabile, data la condizione umana segnata dal limite e dal peccato. Anche su di essa il mistero della Presentazione al tempio di Gesù proietta considerazioni corrette che aiutano a recuperare il giusto peso esistenziale della fede nell’esperienza del dolore. In quel mistero infatti siamo di fronte a Cristo che è offerto ed è un bimbo; e a Cristo riconosciuto come luce .

Cristo è bimbo: è come dire che, posti noi nella comunione con Cristo, l’accesso al Padre è conoscenza della sua misericordia. Il credente in Dio, per/con/in Cristo non conosce più il terrore che hanno conosciuto i suoi padri, posti di fronte alla rivelazione di Dio sul Sinai fumante, là dove si poteva essere messi a morte per la propria impurità (cfr. AL/2 testo 5);

Cristo è luce: camminando dietro di Lui non dovrebbe mai essere possibile lo smarrirsi, qualunque bufera interna o esterna ci avvolga (cfr. AL testo 36; AL/2 testo7).

Davvero è riservata per noi, posti in Cristo per grazia, solo un’esperienza di misericordia e di cammino nella sicurezza? Sì, se siamo avvezzi ad ascoltare la sua Parola nel raccoglimento (parola che è la Scrittura, ma è anche lo stesso verbo che ci raggiunge con «l’impressione» interiore: essa si riconosce dal fatto che ci provoca ad incarnare tutte le virtù passive di cui Lui ha dato esempio perché in Cristo noi siamo (cfr. AL/2 testo 5). Da qui la pace inalienabile anche per chi vivesse una esperienza di conoscenza di Dio dal sapore tremendo e dalla fenomenologia angosciante come Anna de Béthune, l’abbadessa di Beaumont-les-Tours amica di Madre Mectilde (cfr. AL/2 testo 8).

 

 

3) Inclusione obbligatoria nel punto di vista: il «divino commercio» nell’anima

         

Nella stessa esortazione della Madre a Margherita (vedi sopra il testo della lettera del 1.02.1661), troviamo — in parallelo all’invito al «sacrificio di tutto se stessi a Dio» — quello a  « non privare [Dio] del riposo che gli si può dare in se stessi , con la solitudine e il ritiro interiore, in cui si può godere della sua dolce Presenza e cominciare da questa vita un paradiso anticipato». Fare questo equivale a entrare in «divino commercio» con Dio. È chiaro il passaggio se  teniamo presente i capisaldi del piano divino di salvezza così come esso è presente agli occhi dello spirito della Madre: l’Incarnazione, il Sacramento eucaristico, la Sua dimora nell’anima del singolo credente. La visione mectildiana della storia della salvezza infatti comprende questi tre «luoghi» dell’«annientamento» di Cristo:

 

        « Oggi il vangelo ci parla di un dono. “Oh, se tu conoscessi il dono di Dio!” (Gv 4, 10), dice Gesù alla samaritana. Sorelle mie, dite sovente a voi stesse:  “Anima mia, se conoscessi il dono di Dio!” Dono dei doni, dono ineffabile, che è Gesù Cristo stesso e che ci viene donato in tre modi! 1° - nell’Incarnazione del Verbo nel seno della Vergine, 2° - nel nostro augusto Sacramento, 3° - nell’intimo dell’anima nostra, in cui questo dono è infinito, reale e operante (en activité), benché noto a pochissimi» (Conferenza per il venerdì della terza settimana di quaresima sul vangelo della samaritana, n° 2114 : AL, 178).

 

La dottrina di Mectilde non è sufficientemente compresa quando il suo discorso non è colto fino a includere e a mettere a fuoco l’affermazione della vita di Cristo in noi. Questa meta, che è per la vita dell’uomo su questa terra, è ciò che rende l’esperienza cristiana affascinante, anche se la gratificazione  che offre è, certo, quella della grazia a caro prezzo del vangelo. « Egli non ci può ricevere che in quanto ci trasforma», spiegava Divo Barsotti[15]. Il  « distogliersi da sé stessi» per «entrare nel Cuore di Cristo» accade  entro l’ «essere crocifissi al mondo e [ritenere] il mondo per sé crocifisso». Per Margherita, in concreto, si trattava — a giudizio di Mectilde —  di allontanarsi dalla Corte, non per demonizzazione di quell’ambiente ma perché esso era causa di turbamento invincibile per la Duchessa. Ciò era segno che — per lei — piuttosto che dare testimonianza di vita evangelica in un ambiente spesso lontano dai criteri della morale cristiana si trattava di lasciar emergere e valorizzare  l’«attrazione» di Cristo che percepiva come richiesta di Lui a porre la Duchessa entro il Suo cuore. Cristo vuole abitare e trovare riposo in Margherita: non la costringe ma la attrae; a lei tocca di volere liberamente rispondere, consegnandosi e scegliendo Lui a preferenza di altro/altri (=se stessa) (cfr. sopra il testo della lettera) Il tutto così si può decidere ed attuare, si vive, al di fuori di ogni volontarismo.

                                

 

II.                L'intuizione pedagogica di Mectilde per Margherita : il mistero del cuore di Cristo luogo di riposo

 

Si potrebbe studiare la corrispondenza di Mectilde a Margherita rilevando in essa tutti i passi ove la Madre le scrive menzionando il cuore di Dio e di Cristo.

Possiamo forse riconoscere una predisposizione  remota,  all’emergere preponderante di questo nei rapporti con la Duchessa, a motivo del temperamento di questa. Margherita — l’abbiamo lasciato intuire — era una donna dall’affetto ardente e Mectilde, accompagnandola, valorizza questa sua caratteristica di temperamento: «Amate, Madame, amate. È la cosa più dolce e la più facile e anche la più conforme alla Sua grazia in voi» (LI, 19); «…il vostro cuore  non vuole che il puro amore» (LI, 25); «E' ora di rendere efficaci i disegni di Dio su di voi. Vi vuole tutta sua, ma nell'amore e per la via dell'amore, e non con tristezza e timore, che è la rovina del puro amore e che lo scaccia da un cuore se gli si dà l'ingresso» (LI, 52). Ma non possiamo ridurre il tema  del cuore di Dio/di Cristo a una risposta  all’invocazione e, nello stesso tempo, alla sublimazione dell’amore umano che in Margherita non aveva trovato adeguato soddisfacimento.

Quando Madre Mectilde le scrive sul Cuore di Cristo, le addita degli esercizi e, prima ancora, degli atteggiamenti interiori da coltivare per fare esperienza  di Lui nella scia del suo punto di vista cristocentrico-vittimale. Gli uni e gli altri hanno valore obiettivo e universale.

 

A) Comunione con Cristo Vittima: comunione che «gusta Gesù Cristo» 

 

Innanzitutto va menzionata l’orazione quotidiana di «esposizione di sé [a Cristo]» per la durata di un quarto d’ora come prolungamento della partecipazione fruttuosa al mistero liturgico.

La liturgia della Chiesa si apre sul mistero personale di Cristo. Il senso della ripresentazione  a noi del sacrificio della croce nella messa, solennemente ribadito dal Concilio di Trento, vale anche come  ripresentazione di noi al sacrificio della croce[16]. Mectilde a modo suo lo insegnava o lo ribadiva alla Duchessa quando le scriveva “sul vangelo del buon Pastore” (cfr. LI, 35):

 

     «... un così buon Pastore … dà la vita per le sue pecore, nel cui numero c'è l'anima vostra.  ... Gettate gli occhi sul Cuore adorabile di questo divin Pastore: lo vedrete tutto sgorgante d'amore per voi, tutto applicato a voi e tutto immolato al Padre suo per voi. Ascoltate la sua voce nell'intimo del vostro cuore; interiormente egli vi dice che è la via, la verità e la vita. Non abbiamo bisogno che di questo

...O quanto saremo felici di camminare in Gesù e di credere Gesù in tutti i suoi sacri misteri e le sue divine parole, e vivere di Gesù. Gustate questa felicità; lo potete e lo dovete come una pecora fedele del gregge del nostro buon Pastore.

...Nutritevi di Gesù Cristo; e per amor suo non mi rifiutate un quarto d'ora che vi chiedo, per esporvi alla sua santa presenza, ogni giorno, al fine di ricevere le impressioni della sua grazia e entrare in una disposizione di fede , di amore e di rispetto circa la seguente infallibile e potente verità che racchiude tutto: Dio è, e questo basta a un'anima cristiana.

      Se voi volete assoggettarvi a questa piccola pratica tutti i giorni, mi prenderò la libertà di scrivervi come dovrete comportarvi in essa. Sono sicura che la vostra anima ne riceverà grandi benedizioni, e che se continuate, potrete senza fatica fare più ore di orazione. Accordatemi questa grazia e che la vostra umiltà sopporti che qualche volta gliene chieda conto, per vedere se Nostro Signore fa impressione sul vostro intimo. Se voi entrate in essa come si deve, vi prenderete gioco del mondo e di tutto ciò che racchiude in sé. Perdonate il mio zelo; direi volentieri che siete di più nel mio cuore che io in me stessa, ma è per consegnarvi senza posa a Gesù e alla sua santa Madre».

 

Il cuore di Cristo è rivelatore del Suo essere Via al Padre, Verità che non delude, Vita da gustare, in quanto è la realtà/simbolo della finalità e della modalità del Suo essere mediatore assoluto di salvezza, cioè  — scrive la Madre a Margherita — «tutto applicato a voi e tutto immolato al Padre suo per voi».  

La risposta della fede, per non restare meramente cerebrale o esaurirsi in un sentimento passeggero, ha bisogno di prendere corpo nel tempo, toccando l’animo della persona credente e segnandolo:

« … entrate in una disposizione[17] di fede, di amore e di rispetto circa la seguente infallibile e potente verità che racchiude tutto: Dio è». Da qui il suggerimento vibrante di una modalità di preghiera silenziosa personale (=«orazione») che permetta di « nutrirsi, vivere e gustare Gesù Cristo». Non solo nutrirsi nell’atto sacramentale, ma  «vivere e gustare» Lui. Fuori di metafora, questo «vivere e gustare» vuol dire accedere alla comunione eucaristica riconoscendo che Colui a cui si comunica è il Cristo Signore, e cogliere nella sua signoria le ricchezze salvifiche  del suo essere il Verbo incarnato,  e per ciò stesso «annientato», nell’Incarnazione, nell’ Eucaristia e nell’anima del credente. Un quarto d’ora al giorno dedicato a far emergere questa consapevolezza di fede cambia il gusto della vita, perché — sulla base di un’esperienza di affidamento fondato e ragionevole  come quella vissuta nella celebrazione (= là dove la fede mostra le sue  ragioni nel mistero della pasqua di Cristo celebrata) — la persona in maniera affettiva « si espone» a Dio, cioè Gli si consegna, raccogliendo tutta se stessa e la sua propria situazione davanti a lui senza analisi (per esse altro è il tempo: quello della meditazione, della lettura[18]). Così la persona si dispone ad avanzare liberamente nella sequela del Signore, raccogliendo come indicazione pratica ciò che le suggerisce lo Spirito (potendo riconoscere la sua voce dal fatto che lo Spirito che sempre parla di Gesù).

In altra occasione, Mectilde spiegò a Margherita in dettaglio a che cosa pensasse chiedendole questo esercizio di preghiera:

 

       «…nell’ora del giorno la più libera e comoda, occorre che voi vi chiudiate in un luogo appartato, in ginocchio o seduta se non potete altrimenti , con un atto di fede semplice, dove credere Dio [Trinità] presente nell’intimo dell’anima vostra, crederlo senza distinzioni, in tutti i suoi attributi e perfezioni divine. Si può dire: “ Mio Dio, voi siete, io credo che voi siete; e mi credo un puro nulla alla vostra santa Presenza”.

     Dopo queste parole o altre che lo Spirito santo inspira, bisogna restare in silenzio in un rispetto profondo verso questa grandezza infinita, inabissandosi profondamente, lasciando ogni operazione, ragionamento e considerazione, per lasciarsi inabissare in questo Tutto adorabile. Bisogna tenere prigionieri durante questo quarto d’ora gli atti della mente per non percepire che i tocchi delicati dello Spirito santo nell’intimo del cuore»(LI, 64)[19].

 

Possiamo commentare la formula sopra proposta dalla Madre, come esempio di leit-motiv per esprimere la fede in questo tempo di orazione — “ Mio Dio, voi siete, io credo che voi siete; e mi credo un puro nulla alla vostra santa Presenza”—, con un principio che la teologia mistica insegna: «La polarità cristiana tra Gesù il redentore e me, il peccatore, corrisponde alla metafisica eckhartiana di Dio fonte dell’essere e dell’uomo che lo riceve in “libero distacco”; questa tensione coltiva l’apertura, in modo che non degeneri nel voler dimostrare le proprie capacità. Ma ciò significa coltivare una situazione fondamentale che si può chiamare, appoggiandosi ad E. H. Erikson, “fiducia originaria”, “fede originaria” e “sicurezza originaria”»[20].

 

 

B) Comunione, «restituzione» e le «dolcezze del cuore di Cristo»

 

Se dev’essere vivace la fede/affidamento di fronte al mistero di Cristo Signore e Salvatore — ed è sufficiente a ricordarcelo la considerazione del Suo cuore—, dev’esser altrettanto vivace l’amore. La prospettiva vittimale ci ha instradato a non ridurlo ad un mero sentire, ma ad un modo di essere che informa lo sguardo e quindi il comprendere  e l’agire di tutta la nostra vita, passato/presente/ futuro. C’è una categoria che spesso ritorna sulle labbra della Madre per esprimere tutto questo: quella di «restituzione». Essa è l’atto proprio dell’amore che riconosce la sua origine e sa dov’è — meglio, Chi è — il suo compimento. Leggiamo ora un suo commento ai misteri liturgici del triduo pasquale, precisamente, sul giovedì santo, ove, per far notare alla corrispondente l’importanza esistenziale di quella celebrazione, la Madre accenna appunto a tale «restituzione». Essa dà contenuto e forma all’assenso dell’uomo di fronte al dono di comunione sostanziale con il Signore nella  comunione eucaristica. L’amore che porta in sé l’ardore della «restituzione» è un amore di desiderio che scopre di essere preceduto dal desiderio di Cristo per l’uomo, per ogni uomo, per sé, e quindi trova nella vita di Cristo sia l’esemplare su cui vuole conformarsi  che il fondamento per grazia che rende possibile questa imitazione.

 

      «Non posso, Madame, far passare questi Santi Giorni senza augurarvi la pienezza delle grazie racchiuse nei nostri preziosi Misteri. Quello che celebriamo oggi è l’effusione dell’amore di Gesù; non lo si può meditare senza uno stupore divino. Il profeta contemplando le opere di Dio rimaneva completamente fuori di sé [= “Consideravi opera tua et expavi”[21]- Cfr. Gb 37, 1 e14?], non potendo comprendere gli abbassamenti della sua alta e suprema Maestà quando [il Verbo] si è fatto uomo.

            Trovo che la divina Eucaristia è un motivo di un  rapimento ancora più grande, poiché noi adoriamo un Dio così attratto dall’amore per la sua creatura meschina da inventare un modo di stare con lei fino al termine dei secoli, e di operare tutti i giorni, in lei, gli effetti, dei suoi ineffabili Misteri.

            Spesso ci fanno prediche sulle meraviglie di questo sacramento d’amore, ma tutto ciò che la scienza ne può dire è al di sotto di quello che la fede ne fa comprendere. Dopo che un Dio si è annientato sotto le specie [eucaristiche] per entrare nei nostri cuori, non c’è più mezzo di diffidare della sua bontà. Non bisogna più sopportare in noi disposizione diversa da quella dell’amore; è di fede certa che Colui che dà il più non rifiuta il meno. Dico che i doni di Dio e i  suoi favori, e la beatitudine stessa, essendo meno di Dio, egli non ce li rifiuterà, poiché dona se stesso con tanto amore e tenerezza che non so come l’anima possa contenerlo senza morire. Vostra Altezza Reale è più adatta a riceverne la grazia che io di parlarne.

        Gustate, Madame, le dolcezze del cuore di Gesù nella santa Comunione, appagatevi dei desideri che esprime con le seguenti parole: «Desiderio desideravi» [Lc 22, 15]. Egli non chiede che di essere ricevuto, non privatelo delle sue compiacenze, poiché egli pone  le sue delizie nel conversare con i figli degli uomini [Prov 8, 31]; e come egli entra in voi attraverso questa divina manducazione, entrate in lui con una profonda dimissione di tutta voi stessa e una intera restituzione  al suo amore. E’ l’effetto della Pasqua , che è il passaggio di Gesù , affinché Gesù sia vivo in voi e che l’anima vostra sia tutta inabissata in lui. E’, Madame, il bene supremo che vi auguro e che il tempo [liturgico] mi suggerisce di [formulare] scrivendo. So bene che vostra Altezza Reale non ha bisogno di essere eccitata, il suo cuore ha troppo amore per Gesù, ma è per sollevarvi un po’, Madame, ed assicurarvi che mi ricordo di far pregare Dio per tutto  quello che vi riguarda e che mi dimenticherei piuttosto dei miei interessi che dei vostri.

        Mi è stato detto che ci onorerete della vostra presenza: è per colmare la nostra festa di benedizione. Domando umilmente parte alle vostre sante preghiere» (LI, 82-83).

 

                    Cristo  è una Vita da gustare perché nella sua presenza sacramentale é il mistero di Dio che avvolge l’uomo: Dio «sta con la sua creatura meschina fino al termine dei secoli, e opera tutti i giorni, in lei, gli effetti dei suoi ineffabili Misteri». Se, com’è vero,  Margherita d’Orléans ha bisogno di uscire dal timore e vivere di amore, il prendere coscienza e il vedersi raggiunta, sostanzialmente, nel sacramento, dal desiderio di Gesù — che vuole proprio lei, la Duchessa, per sé —, è l’esercizio massimo per spingere la fede fino all’abbandono a tanto desiderio divino d’amore. L’attitudine concreta di dimissione dal proprio timore paralizzante, che informava di sé l’intera personalità,  è quella della «restituzione», ovvero «un ritorno verso Gesù dal più intimo del mio cuore, con un sincerissimo desiderio di restituirmi consegnandomi interamente a lui, di restituirgli i diritti sulla mia anima, che io ho usurpato» (cfr. LA, 135-136)[22].

 

Il tema del Cuore desiderante di Cristo non si può però spiegare come scelto dalla Madre a motivo dei bisogni della corrispondente: è infatti un caposaldo della sua dottrina spirituale se lo intendiamo per quello che esso davvero è: non evocazione di una devozione a Cristo appuntata su un aspetto del suo mistero personale, ma modo di esprimere tutto il suo mistero personale a noi comunicato, e quindi alla totalità del suo mistero personale verso cui noi siamo chiamati a giocare la nostra libera responsabilità. Qualche cenno sul Cap. VIII de Le Véritable esprit ne renderà ragione.

 

 

C) Excursus: per una comprensione del cuore di Cristo in Mectilde

 

      

Mectilde aveva imparato alla scuola del padre Chrysostome la devozione all’anima di Gesù, che non era altro che una modulazione della devozione berulliana all’ intérieur del Verbo incarnato.  Il padre del Terz’ordine regolare francescano l’ aveva spronata in quella direzione fin dal 1643:

 

«Se potrete entrare in quel cielo interiore, vedrete meraviglie di amore»[23].

 

Docile all’insegnamento,  Mectilde vi era di fatto «entrata», se scriverà a madre Benoîte de la Passion il 15 settembre 1659:

 

 «Vi chiedo per grazia una novena all'anima santa di Gesù e al suo adorabilissimo cuore, per onorare tutti i dolori interiori e segreti che sono ancora sconosciuti, dai quali egli è stato così rattristato e crudelmente ferito nella sua dolorosa passione e continua a esserlo nel Santissimo Sacramento dell'altare, benché non sia più passibile né mortale. Vi supplico di farmi questa ele­mosina, onde onorarli per me e per avere io la parte che il suo amore e la sua misericordia mi vogliono dare, benché ne sia infinitamente indegna» (lettera n° 969)[24].

 

      A quell’epoca, la fondazione di Mectilde è ben avviata e dalla primavera è aperto il primo vero e proprio monastero di rue Cassette: ciò non acquieta ma acuisce piuttosto nella Madre il desiderio di autenticità. Non a  caso legge la sua vocazione vittimale nell’orizzonte di ciò che avviene nell’anima e nel cuore di Cristo (sappiamo infatti che «onorare» significa prende parte prendendo la forma dell’esemplare divino, e così darGli gloria).

La vocazione vittimale di Mectilde  — è vero — è unica: fin dagli inizi i biografi si interrogheranno se non sia proprio lei quella «vittima totalmente perduta» che il Signore le chiederà il giorno di Tutti i santi del 1661 e che invano cercherà di individuare tra le «figlie»[25]. Nelle espressioni in cui narra la richiesta di nostro Signore, ella ne schizzerà l’identità in termini paradossali, ma non contradditori con quanto noi sappiamo che ella esistenzialmente conosceva della partecipazione alla passione del Signore, e che datavano ben a ritroso nel tempo. In questo senso possiamo ricondurre anche la richiesta contenuta in questa lettera a madre Benoît come percezione di un necessario salto di qualità nel suo cammino di partecipazione alla vita del Signore annientatosi nella passione. Da notare che  — dal suo punto di vista — richiedere di «aver parte alla  Sua dolorosa passione» è richiesta di un dono; non solo dal punto di vista formale ma anche contenutistico: la Madre chiede , infatti, che la sua anima e il suo cuore rivestano — per quanto possibile — la forma dell’anima e del cuore di Cristo. Sa che con ciò stesso chiede la sofferenza. Ma non può parlarne se non esaltando l’amore e la misericordia del Signore perché ciò entra nella sua vocazione di conoscenza di Lui.

 

Il cuore di Cristo, in particolare, è ricettacolo dei dolori di lui in quanto si tratta dei dolori morali inflittigli dalla disconoscenza del Suo piano di salvezza e del rifiuto della Sua venuta. Spiegherà alle monache la Madre nel settembre 1662[26] :

 

      «… Ascoltiamo le rimostranze e le lamentele che [Gesù] una volta espresse a una delle sue spose che desiderava partecipare ai dolori interiori del suo amabilissimo cuore, durante l’agonia della croce[27]. «Figlia mia, le disse, devi sapere che la sofferenza interiore più tremenda  è stata la scissione delle membra del mio corpo mistico (cioè dei cristiani) dal mio cuore. Questa sofferenza l’ho avvertita a tal punto che, senza un miracolo della mia onnipotenza, non l’avrei potuta sopportare senza morire. Vedevo le anime che si erano svincolate da me e quelle che ancora,  fino alla fine del mondo[28], si sarebbero svincolate, e il mio cuore, ferito da un amore infinito per ciascuna di loro, necessariamente pativa la morte a causa della violenta e spaventosa sofferenza che provava a questo strappo». Poi aggiunse: «Immagina, figlia mia, di vedere un condannato a morte squartato da quattro cavalli: è lacerato e le sue membra divelte. Questo  è appena un’ombra  rispetto alla mia pena! Infatti chi sia così squartato, per quanti tormenti soffra, resta ancora infinitamente distante dal martirio e dall’eccesso di angoscia che io sopportai nella scissione delle membra da me. Niente può riuscire ad  esprimerla, perché l’amore, come la tenerezza che nutro per i miei eletti, è infinito»[29].

 

E, sempre alle sue “figlie”, per preparale al Natale, Mectilde spiegherà, in un certo anno non meglio identificato:

 

«… non pensate che i dolori del Figlio di Dio si limitino a quanto può vedersi all'esterno. La sua san­ta anima, benché racchiusa in un corpo tanto piccolo, intravedeva tutte le sofferenze che l'avrebbero colpito nel corso degli anni. Egli era già in uno stato di crocifissione: ha sempre avu­to davanti agli occhi la sua passione e, fin dal primo istante della sua vita, la sua anima santissima desiderava con santa im­pazienza soffrire e compiere la redenzione degli uomini. Ecco quelle che vengono chiamate sofferenze interiori di Gesù Cristo.

     Chi tra voi, sorelle, vuole imitarlo e vivere una vita croci­fissa, abietta, sconosciuta, disprezzata, nelle povertà e umiliazioni, in quest'amore insaziabile di sofferenze? Questi senti­menti non sono della nostra natura e, da noi stesse, non sa­premmo averli. Ecco perché nostro Signore viene in noi con la santa comunione per comunicarceli. E come se si incarnasse, per così dire, di nuovo, in tutti coloro che lo ricevono, perché lo custodiamo e lo manifestiamo con le nostre buone opere ed esprimiamo le sue virtù nella nostra vita» (n°1591: AL, 85-86).

 

Madre Mectilde aveva chiaro che non si conosce sul serio il Signore Gesù se non si accetta il mistero della Sua persona con una sequela che faccia vivere il Suo cammino di croce e di risurrezione come qualcosa che coinvolge il nostro. Per questo non teme di esaltare senza mezzi termini il comando di Gesù sul rinnegamento nella sequela, ad es. scrivendo alla Contessa di Châteauvieux:

 

«.. dobbiamo essere Gesù Cristo in tutte le cose. Per questo dobbiamo fare quello che egli ci dice nel Vangelo: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" [Mt  16, 24]» (LA, 137). 

 

Ma ancora più di tale comandamento, Mectilde ha compreso che non si tratta di scegliere delle sofferenze esterne, una vita rude, un’ascesi rigida per se stesse: ha lucidamente colto che il senso del rinnegamento evangelico è quello di «entrare in rapporto» con Gesù[30]. Entrare in rapporto, coltivare un rapporto non esterno ma di comunione, nel senso del comunicare all’

 

«anima santa del Figlio di Dio e a tutte le operazioni del Verbo in essa e ai moti adorabili di ritorno [dell’anima] verso di Lui […] quest’anima santa [di Gesù] … sia l’anima della nostra anima e … ci tragga nei suoi sacri annientamenti: è lo stato che essa ha sempre portato sotto le operazioni del Verbo» (Lettera a Madre Benoîte de la Passion, n° 1121)[31].

 

Nel  tema sintetico del cuore di Cristo dobbiamo cogliere, allo stesso tempo, un semplificare ed un ribadire che non c’è sequela e conoscenza esistenziale del Signore che non colga questa Sua volontà di auto-comunicazione e di dono a noi e che gli risponda con la stessa (per quanto possibile alla creatura) disponibilità e totalità.

Forse per la sopravvenuta familiarità ideale con  Jean Eudes[32], la Madre concentrò nella tematica del cuore quella più ampia dell’intérieur di Cristo. O forse anche per non concentrare eccessivamente le sue”figlie” su un quadro doloristico dell’esperienza cristiana. Se è vero che la Madre descrive le tenebre e le angosce che si possono conoscere nel servizio del Signore, è vero anche che ricorre nel suo dire/scrivere il simbolo della luce e del sole[33].

 

 D’altra parte già nelle righe di Bernières — che negli appunti personali che aveva lasciato accennava alle sue esperienze interiori, effetti della comunione eucaristica— . Mectilde poteva aver ritrovato il tema del desiderio di auto-comunicazione di Gesù; e il tema del desiderio si collega spontaneamente al simbolo del cuore:

 

      «Dio mi fece vedere il desiderio infinito che ha di comunicarsi in questo ineffabile mistero e di elevarci alla piena partecipazione della sua divinità.

Questa intuizione (vue), ben considerata, scopre numerosissime meraviglie dell’amore di Dio per gli uomini: la felicità a cui sono chiamati da questa vita mortale; la dignità della loro creazione, dal momento che non sono fatti che per possedere Dio; la passione infinita che egli ha di unirsi ad essi; e la perfetta corrispondenza cui sono obbligati»[34].

 

Sono righe queste cui si ripensa quando si legge ne Le Véritable ésprit Cap. VIII:

     « [Gesù] vuole essere annientato in ogni anima in particolare:desiderio desideravi.

 Vuole essere da noi mangiato, al fine di impiantare la sua vita divina in noi; cosicché, entrando noi in lui e lui in noi, in virtù della sacra manducazione della sua carne adorabile, si faccia una cosa sola di lui e di noi; e affinché attraverso questo mezzo egli ci comunichi tutto ciò che gli appartiene in quanto Dio, fino ad elevarci alla partecipazione della natura divina: divinae consortes naturae [II Petr. 1, 4]».

 

Si comprende allora perché, nell’antologia del Véritable esprit , sia stato valorizzata in sommo grado, collocandola in una posizione centrale di tutta l’opera[35], un’esortazione scritta della Madre che era stata tramandata[36] e terminava in maniera alata ed ardente invocando il cuore di Cristo:

 

      « Gettiamoci a corpo morto ai suoi santi piedi e diciamogli con una corrispondenza d’amore, che sia il più fervente possibile:

“O cuore divino! O cuore amabile! O cuore, la cui eccellenza e la cui bontà sono indicibili! I tuoi desideri siano soddisfatti in me: attirami completamente a te per appagare i tuoi desideri; nutriti a modo tuo cosicché io sia sostenuta di te e i tuoi desideri trovino il loro intero e completo appagamento. Comunica all’anima mia una piccola scintilla dei tuoi desideri più ardenti e possa io dire, con un medesimo cuore e un medesimo amore, per l’effusione dei tuoi sacri desideri in me, nella comunione quotidiana: desiderio desideravi.

 

      Tutto questo Capitolo VIII del Véritable esprit esplicita quello che vuol dire Madre Mectilde con l’espressione «vita eucaristica» (VS Cap. I, 70), espressione che è da intendere all’interno del suo punto di vista carismatico (non con riferimento ad altre considerazioni o ad altri autori). Essa è la vita che discende dagli «stati» con cui Cristo Gesù è  nell’Eucaristia. Con una precisazione importante: in questo testo, a differenza di altri in cui la condizione permanente e dinamica di Cristo (=lo «stato») nel Sacramento, e quindi la sua vita, è colta mettendo in primo piano l’annientamento kenotico dell’Incarnazione, è messa in rilievo — senza sottacere quello — la Sua attesa: il Suo amore è così divino da sopportare il non esaurimento; esaudimento che invece sommamente desidererebbe. Egli desidera, e quindi attende, il venire degli uomini a lui, perché si dia, nell’alleanza, il mangiare con loro la Pasqua.

A ben pensare nulla di strano in tale affermazione, anzi, essa è perfettamente coerente a tutta la logica cristiana dell’opera ( il cristianesimo fa salva sempre la libertà dell’uomo, di quell’uomo per cui Cristo s’immola). E se si ripercorre con attenzione tutta l’opera si ritrova che ciò era già stato annunciato nel Cap. I, in quel Capitolo in cui ricorre la descrizione a tinte cupe dell’esistenza vittimale. Infatti già là si legge: « Egli è nel Sacramento per essere mangiato da noi, per nutrirci, per sostentarci di se stesso; e il suo intento è di colmare il suo desiderio di noi per la sua gioia» (VS Cap. I, 71). È per soddisfare a questo desiderio e il compimento negli uomini che noi ci consegniamo a Lui «a corpo morto» (VS Cap. VIII,16), «come sue vittime» (cfr. VS Cap. I, 70). Siamo  qui, nel Cap. VIII del Véritable esprit, di fronte alla descrizione in positivo della vocazione vittimale delle monache mectildiane.

        Gli aspetti onerosi di quella vocazione (cfr VS Cap.I) sono riconducili alla necessità di purificazione dal peccato per la via dell’ assunzione delle sue conseguenze in una logica di segno opposto,  e facendo esperienza della sua praticabilità a motivo della grazia che sostiene. Si tratta sempre dello stesso mistero, perché — come scrive Gv 1,11-12 — : «Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio»[37] (Marie Véronique Andral).

 

 

III. Prospettive per una conclusione

 

È certo che Mectilde concepiva adorazione  eucaristica  — i cui contenuti facilmente raggiungevano quelli dell’orazione di “esposizione di sé per un quarto d’ora” illustrata alla Duchessa — e comunione sacramentale senza soluzione di continuità. Si legga ad es:

 

        « Vorrei sapere, sorelle mie, in che modo trascorrete i vostri turni d'adorazione davanti al santissimo Sacramento. Perché voi andate davanti a un Dio umiliato e annientato per amor vostro, e che non è contento d'essere lì soltanto adorato, ma vuole anche essere lì mangiato. E come il pane per la vita fisica è la più nutriente materia che abbiamo, e quella che prendiamo più spesso, Gesù Cristo mio Salvatore si mette sotto la figura di pane per essere nostro nutrimento: suo desiderio è essere mangiato da noi e che noi viviamo della sua vita come lui vive di quella del suo divin Padre [cfr. Gv 6,57]. Voi avete la fortuna di comunicarvi spesso, vivete di questa vita divina.

           Un santo padre ha detto che se sulla terra non ci fosse nessuno per fare la comunione, gli angeli discenderebbero dal cielo per portar via la santa ostia, per mostrarci che Gesù mio salvatore non è in questo adorabile sacramento soltanto per essere adorato, ma vuole anche essere lì mangiato.

          Mangiate, figlie mie, questo Dio umiliato e annientato per la sua creatura, la quale non è che un  nulla per natura e un doppio nulla per il peccato che è in lei. Ecco, sorelle mie, che cosa siamo: nulla per natura e nulla di peccato. E dire che il mio Dio, che è uguale a suo Padre, si voglia unire a questo doppio nulla, è cosa che non si può comprendere. E' articolo di fede che noi mangiamo il corpo di un Dio-Uomo, di Un uomo-Dio che l’amore tiene prigioniero sotto le specie del pane e del vino e che mai né la malvagità degli empi, con tutte le loro mene, né la sfrontatezza dei libertini, sono riuscite ad ottenere che se ne andasse dai nostri tabernacoli: tanto è grande l’amore di Gesù Cristo per noi! Così, egli ci dice nel vangelo, “sarò con voi fino alla consumazione dei secoli!” [cfr. Mt 28, 20] Ecco ancora una volta fin dove arriva l’amore del mio Dio per la sua miserabile creatura!»

 (dalla conferenza alle novizie del mese di dicembre 1687, n °246: CC, 245).

 

A Margherita, che aveva bisogno di essere spronata a credere e far esperienza dell’amore del Signore, la Madre lo mostrava più che possibile  e già incipiente nella sua propria esperienza cristiana; ceto, essa era da confermare e in essa doveva perseverare. Per questo le additava la potenza del mistero di Cristo, appoggiandosi a sua volta sulla grazia dell’anno liturgico, ora presentandole la fecondità della Croce ora quella della Risurrezione:

 

         «…Non sono le cose che  dico che vi danno fortezza, ma  la grazia di Colui che è nascosto in voi, come il lievito della parabola evangelica, nascosto sotto le tre misure di farina.  E’ Gesù l’unico del vostro cuore che vi sostiene e che vi anima del suo Spirito e vi attira tutta a sé, attraverso la sua divina operazione, nel segreto del vostro intimo; che vale per voi come luogo di ritiro e solitudine, nell’attesa che vi separi interamente dalle creature. Egli conosce quali sono i più teneri sentimenti del vostro cuore e che esso ha già spiccato il volo verso le cavità della roccia, che sono le piaghe adorabili dell’umanità santa di Gesù, e [ che restate] in quelle preziose caverne in cui gemete senza posa dopo aver goduto di Colui che ha ferito il vostro cuore con le frecce del suo divino amore , e [che il vostro cuore] non può rallegrarsi di alcuna cosa sulla terra al di fuori di questa unione deliziosa. «Gustate e vedete quanto è dolce e soave il Signore» [Ps 33, 9]. Io lo prego che vi faccia portare l’effetto delle sue divine parole che l’evangelo ci dà oggi come soggetto di meditazione. Questo amabile Salvatore ci dice: «Quando sarò elevato da terra, attirerò tutto a me» [Gv 12, 32]. O beato rapimento che ci staccherà dalla terra di noi stesse, per unirci e trasformarci tutte in Gesù! Preghiamolo, Madame, che sia esaltato in noi affinché ci attiri completamente a sé

         Gli ho domandato questa grazia questa mattina alla comunione, per voi, e credo che ve la darà con larghezza e con amore, essendo conforme ai nostri desideri e all’ardore che vi divora interiormente.[…]

        Vi devo lasciare adorare questo sacro calvario dov’è la croce del mio divin Maestro e Salvatore, poiché domani avrò l’onore di vedervi adorarlo sul suo trono eucaristico, dove l’amore l’immenso per voi e vi attirerà nel suo sacrificio, per esser fatta una stessa ostia con lui. E’ in questo mistero di gloria e di umiliazione che sono a voi [vicina] con cuore molto sincero …» (Lett. n° 1145, “Sulla festa di Pasqua”: LI, 32).

 

          “… l’onore di vedervi cenare nella piccola casa del Santissimo Sacramento … io più delle altre; desiderando sapere se siete entrata in questo mistero di vita che noi adoriamo e che è pieno di tante grazie che non posso impedirmi di augurarvene la pienezza.

          … la più alta santità che Dio domanda da voi non è altro che l’effetto del mistero della risurrezione, che ci fa vivere della vita nuova di Gesù Cristo. Oh quanto è divina questa vita! Piacesse a Dio che noi ne fossimo animate: il nostro cuore e il nostro spirito agirebbero davvero in maniera diversa, Gesù sarebbe il principio e noi non potremmo vedere nulla, né desiderare nulla al di fuori di lui; ma per ricevere questo favore occorre essere fedele all’operazione dello Spirito santo. Bisogna dimorare nascosta in Gesù Cristo come dice  egli stesso con queste sacre parole: «Colui che dimora in me e io in lui porterà molto frutto»[Gv 15, 5]. Ecco delle parole di vita. Dimoriamo allora in Gesù affinché possiamo dire con verità: «Non quae super terram». Certamente bisogna pensare in tutti i modi ad essere completamente a Dio attraverso Gesù Cristo” (Lett. n° 1464,“Sulla risurrezione” : LI, 34)

 

Infatti  — non lo si ripeterà mai abbastanza — il ciclo dell’anno liturgico, in specie nel mistero pasquale, e, più profondamente, la celebrazione liturgica  — in quanto memoriale del mistero pasquale da cui il ciclo liturgico trae la sua grazia —, sono come delle porte d’accesso per “entrare dentro” il Signore Gesù. Ma le varca chi cammina nella fede, non apprezzando altro che l’essere là dove il Cristo gli chiede di andare dietro di Sé , ed in questo senso si fa guidare dallo Spirito santo.    

                  

La questione seria e intramontabile della vita cristiana  e di una feconda partecipazione alla liturgia[38] — sia per il singolo che la comunità radunata —  è quella delle condizioni per ché si dia e s’ instauri un rapporto con il Cristo e il Suo intérieur: radicati in Lui fino a «nasconderci in Lui», conosceremo allora per esperienza, e quindi «gusteremo»  — non nel sentire mutevole, ma nella vita che si edifica conformandosi a Cristo, perchè Cristo progressivamente l’attrae —, quanto è buono il Signore.

 

 

 

 

 

 



[1] Mi permetto di rimandare, per un’esposizione più ampia, alle dispense della  “Scuola Cultura Monastica- Mon. S. Benedetto- Milano”,  anno III [1999-2000], lezioni I- III: M. Mectilde e la Duchessa Margherita di Orléans: «Entrare nel mistero di Cristo alla scuola di Madre Mectilde»; «Celebrare  i  misteri di Cristo:avvento e natale; quaresima e pasqua» ; «Celebrare la santità di Cristo nelle feste dei santi».

[2] Si tratta di 112 lettere (cfr. Catherine de Bar, Documents historiques et biographiques, Rouen,  Bénédictines du St   Sacrement, 1973, 34), esclusivamente di Mectilde a Margherita. Esse sono in buona parte pubblicate in Catherine Mectilde  de Bar, Lettres inédites,  Rouen , Monastère des Bénédictines , 1976, 19-98. D’ora in poi  i volumi  saranno indicati rispettivamente: DH e LI.

[3] Cr. Paolo VI, Udienza generale del mercoledì delle ceneri, 28 febbraio del 1968 : ««La liturgia della Chiesa contiene una riserva enorme di pedagogia umana, d’orientazione cristiana, di padronanza della vita; una riserva che, fino a questo tempo, è stata usata molto imperfettamente» (Jungmann). La liturgia c’insegna a vivere, ci fa vivere, come uomini e come cristiani, purché sia capita e partecipata».

[4] Per i dati biografici relativi a Margherita: Pierre Marot, Introduction  in LI, 9- 14; cfr. DH, 248-260 (= De l’origine de l’Abbaye de la Consolation Notre Dame de Nancy et de son union à la Congrégation de l’adoration perpétuelle du très Saint sacrement de l‘autel ). Cfr. Michel Pernot, Catherine de Lorraine, Abbesse de Remiremont in  Reflexions sur l'echec d'un reforme in Remiremont, l'abbaye et la ville: actes des journées d'études vosgiennes, Remiremont 17-20 avril 1980 Paris, Michel, editor (Nancy: Service des Publications de l'Université de Nancy II, 1980).

[5] «Margherita fu profondamente segnata da Caterina. Questa, dal 1611 abbadessa di Remiremont, di cui era coadiutrice dal 1609, avendo invano cercato di riformare il famoso Capitolo delle Dame nobili, fondò a Nancy l’abbazia benedettina di Notre-Dame de la Consolation. Aveva preso l’abito nel 1624 a Val-de Grâce ove si era imbevuta della riforma di Margherita d’Arbouze e entrò nel suo monastero [ a Nnacy] nel 1625, conservando tuttavia il titolo abbaziale di Remiremont e prendendosi come coadiutrice Margherita di Lorena. Avrebbe ottenuto nel 1631 di creare una nuova Congregazione benedettina della Stretta osservanza. Margherita, come la zia, aveva l’anima mistica» (LI, 9).

 

 

[6] Margherita Luisa, sposa costretta e disperata del granduca di Toscana : cfr. LI, 83s.

[7] Francesca Maddalena sposa nel 1663 Carlo Emmanuele duca di Savoia, ma muore nel gennaio dell’anno seguente: cfr. DH, 107 -> LI, 86s.

[8] «Madame de Remiremont non abbandonò per il momento [= il 28 agosto 1632, quando margherita fuggì da Nancy] la città. Ma il Re, accompagnato dal Card. de Richelieu, suo primo ministro, venne di persona  a Nancy dopo che S. A. di Lorena – per comporre il conflitto – mise la città nelle mani del re, come per deposito per un certo numero di anni. Il Cardinale si mise a cercare così seriamente le prove del matrimonio di Monsieur [=Gastone di Orléans, fratello di Luigi XIII] che venne a conoscere il nome del religioso che l’aveva celebrato e mandò per  arrestarlo. Ma quegli riuscì a fuggire. Dopo questo atto di forza, Madame de Remiremont non si ritenne più sicura in casa sua, poiché era stata costretta a dichiarare il matrimonio, sapendo il re che ella era a conoscenza di quest’affare più di qualsiasi altro. E temendo che la si trattasse come prigioniera o che le sottraessero gli atti di cui era depositaria o forse che i soldati non venissero a dar fuoco al convento, fuggì una sera al calare della  notte  e passò alcuni giorni a Besançon, da dove si trasferì in Germania, dalla duchessa di Baviera sua sorella [.… quindi trovò] rifugio presso l’arciduchessa di Innsbruck, sua nipote [ …] Ma stanca di vivere in maniera così precaria e contraria alla sua professione, fece fare i passi opportuni a Corte perché si chiedesse al re di permetterle di ritirarsi nella sua abbazia di Remiremont,  accordandole la neutralità per quel luogo e [ ...] le città dipendenti. […] le fu accordato. Così tornò a Remiremont dove visse in pace fino al 1644 quando Madame la mandò a cercare per condividere con lei la gioia di vedersi riunita  a Monsieur che aveva dichiarato pubblicamente il loro matrimonio» (DH, 257).

[9] Cfr. Madame de Motteville, Chronique d’une femme de chambre, Mercure de France-Le temps retrouvé, 2003.

[10] Ipotesi di ritiro in monastero ? Però Mectilde non vuole che Margherita entri a causa delle sue difficili condizioni esistenziali in monastero. Il tema del «rompere i legami»  è innanzitutto riferito all’oppressione che la duchessa si creava da se stessa a se stessa: a riprova c’è anche la  lettera dell’aprile 1666, che la madre le scrive da Rambervillers  (LI, 88s) (prima del 29. 04, inizio dell’esposizione eucaristica a Rambervillers)  : «Continuo a far pregare Dio per voi e per la rottura dei legami, affinché possiate prendere il volo fino alla dolce e amabile solitudine cui tanto spesso anelate e riposarvi nel cavo della roccia , che non è altro che il Sacro Cuore di Gesù. E’ là, Madame, e non altrove che godrete di un riposo perfetto e che le fiamme del suo Cuore adorabile consumeranno il vostro».

[11] Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo (Gal 6, 14).

[12] «Per Bérulle e i suoi discepoli la virtù di religione è essenziale. […] l’universo è per la gloria di Dio, la creazione dell’uomo è vista come una «consacrazione» che Dio ha fatto del nostro essere a se stesso: “Egli ci forma, egli ci offre a se stesso”. Da qui il movimento naturale di ritorno  dell’uomo  a Dio, movimento intralciato dal peccato, ma guarito e rinnovato dalla grazia. La virtù di religione conduce l’uomo a fare omaggio della propria vita a Dio nell’adorazione, ma anche nella conformità di questa vita alla volontà del suo Creatore.  […] La totale adorazione, la lode perfetta appartengono unicamente al Figlio fatto uomo .… lo fa nella sua preghiera, nella sua offerta (Ebr 10, 5: «Entrando nel mondo … ecco io vengo, o Dio, per fare la tua volontà»); lo fa ancor più visibilmente nel suo sacrificio. “Gesù Cristo nel Sacramento è l'ostia del genere umano, ostia di lode e di adorazione. L’uomo ha bisogno di questa ostia per adorare e lodare Dio, come pure ha bisogno [per il peccato] di un’ostia (=vittima) di redenzione” (Bérulle, Pièce 6 sur l’Oratoire)”»: cfr. I. Noye, Qualche accento nella devozione al SS. Sacramento del secolo XVII in Francia, specialmente nell’Olier e in M. Mectilde, «Ora et labora» 50 (1995), 108 ss., qui 110.

[13] Cfr.  Catherine Mectilde de Bar, Lettere di un'amicizia spirituale (1651-1662). Madre Mectilde de Bar a Maria di Châteauvieux,  Milano, Ancora, 1999: Come si devono servire i malati (lettera 19), 123-125: 124. [D’ora in poi, questo volume sarà indicato con: LA].

[14] Vedi Catherine Mectilde de Bar, L'Anno Liturgico. Dall’Avvento a Pentecoste. Solennità del Signore e della B. V. Maria, s. Michele e festa di Tutti i santi, Milano, Glossa, 1997,  testo  32, 312-315 ; Catherine Mectilde de Bar, Anno Liturgico e santità. Santità di Dio e santità di Tutti i santi. Feste della B. V. Maria , di san Giuseppe, dei santi Monaci, san Benedetto e santa Scolastica, Milano, Glossa,  2005, testi 5-8, 57-66. [D’ora in poi questi volumi saranno citati: AL e AL/2].

 

[15] Cfr. Divo barsotti, La vocazione di Benedettine del santissimo Sacramento, «Ora et labora» 1964, n. 4, 178-183: 178-179; anche : A. Valli, Ricordando Don Divo Barsotti   († 15 febbraio 2006) scrittore e teologo, monaco, fondatore della Comunità dei Figli di Dio, «Ora et Labora», 2006, n. 2, 95-100

 

 

[16] Cfr. ad es. C. Giraudo, Stupore eucaristico. Per una mistagogia della messa alla luce della enciclica Ecclesia de Eucharistia, LEV, 2004, 41.

[17] Si tratta di un atteggiamento psicologico e virtuoso insieme, reattivo e deciso, frutto di integrazione spirituale.

[18] Cfr. LA,163-165: Istruzione per mostrare la differenza tra meditazione e orazione.

[19] Altri cenni all’orazione del “quarto d’ora” in LI, 44 ; 50; 90.

[20] J. Sudbrack, Mistica, Piemme,1992, 183.

[21] Cfr. Conférences  et Chapitres 34 [= Bayeux, Monastère des Bénédictines, 1986 (pro-manuscripto, a schede)] :

 “Conferenza sul mistero della circoncisione di nostro Signore Gesù Cristo”:

«“Haec Dies quam fecit Dominus”[Ps 117, 24]. O giorno del Signore terribile tutto colmo di stupore, al vedere il Verbo eterno rivestito della nostra natura , ricevere oggi il carattere del peccatore e farsi peccato – come dice S. Paolo [2Cor 5, 21] - per liberarci dall’ira di Dio e dalle pene eterne che abbiamo meritato.

Questo giorno è così grande e così pieno di cose meravigliose che un profeta, avendolo considerato, disse queste parole: “Consideravi opera tua et expavi”. Noi dobbiamo dire lo stesso con un santo terrore e restare nell’abisso dell’ammirazione: “Et expavi”! Oh! Chi non lo sarebbe alla vista di ciò che questo mistero ci rappresenta. Un Dio che porta il segno dei peccatori, un Dio fatto peccato, ciò è incomprensibile! Quale accordo ci può essere tra Dio [che è] santo e il peccato che è l’abomino abominevole che non può neanche essere pensato alla nostra mente! Gesù si fa oggi preda della giustizia divina; si carica dei nostri peccati, guarda a sé come a un criminale, ne porta la vergogna , la confusione e la pena. E noi possiamo dire che la circoncisione lo avvilisce mettendolo più in basso del niente. Giudicate  dunque quale possa essere lo stato di angoscia e di sofferenza in cui l’anima santa di Gesù è inabissata in questo mistero. Considerate estrema la sua umiltà nel farsi uomo perché si è abbassato al di sotto degli angeli. Ma assumendo il carattere e il segno dei peccatori si è fatto non soltanto l’ultimo degli uomini ma il più piccolo degli uomini. E’ per questo che dice attraverso il suo profeta: “Ego sum vermis et non homo” [Ps 21, 7]. Sono un verme della terra e il rifiuto di tutti, e l’obbrobrio degli uomini».

[22] Tolgo la “definizione” da un’ articolata istruzione di Mectilde  alla  Contessa di Châteauvieux sui «quattro passi» per «uscire da se stessi ed entrare in Gesù Cristo»: cfr. A. Valli, Cammino di perfezione come dinamismo della fede. L’esperienza e la proposta di Catherine Mectilde de Bar (1614-1698), in G. Angelini - I. Angelini - P. Sequeri - A. Valli, Cammini di perfezione cristiana, Milano, Glossa, 2001, 85-144: 119-122.

[23] M.-Véronique Andral, Catherine de Bar M. Mectilde du Saint-Sacrement 1614-1698. Itinéraire spirituel,  Rouen, Monastère des Bénédictines, 1997, 2 éd. revue et amplifiée, 37 ; tr. it. in EAD., Catherine Mectilde de Bar. Un carisma nella tradizione ecclesiale e monastica, Roma, Città nuova, 1988, 57.

[24] LI, 188; tr. it. in M.-Véronique Andral, Catherine Mectilde de Bar. Un carisma nella tradizione, 109 .

[25] Cfr. M.-Véronique Andral, Catherine Mectilde de Bar. Un carisma nella tradizione,114-116.

[26]  Testo n° 1476 , che è entrato a far parte del Véritable esprit, Cap.IV.

[27] Stando a questo versetto la rivelazione particolare in oggetto riguarda il momento del Calvario. Invece secondo la versione del ms Cr C essa riguarda genericamente la passione del Signore: «… douleurs les plus internes et les plus sensibles de son très saint-cœur lorsqu’il souffrait en sa passion».. Ciò è coerente con la prospettiva mistagogica della Madre circa la messa: essa insegna non un metodo di partecipazione a partire dall’identità dogmatica tra sacrificio della messa e sacrificio della croce, ma dei criteri  — anche pratici — per discernere come entrare a partecipare al sacrificio di Cristo disteso per tutti i misteri della passione, unendosi a lui secondo l’attrattiva della grazia. Il fondamento della mistagogia è riposto nella potenza della grazia stessa, la quale non può non coinvolgere un credente che si mette di fronte alla kenosi del suo Signore nella passione.

[28] Cfr. in Pascal lo stesso tema, non solo dell’agonia di Gesù fino alla fine del mondo, ma anche dei lamenti che lì esprime a motivo di un dolore senza confini e senza paragoni umani (cfr. Pensieri, ed. J. Chevalier n° 736: Blaise Pascal, Pensieri, opuscoli, lettere, Milano, Rusconi, 1990, 711-715: 711-712).

[29] La fonte non è stata identificata.

[30] A questo miravano in maniera convergente i “quattro passi” indicati alla Contessa. Infatti la via che essi tracciano è sempre un  "entrare in rapporto" con Gesù. E quei  quattro “passi” raggiungono sempre la stessa realtà: Cristo che si dà all'uomo, secondo il suo (genitivo soggettivo ed oggettivo) desiderio.

[31] LI, 223: M.-Véronique Andral, Catherine Mectilde de Bar. Un carisma nella tradizione, 133.

[32] Possiamo pensare che fosse per la sopravvenuta familiarità ideale con Eudes che Mectilde vivesse il giovedì di Passione con lo spessore che Le Véritable ésprit Cap. VIII ci attesta. Va ricordato infatti che «la festa [del Cuore di Gesù] fu celebrata il 20 ottobre 1672 a Caen, e quasi sicuramente a Coutances, a Lisieux, a Evreux,  a Rennes, nei seminari fondati dal p. Eudes. A Rouen, il nuovo arcivescovo Mons. de Médavy inizialmente vi si oppose: si dovette insistere… E fu adottata anche, come era avvenuto  per quella del Cuore di Maria, da parte di molte comunità religiose e da alcune altre diocesi. Un caso rimarchevole fu quello della benedettine del santissimo Sacramento, che fecero stampare per le loro comunità gli uffici del p. Eudes adottandoli al rito benedettino, fin dal 1669 per la festa del Cuore di Maria e probabilmente nel 1674 per quella del Cuore del Signore. […] Dal 1674 anche le benedettine dell’abbazia reale di Montmartre dove il p. Eudes era un po’ di  casa, introdussero nel loro proprio liturgico la festa del Cuore di Gesù» (P.Milcent, Un artisan du renouveau chrétien au XVIIe siècle Saint Jean Eudes, Paris, Ed. du Cerf, 1985, 457).

[33] Riporto ad es. i passi del Véritable esprit:  

Cap. I, [29] Non deve esigere nient’altro se non di venire ad immolarsi a Dio; ma in maniera totale e non a metà; si deve restituire a lui con tutta la capacità del suo essere, almeno con interezza di volontà, mentre attende che la luce del Sole divino abbia illuminato il fondo della sua anima, per insegnarle in qual modo deve restituirsi a Gesù Cristo. 

VI, [22] Rimettiamoci interamente alla sua santa disposizione, accontentandoci che Dio sia soddisfatto in se stesso e che si accontenti di noi come gli piacerà, senza che la nostra  sensibilità vi prenda parte. Siamo fedeli e, quando gli aggraderà, questo Sole[33] divino ci ridarà la luce e il calore che lo accompagnano nell’eccelso Sacramento.

VII, [60] Può capitare talvolta che esse siano rinchiuse nei propri limiti, anche a motivo di un movimento della grazia, senza che lo possano riconoscere: ma che si abbandonino a Gesù che opera e sacrifica l’anima loro con lui; basti  loro il fatto di aderire semplicemente a ciò che lui fa in ciascuna. E a poco a poco la persona che si comporterà in questo modo, senza essere attaccata al proprio sentire, verificherà un mutamento dentro di sé, un incremento di tranquillità e un incremento di luce, anche se questo esercizio sembrerebbe oscurare l’intelletto, tenendolo legato e sottomesso, escludendo ogni sforzo per vedere e per capire. E’ molto meglio che esso venga illuminato dalla luce di questo Sole divino piuttosto che dalla propria intelligenza, che solitamente non è foriera che di errore e di inganno.

XII, [22] Ritengo che un’ anima scelga la via giusta quando, potendolo, adori Gesù Cristo  come vita dentro di sé, come sua vera vita e centro della sua vita e si esponga a questo sole divino, affinché egli riscaldi la terra e  conseguentemente essa produca frutti conformi al suo principio vitale. […]Avviene così per il bene di quelle anime che devono essere tenute in prigioni tenebrose, altrimenti si smarrirebbero. [30] Se esse scorgessero quel grande giorno, il Sole divino nel suo splendore e nella sua luce eterna, determinerebbe la perdita  della loro capacità di vedere: non la potrebbero sostenere, sono troppo deboli.

XV,[35] Quando tutto è così consumato nell'anima, allora Gesù sorge come uno splendido sole nel cielo di quest'anima, che è l'intimo del suo spirito e della sua sostanza, e vi irradia i suoi divini raggi col­mando tutto il suo interno di gloria, di gioia, di amore e di benedizioni ineffabili.

[34] È  l’incipit  del Libro III , Cap. IV di Jean de Bernières, Le Chrétien intérieur. Tome Ier,  Lyon-Paris 1852, nouvelle édition revue et corrigée ; Libro III  «in cui si tratta della comunione e dei suoi effetti. Lì si mettono a tema anche le comunicazioni intime dell’anima con Gesù Cristo nell’adorabile Sacramento eucaristico». Tale Cap. IV (ib., 343-346) ha per titolo : Il desiderio di comunicarsi all’uomo obbliga nostro Signore Gesù Cristo ad istituire il santissimo Sacramento

[35] Secondo madre Véronique Andral, che amava presentare una lettura del Véritable esprit individuando in esso una struttura composta da un centro e da alcune corone circolari , questo Cap.VIII, «è la chiave di tutto il libro».

[36] Com’è noto, se si fa la storia del Cap. VIII del Véritable esprit., ci si rende conto che esso era originariamente una lettera a una religiosa, con incipit: «Non è possibile lasciar passare la festa dei desideri del cuore adorabile di Gesù senza parlarvene brevemente. È una solennità non celebrata da tutti: è una festa che è stata ispirata per rendere omaggio e onore a Gesù che istituisce il venerabile Sacramento dell’altare, per risvegliare le anime al suo amore e unirsi ai santi ardenti desideri che lo animavano di darsi a noi attraverso questo mistero d’amore: Ho desiderato ardentemente ecc» (l’originale trascritto in nota al testo francese, in loco). Quando si celebrava questa festa? Dove? A chi era stata ispirata? Dal testo n° 682, tramandato dal ms Cr A, p. 126, sembrerebbe  essere stata una devozione poco più che privata — nel senso che non aveva ufficio liturgico — che Mectilde celebrava nel cosiddetto giovedì di passione, cioè il giovedì precedente il giovedì santo: «Ho l’usanza di  solennizzare ogni anno, in questo giorno, i sacri desideri dell’ adorabile cuore di Gesù, in seguito alle parole che la Chiesa ci propone nell’ufficio divino: Desiderio  desideravi. È con queste parole che Gesù esprime gli infiniti desideri che ha di darsi agli uomini per attirarli e inserirli tutti in sé» (n° 682: tr. it. in Joseph Daoust, Il messaggio eucaristico di Madre Mectilde del SS. Sacramento, Ronco di Ghiffa, Benedettine SS. Sacramento Monastero SS. Trinità, 1983, 83-84: 83).

[37] Madre M.- Véronique Andral amava spiegare la logica del messaggio eucrauistico del Vèritable esprit legandola a questo versetto del prologo giovanneo.

[38] «…l’unica ragione per cui Cristo ha istituito l’Eucaristia : la comunione con la sua carità» (Inos Biffi, L’Eucaristia comunione della Chiesa alla passione del Signore. Un profilo, Milano, Glossa, 2004, 62). « L'Eucaristia che edifi­ca di più non è quella che stupisce di più o è più clamorosa. La stessa comunità cristiana celebrante dev'essere educata ad attendersi dalla liturgia eucaristica non quello che a lei piace o le sia consono di dire e fare, ma quello che la Chiesa e quindi Gesù Cristo nell'Eucaristia si è pro­posto di dare: il suo corpo e sangue, la sua ado­razione, la sua carità, perché la partecipazione attiva non si stemperi e non si sciupi nello zelante fervore di un'azione impegnata ritual­mente ma non spiritualmente, cioè non "real­mente": e, com'è noto, la res dell'Eucaristia è un effettivo e operoso amore, a similitudine di quello vissuto da Cristo nella donazione del suo sacrificio di salvezza» (ib., 69).