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Deus absconditus, anno 94, n. 3, Luglio-Settembre 2003, pp. 18-30

 

Sr. Maria Blandina Michniewicz osb ap, monaca del Monastero di Varsavia (Polonia) *

L’abbandono come la via mectildiana di partecipazione al Mistero Pasquale di Cristo

 

 

1. Pasqua nella vita di madre Mectilde

Ci sono due Pasque nella vita di madre Mectilde che racchiudono tutta la sua vita di benedettina del SS. Sacramento. Quella del 1651, che ha segnato l’inizio dell’Istituto e quella del 1698.

La notte di Pasqua 1651 ha compreso che Dio aveva per la sua vita progetti diversi dai suoi. «Adora e sottomettiti a tutti i disegni di Dio che per ora ti sono sconosciuti»: queste parole, ascoltate allora, hanno segnato il cammino che doveva percorrere ed hanno anche segnato tutto l’insegnamento di madre Mectilde.

Scriverà alcuni mesi più tardi a una postulante:

«Vi consiglio di impegnarvi a diventare come un bambino tra le mani della santa Provvidenza, esercitandovi a fare spesso degli atti di abbandono di voi stessa ai disegni di Dio che vi sono sconosciuti affinché, mentre Nostro Signore li compirà in voi, vi trovi l’assenso che da voi desidera» [1].

Nelle sue lettere, nelle conversazioni e conferenze, ritroviamo l’eco delle sue esperienze personali: «Sì è vero che sono diventata molto sapiente riguardo all’abbandono» [2], confessava. E lo considera sempre nell’ottica pasquale: il vero culto spirituale è offrire le nostre persone «come ostia viva, santa, gradita a Dio» [3].

«...la mia fiducia sta nella forza e nella misericordia di nostro Signore Gesù Cristo. Egli sa distruggere e sostenere [...] Trovo così sante e così adorabili le sue vie che non mi stanco di ammirarle. Mio Dio, quanto è bello abbandonarci nella sua santa mano! Come ci condurrà bene e a buon porto! Lasciamolo fare, tutto andrà bene ed egli opererà la nostra santificazione in mezzo agli ostacoli che la natura, le creature e il demonio ci pongono. Mi sembra che l’anima non possa più compiacersi in nulla sulla terra se non in questo beneplacito di Dio: appena lo si considera, calma tutto, fino al moto primo che esso ha il potere di trattenere. Impariamo a perderci. Siamo vittime in verità e non in apparenza. Immoliamo le nostre vite, i nostri interessi e i nostri sentimenti al beneplacito di Dio. Preferiamolo a tutto e rallegriamoci del capovolgimento dei nostri progetti. Vedo che è un’infedeltà per l’anima desiderare qualcosa: spetta a Gesù Cristo desiderare qualcosa per lei e fare progetti su di lei. Io non oso più desiderare nulla. Mi pare che Nostro Signore voglia che rimaniamo più in lui che in noi e che siamo mosse [4] più dal suo Spirito che dal nostro. Cominciamo a vivere per lui nella purezza del suo amore. Diamogli questa gloria: il resto dei nostri anni, che sono ben pochi, siano unicamente per lui senza più alcun ritorno su di noi e neppure sulla nostra perfezione» [5].

Verso la fine della sua vita notava con acume:

«Pochissime anime comprendono cosa sia il puro amore e il nudo abbandono: è così crudele per i sensi e per la ragione umana che se l’anima non fosse sostenuta dalla fede, getterebbe tutto dalla finestra e non vorrebbe pensarci mai più... » [6].

Parlava di quello che lei stessa viveva: per questo i suoi consigli sono anche una testimonianza commovente dei suoi «processi con il Signore» (per usare il suo vocabolario) come pure della sua intimità con lui.

Potremmo seguire questa traccia di abbandono in tutta la sua vita (e in modo del tutto particolare durante il lungo ritiro del 1660/1661) sino alla Domenica in Albis dell’anno 1698, in cui è passata in Gesù Cristo per non tornare mai più [7]. Adoro e mi sottometto – le sue ultime parole – esprimono tutta la sua anima, sono il condensato di tutto il suo cammino spirituale, cammino pasquale.

«...il termine Pasqua ci indica un passaggio – spiega ad una monaca – la Chiesa fa memoria dell’uscita dei figli di Israele dalla loro miserevole schiavitù. E’ quindi la festa delle anime rigenerate dal peccato alla grazia ed è la festa del passaggio di Gesù Cristo nella vostra anima e della vostra anima in Gesù Cristo.

Passando in voi con la santa Comunione, Gesù vuole che voi passiate in lui per ricevere l’effetto del divino mistero della sua gloriosa risurrezione. E’ nella vostra anima che egli vuole operare questo grande mistero e comunicarvi per sempre una vita divina ed eterna se sarete fedele.

...il sacro passaggio che il mistero compie in noi per farci passare in Gesù Cristo, non lo compie perché ritorniamo su noi stesse, ma perché vuole che noi dimoriamo in lui, che viviamo della sua vita, ossia del suo Spirito, senza mai ritornare, almeno volontariamente, nel nostro. Dobbiamo compiere una totale separazione per dimorare nascoste con Gesù Cristo in Dio: è l’effetto del mistero della Risurrezione. Per compiere dunque il progetto del Figlio di Dio, dovete, figlia cara, dimorare in lui.

...Nostro Signore risuscita in voi per risuscitarvi in lui, così che non abbiate altra vita, altro desiderio, altra volontà, altre inclinazioni che non siano le sue: in una parola così che siate interamente rivestita del suo Spirito affinché si veda lui solo in voi e voi siate tutta annientata in lui» [8].

2. In sinu Patris

Tutta la vita di una benedettina del SS. Sacramento, centrata sull’Eucaristia, è pasquale per eccellenza. Bisogna «passare in Gesù», mortificando le membra terrene [9], per risuscitare con lui e in lui, vivere della sua vita nel seno del Padre [10], trascinando con sé tutta la creazione, riscattata e riparata, perché tutto sia rivolto al Padre.

«Trovo quindi che l’abbandono è la strada più breve e più veloce, benché non sia la più facile, per andare a Dio, per possederlo e goderne. Sì, figliole, nell’abbandono è racchiusa una grazia ineffabile che conduce l’anima fin nel seno di Dio e che la fa dimorare tranquilla in mezzo alle tempeste... » [11].

«Coraggio, figlia cara, non v’è nient’altro da fare in questo mondo che imparare la strada del paradiso. Siamo usciti da Dio, dobbiamo ritornare in lui, ma il nostro sentiero è solo Gesù Cristo. E’ in lui che dobbiamo camminare, dobbiamo entrare nei suoi santi stati di piccolezza e di annientamento davanti alla maestà del Padre suo e di un totale abbandono alla sua santissima volontà.

Ecco, mia carissima figliola, quello che lui vi chiede [...] Via, via, niente possa fermarci più in questo mondo. Dio solo deve bastarci» [12].

3. Vittime con Gesù

Donandoci l’Eucaristia, Gesù dice: «Fate questo in memoria di me» [13]; siate consegnati nell’amore, perché «io sono la vite e voi i tralci» [14], siete le membra di questo Corpo donato [15]: «Facciamo parte del Corpo che egli sacrifica» [16], dice madre Mectilde.

Cristo rimane sempre «l’Agnello come immolato» [17]; egli prolunga la sua Pasqua nel suo Corpo Mistico:

«Gesù Cristo è immolato incessantemente in noi e...continua in noi il suo sacrificio e ci sacrifica con lui... » [18].

Bisogna morire con lui per entrare nella vita risorta del Figlio di Dio e godere eternamente di Dio presente [19].

«Egli vuole che voi siate la sua vittima in verità, ma vittima del suo puro amore. Questa qualità vi è stata data da Gesù Cristo perché, come membro del suo corpo, siete stata fatta tale con lui in tutti i suoi divini misteri, sulla croce, ma in modo del tutto particolare nell’Ostia, vittima del beneplacito del Padre suo, vittima di giustizia nell’agonia del giardino [del Getsemani] e sulla croce, vittima di amore nel Santissimo Sacramento. Siete l’una e l’altra secondo i diversi stati in cui la Provvidenza vi fa passare; e per esserlo come si deve, dovete cedervi all’attrattiva della grazia, che vi muove o dovrebbe muovervi in tutte le cose...Non differite la vostra felicità con i timori e le apprensioni umane, gettatevi a corpo perduto: se perirete, ciò avverrà fra le braccia di Gesù Cristo. Potrebbe esservi luogo migliore? Non temete nulla... abbiate piena fiducia nella sua bontà, e non preoccupatevi di nulla se non di lasciarvi guidare alla cieca come un bimbo...Tutti i preparativi che dovete fare per entrare nello stato di vittima, è di abbandonarvi alla potenza e all’amore di Gesù Cristo. Non ci vogliono tante cerimonie: non dovete far altro che abbandonarvi una buona volta e rimanere in questo abbandono» [20].

In LUI siamo nuovamente i figli amati dal Padre, assunti nel suo slancio «Vado ad Patrem» [21].

«Gesù Cristo è tutto ciò che possiamo attendere dalla carità immensa di Dio e tutto ciò che Dio attende ed esige da noi. Tutto ciò che possiamo attendere da Dio, tutto ciò che è racchiuso nell’immensità del suo amore verso di noi, è che siamo dèi e figli di Dio, che viviamo della vita dei figli di Dio, che godiamo del suo regno come suoi figli e eredi» [22].

«Ora, tutto questo è racchiuso in suo Figlio Gesù Cristo, in modo che possiamo giungervi soltanto se siamo membra vive di Gesù Cristo [23], incorporati alla sua umanità deificata, viventi della sua vita e del suo Spirito. Dio ci ha resi partecipi della sua natura divina [24], ma san Pietro ci insegna che ciò avviene per mezzo di suo Figlio, Gesù Cristo. Dio ci ha elevati alla dignità di figli: ‘Dedit eis potestatem filios Dei fieri’ [25], ma in quanto siamo uniti e aderiamo a suo figlio Gesù Cristo per mezzo di una fede viva, che ci rende qualcosa di lui. Dio ci ha chiamati a vivere in lui della vita santa e beata di cui egli vive in se stesso, ma noi possiamo vivere di questa vita soltanto attraverso Cristo e come sue membra. L’apostolo san Paolo a volte ci dice ‘siamo morti e la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio’ [26], altre volte ‘viviamo per Dio e di Dio in Gesù Cristo’ [27] e mille cose simili, che confermano questa verità» [28].

4. Completare quello che manca alla Passione di Cristo

Di fronte all’amore immenso di Dio non si può rimanere indifferenti, ci si sente spinti a rendere lo stesso...: amore per amore, vita per vita, morte per morte [29].

«Andate a Nostro Signore come un bimbo pieno di fiducia. E’ il vostro Padre che vi ama in verità...La carità regni nel vostro cuore come sovrana di tutte la virtù. ...Fate buon uso del tempo, degli avvenimenti della Provvidenza... dovete morire a voi stessa in ogni momento, perché Nostro Signore vi ha donato la sua vita e ve la dona ancora tutti i giorni. Donategli la vostra con coraggio » [30].

Ella incoraggia le sue figlie a uscire da se stesse, a sbarazzarsi dei propri interessi per ritrovare la libertà che si esprime nel dono totale di sé.

«Siate sempre molto generosa con Dio, non fate alcun caso alle creature se non in Dio e per Dio, ma non fatevi coinvolgere; conservate integra la vostra libertà e ricordatevi che Dio ve l’ha data perché ne facciate dono a Lui e non per imprigionarla sotto la tirannia del vostro amor proprio» [31].

«... porterete la grazia e la santità che Dio ha racchiuso [nell’Istituto] se soffrirete le vostre pene, di qualunque specie esse siano, se rimanete come Gesù e con Gesù abbandonata alla volontà del Padre suo. Non stupitevi per nulla di tutto quanto sentite di miserabile e di cattivo in voi. Soffrite, figliola, soffrite con Gesù e soffrite con san Paolo per completare quello che manca alla Passione del suo e vostro buon maestro [...] Cedetevi in preda al suo beneplacito, difendendovi il più possibile dai ritorni su voi stessa e dalle tenerezze che l’amor proprio suscita sotto pretesti eccellenti di salvezza, di eternità o di timore eccessivo di peccare, di non essere in grazia e in uno stato che non sia nell’ordine di Dio. Bisogna essere ferme e un po’ dure con se stesse in questo genere di disposizioni, altrimenti si piangerebbe sempre e ci si abbatterebbe a causa dello spirito naturale. In nome di Gesù, l’unico dei nostri cuori, siate fedele al sacro abbandono alla volontà di Dio. Ecco cosa dovete fare ed essere fedele a tutti i vostri obblighi soprattutto all’obbedienza, lasciandovi guidare come un bimbo senza alcuna diffidenza verso la bontà di Nostro Signore »  [32].

«Dio solo è capace di compiere la sua opera, noi non dobbiamo far altro che lasciarci morire ed egli saprà ben darci la vita» [33].

5. Beneplacito del Padre

Cristo riscatta il mondo con il suo abbandono al Padre. Per partecipare alla sua opera di salvezza, dobbiamo camminare sulle sue orme [34]: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà» [35]. Volere ciò che egli vuole [36] è un’autentica riparazione della creatura decaduta e ribelle: «Abbà, Padre, non ciò che voglio io, ma ciò che tu vuoi» [37]. E’ l’atteggiamento redentore e l’ingresso nella vita filiale «in Christo».

«Bisogna avanzare tra le tenebre e le oscurità quando si deve fare ciò che Dio vuole. Questo è essere vittime in verità, perché c’è molto da soffrire; e il peso più grande è quello della parte interiore spesso crocifissa e in disposizioni tali che darebbero molte inquietudini se non ci si abbandonasse. Trovo che questo è proprio ciò che dobbiamo fare al di sopra di tutte le cose [...] Ora, dunque, che Dio faccia in noi e di noi secondo il suo beneplacito; non abbiamo proprio nulla da dire perché siamo l’opera delle sue mani, ed egli ha il diritto di fare di noi ciò che vuole, senza che possiamo trovare da obiettare. Facciamo in modo di volere ciò che lui vuole, anzi di adorare e accettare la sua condotta segreta e i suoi disegni sopra di noi. Non usciamo mai da questa disposizione, qualunque sia la vista che possiamo avere delle nostre miserie e della nostra perdita. Lasciamo a Gesù Cristo la cura della nostra eternità, e cerchiamo di farlo onorare sulla terra e di rendergli i nostri omaggi e le nostre adorazioni, per meschine che siano, senza pensare a noi stesse e neppure all’inferno, tanto più che tali pensieri servono solo ad affliggerci e a trarci fuori dal nostro santo abbandono, il quale dà maggior gloria a Dio nella nostra povertà, di tutte le riflessioni, dolori e tristezze che, sotto bei pretesti, ci distolgono dalla fiducia nei meriti di Gesù Cristo e dalla sua divina carità. Ve ne prego, madre mia tanto cara, osserviamo questo e troveremo il riposo e la pace dello Spirito Santo» [38].

Questo abbandono al di sopra delle nostre debolezze, l’abbandono alla sua misericordia e al suo amore, la fiducia nell’efficacia della redenzione/riparazione della creatura, che è buona [39] malgrado tutta la debolezza e la cattiveria umane, è il cuore del nostro carisma riparatore.

 

«Dovete diventare vittima [...] ma più per amore e rispetto della grandezza di Dio e delle sue bontà che per timore e paura della sua giustizia. Dovete entrare nelle vie di un santo abbandono di voi stessa al suo beneplacito, dimenticandovi di tutti i vostri interessi. Vi prometto che egli se ne prenderà cura in modo infinitamente vantaggioso per la vostra anima. Questo santo abbandono è l’ammenda onorevole più degna che egli esige da voi» [40].

6. Misericordia

Tutto ciò che dobbiamo fare è abbandonarci, aprirci al suo amore e alla sua giustizia che ci giustifica. «Non pensate che Dio sia inesorabile e che fulmini i peccatori: è venuto per consolarli e salvarli» [41].

«Questo Dio pieno di amore per le sue indegne creature e assetato ardentemente della nostra salvezza [42], è sempre pronto ad accoglierci, non aspetta neppure che siamo noi ad andare a lui, ma ci previene con la sua grande misericordia; ci spinge interiormente a ritornare a lui e noi non abbiamo ancora avvertito il dispiacere dei nostri peccati né domandato perdono, che egli ci ha già perdonato, dimenticando tutto il passato, senza muoverci alcun rimprovero » [43].

Tutto quello che ci chiede è di riconoscere i nostri sbagli e accettare il suo perdono, di metterci in condizione di ricevere l’effetto della sua grande misericordia [44].

Madre Mectilde esorta instancabilmente alla fiducia che ripara la diffidenza dei progenitori. Non posso resistere alla tentazione di citare qui il testo «classico»: una lettera a Madre Bernardine.

«Io vi posso dire, mia carissima madre, che offendete di più il Signore con la poca fiducia che avete nella sua divina carità sulla vostra anima, che per tutte le grandi colpe che potreste commettere. Egli non può sopportare che feriate il suo amore. Vi scongiuro di prestar fede a quanto vi dico. Questo timore che avete, questa impressione della giustizia di Dio su di voi, incisa nel fondo dell’anima, non portano affatto buoni frutti. Nostro Signore vuole che lo guardiate nella sua bontà infinita su di voi, non secondo quel che sentite in voi stessa; diminuireste quell’adorabile bontà che è un attributo divino. Ma, elevando la vostra fede, affidatevi a lei per se stessa, senza guardare a ciò che siete voi e che meritereste di essere. Ecco il modo di vivere come Gesù vuole e di ricevere gli effetti della sua misericordia nella purezza del suo Spirito. Altrimenti, dareste dei limiti alla sua bontà e la misurereste secondo il bene o il male che sentite in voi. Ora, Dio non è buono perché noi siamo buoni o perché abbiamo buone disposizioni, ma è buono per essenza, è buono per se stesso. La sua gloria e la sua felicità consistono nell’essere buono, soprattutto verso i peccatori. Gesù è venuto sulla terra per loro, non per i giusti. Ecco gli effetti infallibili della bontà divina, verso la quale dobbiamo avere tanta maggior fiducia, in quanto il Cristo non ha avuto altro di mira, dopo la gloria del Padre, che la salvezza dei peccatori. Vi scongiuro di gettarvi a corpo perduto in quell’abisso di bontà e di perdervi in esso, senza mai riflettere volontariamente su voi stessa, né sulle miserie della vita passata. Dio ci dà secondo la nostra fede; che significa se non che ci esaudisce secondo la fiducia che abbiamo nella sua bontà? Non chiede che questo ai peccatori: al resto ha provveduto col suo sangue e i suoi meriti. Vediamo nel Vangelo che il figlio di Dio, volendo guarire un lebbroso, un idropico o un cieco, non gli diceva altro che questo: ‘Ti sia fatto secondo la tua fede ‘, cioè secondo la tua fiducia. Madre carissima, abbiate quest’amorosa fiducia: è la sola cosa che manca alla vostra vita interiore e che vi darà un santo vigore di spirito, scacciando il timore eccessivo e servile, con la timidezza e la sfiducia in voi stessa, che è buona quando non è portata all’estremo come la vostra [...] Vi ripeto, mettete la fiducia al posto del timore e Dio sarà contento di voi. Ma, se non fate questo, non avrete mai in questo mondo una vera pace nel rapporto con lui. Egli Lo vuole assolutamente da voi, e vuole che ve ne confessiate quando, riflettendo sulle vostre miserie, mancherete a questa amorosa fiducia» [45].

Ecco dunque la vocazione di vittima tradotta in un linguaggio concreto:

«Sopportatevi con pazienza e non fate tanti piccoli ritorni [su voi stessa]: credete che  il nostro Dio è un padre buono e che non tramortisce il proprio figlio per vederlo cadere nel fango. E’ felice che questi si rialzi e faccia come se non fosse caduto; fate lo stesso anche voi e non turbatevi mai delle vostre imperfezioni se volete riuscire nella vita interiore e nei grandi progetti di Dio, in ciò che egli vuole da voi per la sua compiacenza; dovete essere nulla in tutto» [46].

7. Mani vuote

Per madre Mectilde, la riparazione è questo «sovrappiù» di fiducia: bisogna essere solidali con i peccatori e nella folle confidenza abbandonarsi alla misericordia: «Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte per imparare a non riporre fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti» [47].

Non vi è altra via d’uscita se non abbandonarsi e gettarsi a corpo perduto nell’abisso della divina misericordia [48].

«Una figlia del Santissimo Sacramento dev’essere talmente povera da non nutrire neppure gli interessi della propria salvezza. Non dico che non debba lavorare incessantemente alla sua salvezza, ma ella non deve più appropriarsi del merito di alcuna buona azione. Dio ne è il padrone [...]. Mi si dirà: ‘Oh, ma allora sono ben miserabile. Come potrò riparare i peccati e le infedeltà che ho commessi contro Dio?’ Lasciate a lui la cura di tutto ciò che siete. Vi siete consacrate alla sua gloria per riparare per i peccatori [49]. Nostro Signore saprà ben ricompensare la vostra carità» [50].

Quando tutto è dato, allora, liberate da noi stesse, possiamo abbandonarci senza riserva e aspettare tutto dalla sua bontà, non avendo da noi la nostra giustizia, ma la giustizia di Dio [51]. Con le mani vuote, possiamo accogliere la misericordia. Dio non si lascerà vincere nell’amore.

Dimenticando i nostri interessi, cercando di vuotarci di noi stesse e di assumere gli interessi di Dio [52], della salvezza dei fratelli, permettiamo a Gesù di prendere il nostro posto [53] e cominciamo a vivere già quello che speriamo di vivere un giorno, spogliati dell’uomo vecchio [54] e trasformati nell’immagine del Figlio.

8. Nella vita quotidiana

Madre Mectilde ha saputo percepire la dimensione pasquale degli avvenimenti più ordinari e più prosaici, di tutte le difficoltà inseparabili dalla nostra vita terrena. Per tracciare nelle anime l’immagine del Figlio, Dio si serve del tran tran quotidiano. Madre Mectilde ne ha viva coscienza e si sforza di insegnare alle sue figlie a vivere di fede, ad essere

«tra le sue mani come una cera molle, per essere formata secondo la sua amabilissima volontà [...] Abituatevi a vedere in ogni occorrenza Dio e il suo beneplacito [...] siate come una statua nelle mani dello scultore, che si lascia scolpire come piace a lui. Dio è il divino artefice che lavora in voi e che vi deve rendere conforme al Figlio suo. Lasciatevi perciò spogliare all’interno e all’esterno, non riservandovi che un semplice e amoroso abbandono al beneplacito di Dio; e se non l’avete sensibile né amoroso, l’avrete crocifiggente e doloroso. Questo è buono e più santificante dell’altro» [55].

«E’ lo stato di una vittima scelta da Dio direttamente per la sua pura gloria e nella quale vuole compiacersi formandola secondo i suoi disegni, rendendola una esatta copia del Figlio, nostro divino originale, rispetto al quale dovete avere un perfetto rapporto, per quanto sia possibile alla miseria della creatura in questo mondo; ora, poiché a questa ineffabile bontà è piaciuto scegliervi e rendervi tutta di Gesù Cristo a questo scopo, voi siete obbligata a cedervi alla sua potenza e alle segrete operazioni del suo amore» [56].

Ella sa bene, nonostante le apparenze, che ci vuole del coraggio per «cedersi a Gesù». Non è oziosità né sibaritismo il «lasciar fare Dio»: è un’attività spirituale che richiede forza interiore e rinuncia a sé.

«Diciamo con facilità: ‘Vivete di fede e abbandonatevi interamente a Dio’, quando abbiamo qualche momento di speranza o ci pare di non essere affatto miserabili; ma abbandonarsi quando tutto è o sembra perduto, non si sa più dove poggiare i piedi e lo spirito è senza fiato, non vedendo più rimedio, questo atto è il più santo e il più divino che un cristiano possa fare: è credere non solo Dio, ma perdersi in lui e annientare la propria vita e tutta la propria persona nella verità del suo essere infinito, della sua santa parola, della sua santa Provvidenza e della sua santissima volontà: è perdersi per trovarlo» [57].

«Una cosa soltanto sarebbe necessaria: il semplice e totale abbandono di voi stessa, ma non è cosa da poco! Non la si possiede tutto d’un colpo, e neppure con diversi atti di sacrificio: bisogna continuare a praticarla fino alla consumazione» [58].

«O felicità infinita, quanto sei rara! Da che cosa dipende? Dal fatto che la creatura non sa cedersi nel santo abbandono di tutta se stessa a Dio, che non ha abbastanza fiducia nella sua bontà, né pazienza di attenderlo. Beato abbandono in cui l’anima è divinamente sostenuta! Dio è la sua vita, la sua forza e il suo sostegno senza che essa lo sappia, ma se l’inizio di questo stato è tenebroso, il seguito diventa tutto luminoso. Dio si dà all’anima e attirando quest’anima interamente a Sé, essa diventa una medesima cosa con lui; perciò ho ragione di dire che possiede una felicità infinita» [59].

Madre Mectilde insiste molto sul nostro sforzo, reale e costante, ma senza uscire dall’atteggiamento di fiducia che ci fa attendere tutto da Dio.

«...si trovano poche anime veramente abbandonate: parecchie si accontentano di pensieri e non gustano l’abbandono vero ed essenziale che ci fa passare a Dio e in Dio. O caro abbandono, quanto poco siete conosciuto, poco stimato e poco amato! Per questo non si giunge mai o raramente, in mancanza di una spogliazione totale, a godere la vera felicità di un’anima puramente abbandonata» [60].

«Dilatato corde» [61] possiamo gustare che il Signore è dolce [62] e «riposare in un dolce abbandono al suo beneplacito, diventando come un figlio della sua santa Provvidenza, senza cura e senza preoccupazione se non quella di una semplice adesione al suo amore.

Ecco ciò che Nostro Signore vuole da voi e dove troverete la perfetta pace del cuore e un santo distacco da tutto ciò che può turbarla » [63], conclude la Madre.

«Abbandoniamoci bene nelle mani di Nostro Signore, sorelle mie, per essere tutto ciò che egli vuole, per andare dove vuole, perché è una gioia immensa e ineffabile il consegnarsi così, in puro abbandono: Dio ci innalza, ci abbassa, ci porta, ci riporta, ci conduce ovunque gli piace, senza che l’anima esca dalla sua pace e dal suo riposo. Quando dico che Nostro Signore ci porta, ci riporta e ci sospinge dove gli piace, non intendo dire che l’anima esca dal suo posto, ma semplicemente che, essendo tutta abbandonata al suo beneplacito, Dio ci usa secondo i suoi adorabili voleri. Allora l’anima apprende che DIO E’ e qui si ferma, non perdendosi più a guardare né a riflettere su tutto quanto succede dentro o fuori di lei. Non facendoci neppure caso, rimane sempre in Dio» [64].

9. Perdersi... senza perdere il senso dell’umorismo

Per quanto sia esigente, madre Mectilde è piena di tenerezza per le sue figlie e non manca di humour, cosa che rende i suoi «capitoli» più «digeribili» alle destinatarie:

«Mia cara figliola, voi credete di trovare qualche appoggio in me, ma vi assicuro che io mi metterò dalla parte di nostro Signore: se egli vi toglie il velo, io vi toglierò il vestito. [...] Voi siete come una contadinella portata a corte: volendo farne una dama, le vengono tolti i suoi vecchi stracci e i suoi poveri cenci, Lei non lo può sopportare, non volendo affatto vesti più belle e più ricche [...] Dice: ‘Toglietemi questa roba, datemi i miei stracci, preferisco la mia libertà a tutte queste belle cose ‘. Ecco proprio il vostro ritratto. Quando Dio vi avrà spogliato, che cosa avete perduto? Egli vuole togliervi i vostri cenci, per rivestirvi di sé, e voi non volete, e voi gliel’impedite. [...]Un po’ di fede e di fiducia nella sua bontà farà meraviglie. Se foste tra le braccia del vostro padre terreno, direste: ‘Mio padre mi ama e non lascerà che mi succeda del male’. E Dio vi ama immensamente di più, senza confronti. Felice perdita! Se perdete voi stessa, Gesù Cristo vi riceverà. [...] Non vi basta l’onore e la grazia che Dio vi fa nell’associarvi al Figlio suo? So che questo volete con tutto il cuore. Perciò abbandonatevi tutta a lui: dimenticate voi stessa e vedrete che egli compirà l’opera sua. Io farò con lui per voi dei patti in termini così chiarì, che non ve ne potrete difendere» [65].

In un’altra occasione esclama:

«Oh! Se fossimo abbastanza folli da abbandonarci perfettamente, avremmo metà della strada fatta! » [66].

Entrando nella logica pasquale, secondo cui bisogna morire per vivere e perdersi per essere salvati, confessa:

«Non conosco rimedio migliore a tutti i nostri mali all’infuori dell’abbandonarsi e tuffarsi a capofitto, come quelli che si gettano in un fiume, per essere sommersi. Bisogna che il beneplacito di Dio ci sommerga e ci inghiotta e ci faccia perdere interamente in lui. Non gusteremo mai un vero riposo se non in questa perdita di noi stessi» [67].

Un giorno dà a una delle sue amiche questo consiglio sorprendente:

«Trascurate un po’ il vostro stato presente, le vostre ricerche e i vostri sentimenti e fate come una persona ridotta all’impotenza: dopo aver perso tutto, perde anche se stessa per una sorta di disperazione. Ecco una buona lezione che vi dò: disperatevi! Questo è scandaloso! E tuttavia, bisogna che io vi spinga a ciò: non a disperare della potente bontà e misericordia di Dio, ma della vostra capacità, sufficienza, dignità, ecc. In una parola: di voi stessa. Perdetevi, o per meglio dire, lasciatevi perdere [...]. Questa parola ‘perdere’ è dolorosa per una persona che ama essere e possedere. Ma una volta che si è perduta, scopre di aver fatto un felice scambio, perché questa perdita ci fa possedere Gesù Cristo in pienezza e in modo ineffabile [...]Non lasciatevi abbattere, tutte queste [...] piccole debolezze non vi separano da Dio: vi aiutano a perdervi» [68].

10. Maria

Infine, madre Mectilde ci mostra Maria, la più abbandonata delle creature, colei che con il suo «fiat» si è unita all’opera della Redenzione. Maria riparatrice «si annienta» confessandosi serva del Signore e si sottomette con tutto il cuore ai suoi disegni. Madre Mectilde ci incoraggia a seguire la nostra Abbadessa su questa strada di abbandono, facendo nostro il suo atteggiamento di fiducia e la sua risposta alla chiamata di Dio:

«Siate molto abbandonata a tutto ciò che la Previdenza permetterà [...] rimanendo piena di fiducia nel vostro intimo fondo. Vedete in tutte le circostanze la sollecitudine di Dio per voi e per ciò che vi riguarda.

Dimorate in LUI

ed EGLI dimorerà in voi.

Pensate a LUI

ed EGLI penserà per voi.

Dimenticatevi

ed EGLI si ricorderà di voi.

 

Siate interamente consegnata nelle sue mani divine.

 

Dite di buon cuore:

‘Ecce ancilla Domini, fìat mihi secundum verbum tuum’ [69].

 

Mio adorabilissimo Signore,

ecco la vostra serva e la vostra indegna schiava,

mi sia fatto secondo il vostro beneplacito.

Sono la vostra vittima.

consumatemi secondo i vostri disegni eterni.

 

Rimetto tutto il mio essere,

                                     il mio cuore

                                    la mia anima e

                                   il mio spirito

nelle vostre mani.

Tutto è vostro,

è giusto che ne disponiate come vi piacerà» [70].

 

Amen.

 



* Nostra traduzione dal francese della relazione tenuta al Seminario Metropolitano di Varsavia il 2003 in occasione dell’Assemblea Confederale delle Benedettine dell’adorazione perpetua del SS. Sacramento svoltasi dal 28 aprile al 4 maggio 2003. Ringraziamo vivamente sr. M. Blandina per averne consentito la pubblicazione. (La numerazione dei paragrafi è nostra, ndr)

[1] N. 2538, lettera a una postulante di Rambervillers, 27 settembre 1651.

[2] N. 2436, conversazione sull’abbandono e la rinuncia, marzo 1694.

[3] Rm 12,1.

[4] Orig. agies, dal verbo agir.

[5] N. 2483, lettera a una religiosa di Rambervillers, 1654.

[6] N. 2234, lettera a M. Gertrude di Saint Opportune, 28 agosto 1691.

[7] Cf. n. 1967, Conversazioni familiari, 10 aprile 1695.

[8] N. 3039, lettera a una religiosa di Rue Cassette.

[9] Cf. Col 3,5.

[10] Cf. Gv 1,18.

[11] N. 2463, colloquio sull’abbandono e la rinuncia, marzo 1694.

[12] N. 819, lettera a M. Maria di san Francesco di Paola.

[13] Lc 22,19.

[14] Gv 15,5.

[15] Cf. 1 Cor 12,27; Ef 5,30.

[16] N. 213, scritto, dicembre 1662.

[17] Ap 5,6.

[18] N. 3007, lettera a M. Dorothée Heurelle, 3 settembre 1659.

[19] N. 1536, lettera alla signorina Charbonnier, marzo 1665.

[20] N. 3100, lettera alla contessa di Rochefort, 28 giugno 1652.

[21] Gv 14,12.28; 16,28.

[22] Cf. Rm 8,17.

[23] Cf. 1 Cor 12,27; Ef 5,30.

[24] Cf. 2 Pt 1,4.

[25] Gv 1,12.

[26] Cf. Col 3,3

[27] Cf. Rm 6,11.

[28] N. 1524, scritto.

[29] N. 478, lettera alla Signorina Charbonnier, marzo 1665.

[30] N. 1388, lettera a una religiosa di rue Cassette.

[31] N. 819, lettera a M. Maria di San Francesco di Paola.

[32] N. 2558, lettera a M. Maria di San Francesco di Paola, 1655.

[33] N. 1359, lettera a M. Dorothée, 22 gennaio 1653.

[34] Cf. 1 Pt 2,21.

[35] Eb 10,9; Sal 40, 9, LXX.

[36] N. 1313, lettera a M. Bernardine, 23 maggio 1655.

[37] Mc 14,36.

[38] N. 1313, lettera a M. Bernardine, 23 maggio 1655. Tr. it. in Catherine Mectilde de Bar, Non date tregua a Dio. Lettere alle monache, ed. Jaca Book, Milano 1979, pp. 95-96.

[39] Cf. Gen 1,21.31.

[40] N. 918, lettera a una religiosa di Rouen, 27 febbraio 1678.

[41] N. 918, lettera a una religiosa di Rouen, 27 febbraio 1678.

[42] N. 774, lettera al signor de Roquelay.

[43] N. 1974, conversazione familiare, 13 ottobre 1697.

[44] N. 1491, lettera alla comunità di Nancy, 4 dicembre 1669.

[45] N. 968, lettera a Madre Bernardine, 2 giugno 1665.

[46] N. 679, lettera a una religiosa di rue Cassette.

[47] 2 Cor 1,9.

[48] N. 1856, alla contessa di Châteauvieux.

[49] N. 2614, conferenza per il giorno di sant’Orsola.

[50] N. 1050, conferenza sulla festa della Presentazione della Santissima Vergine, 20 novembre 1663.

[51] Cf. Fil, 3,9.

[52] «Ora, quali sono i suoi interessi? Il suo regno, il suo amore nelle anime» (n. 1214, conversazione familiare del 12 aprile 1694).

[53] N. 1736, primo capitolo a Rouen, 12 novembre 1677.

[54] Cf. Col 3,9; Ef 4,22.

[55] N. 145, lettera a M. San Francesco di Paola, gennaio 1666. Tr. it. in Non date tregua a Dio, cit., p. 106.

[56] N. 2725, lettera a una religiosa di rue Cassette.

[57] N. 2824, lettera alla Contessa di Rochefort.

[58] N. 2438, lettera a una religiosa di Montmartre, 18 marzo 1695.

[59] N. 1910, lettera alla Duchessa di Orléans.

[60] N. 346, scritto sulla preghiera.

[61] RB Prol.

[62] Cf. Sal 34,9.

[63] N. 836, lettera alla Duchessa di Orléans.

[64] N. 1951, conversazione familiare, 24 febbraio 1694. Tr. it. (con qualche lieve differenza, rispetto a quella utilizzata qui), in Madre Mechtilde del SS. Sacramento, Colloqui familiari. Alatri 1987 (pro manuscripto), p. 22.

[65] N. 3025, lettera a una religiosa di Toul. Tr. it. in Non date tregua a Dio, cit., p. 227s.

[66] N. 3092, lettera alla contessa di Rochefort.

[67] N. 1626, lettera a una persona amica.

[68] N. 3068, lettera alla contessa di Rochefort, 3 maggio 1654.

[69] Lc 1,38.

[70] N. 2706, lettera alla contessa di Châteauvieux.