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Deus absconditus, anno 98, n. 4, Ottobre-Dicembre 2007, pp. 24-40

 

Daniel-Odon Hurel

 

Madre Mectilde de Bar e il cerimoniale delle benedettine dell’adorazione perpetua
del SS. Sacramento nel XVII e XVIII secolo

 

 

 

 

Opera liturgica e insieme normativa, il cerimoniale, in particolare nell’ambiente monastico femminile, sembra un documento più difficile da cogliere rispetto a quanto avviene nel mondo maschile. Il caso di quello o quelli delle benedettine del Santissimo Sacramento consente di affrontare alcune domande essenziali quanto alla forma e al contenuto dell’opera stessa: l’esistenza o meno di un cerimoniale originale manoscritto o a stampa, l’influenza, o l’utilizzo di altri testi preesistenti o contemporanei, ma anche la definizione del cerimoniale nel mondo monastico femminile. Bisogna quindi anzitutto occuparsi della questione globale di questi cerimoniali monastici femminili dell’epoca moderna, essenzialmente benedettini e cistercensi, fornirne le caratteristiche principali prima di occuparsi del caso delle benedettine del Santissimo sacramento. Riguardo a queste ultime, il corpus, essenzialmente manoscritto, comprende circa una decina di testi che si situano tra il 1660 e il XIX secolo. L’analisi comparata di questi diversi cerimoniali permetterà di misurare le trasformazioni del cerimoniale. Infine bisognerà porsi la questione delle fonti del cerimoniale delle benedettine del Santissimo Sacramento.

 

1. Le monache benedettine e cistercensi e il cerimoniale

 

La stessa ricerca delle opere classificabili nella categoria dei cerimoniali consente di porre la domanda della definizione del cerimoniale per il mondo monastico femminile di eredità medievale. Infatti, a differenza del mondo benedettino maschile, più ancora riformato, il cerimoniale monastico femminile sembra conoscere due grandi tipologie: un cerimoniale “puro”, ossia non comprendete le rubriche e le modalità di svolgimento delle cerimonie liturgiche e paraliturgiche, e un “cerimoniale ritualizzato”, comprendente i dati del primo e, per alcune cerimonie precise, i testi e i canti con notazione o senza. Si tratta di due modelli sviluppatisi parallelamente? Quali sono gli eventuali indizi che porterebbero a pensare che questo o quello dei due tipi sarebbe il segno di una “modernità” liturgica? Queste due domande rinviano anche all’ambiguità del cerimoniale femminile: un libro per le suore con le prescrizioni rituali specifiche ma rivolto anche, per alcune cerimonie come le vestizioni, le professioni, i funerali ed alcune cerimonie locali ai ministri dell’altare che servono in monastero.

 

 

A: Faccia a faccia coi testi

 

Per questo motivo, conviene allargare momentaneamente la ricerca all’insieme dei libri liturgici classificati sotto la denominazione di rituali con il repertorio riguardante non solo le monache ma anche l’insieme delle congregazioni femminili menzionate per il periodo moderno. Tra i rituali recensiti dagli autori, ne sono reperibili poco meno di centotrenta. Un approccio quantitativo della cronologia di tali pubblicazioni e dei titoli è necessario.

 

 

 

 

1

2

3

4

5

6

7

Totale

- 1600

 

 

 

 

1

3

 

4

1601-1620

3

1

 

 

1

1

 

6

1621-1640

9

8

1

1

4

2

3

28 (21,7)

1641-1660

5

12

1

1

2

2

 

23 (17,8%)

1661-1680

1

10

4

1

1

2

2

21 (16,2%)

1681-1700

1

15

1

1

 

 

 

18 (14%)

1701-1720

1

4

1

 

 

 

1

7 (5,4%)

1721-1740

 

5

 

3

1

 

1

10 (7,7%)

1741-1760

 

3

 

 

2

1

 

6

1761-1780

2

2

 

 

 

 

1

5

1781 -

 

 

 

 

1

 

 

1

Totale

22 (17%)

60 (46,5%)

8 (6,2%)

7 (5,4%)

13 (10%)

11 (8,5%)

8 (6,2%)

129

Tavola 1 : ripartizione cronologica dei titoli : 1 : La forma e la maniera…, Il modo …, La maniera…. 2 : Cerimoniale…. 3 : Rituale…. 4 : Rituale o Cerimoniale…. 5 : Cerimonie…, Ordine delle cerimonie…, Preghiere e cerimonie …, 6 : vari (La Regola e…, Metodo…, Ordine…, Formulario…). 7 : Manuale….

 

 

Si impongono alcune constatazioni. Anzitutto, la pubblicazione dei cerimoniali e dei rituali entro il quadro della cronologia della riforma cattolica:  introduzione delle carmelitane scalze in Francia (1604), riforme francescane (cappuccine nel 1606, clarisse…), riforme benedettine di alcuni monasteri (Montivilliers, Montmartre…), creazione di congregazioni sia nel quadro dello stesso monachesimo di matrice benedettina e cistercense (Congregazione del Calvario nel 1618 e di San Bernardo verso il 1625, istituto dell’adorazione perpetua del SS. Sacramento nel 1653) sia, più in generale, nel quadro della diffusione delle pratiche religiose nuove (Visitazione, orsoline, ospedaliere e insegnanti). Nel contesto di un simile dinamismo, l’elaborazione di un cerimoniale risponde a un bisogno urgente, quello di fornire alle religiose e alle monache gli strumenti per compiere degnamente i principali atti corrispondenti al loro stato. I parroci avevano, da parte loro, i testi della liturgia romana per le cose essenziali: era quindi necessaria alle religiose non solo una guida per le funzioni del coro loro proprie, ma anche le modalità e i testi dei principali avvenimenti che ritmano la loro vita: la vestizione, la professione, l’accompagnamento delle malate, i funerali e le particolarità devozionali e liturgiche proprie della famiglia di appartenenza.

Questa duplice riflessione consente probabilmente di spiegare la diversità e l’originalità dei «cerimoniali» femminili rispetto a quelli dei benedettini e cistercensi. Prima differenza notevole: la lingua impiegata. L’insieme di queste opere è in francese, e lascia al latino i soli testi liturgici nella parte rituale delle azioni. Si tratta di una preoccupazione di efficacia che si collega ai due aspetti che seguono : la tipologia dei contenuti e la diversità dei titoli. Globalmente, tre o quattro titoli emergono su tutto il periodo: Cerimoniale (46,5%), a notevole distanza dal 17% di opere che hanno come titolo La forma e la maniera, Il modo di procedere…, La maniera di… e il 10% di testi intitolati Cerimonie. Parallelamente, conviene ricordare l’ 11,6% di Rituale o Cerimoniale, due titoli che ci ricordano i legami che uniscono queste due opere, legami su cui ritorneremo.

Se il nostro approccio è quantitativo, esso deve essere anche cronologico, rivelando così una certa evoluzione. La cerniera pare situarsi negli anni 1660, segnando così l’interdipendenza tra la pubblicazione dei libri liturgici e normativi e la fioritura della riforma monastica e la creazione delle congregazioni femminili che si moltiplicano negli ultimi decenni del secolo. Infatti, se il 40% dei “cerimoniali” viene pubblicato tra il 1520 (Fontevraud) e il 1660 con una forte accelerazione a partire dagli anni intorno al 1630, gli ultimi quarant’anni del XVII secolo vedono l’apparire del 30% dei testi tra cui i più importanti come quello di Montmartre nel 1669. Quanto al XVIII secolo, si tratta più spesso di riedizioni, eccetto il caso delle congregazioni particolarmente recenti.

Se ci si dedica alla ripartizione dei titoli, la stessa data del 1660 appare significativa. Più ci si addentra nel XVII secolo, meno si fa sentire la diversità dei titoli. Tra i titoli più diffusi prima del 1660 figurano La forma e la maniera (e altre varianti) con 17 dei 22 esempi recensiti ma anche 8 delle 13 opere intitolate Cerimonie e l’essenziale della serie di opere il cui titolo comincia con La Regola, Metodo, Ordine per ed altri titoli più fantasiosi (L’Iris espanouie, “cerimoniale” delle clarisse, pubblicato nel 1624) [1]. A partire dagli anni 1660, si impone il Cerimoniale, a cui si può aggiungere qualche Rituale o Cerimoniale, qualunque sia la famiglia religiosa.

Vi sono, beninteso, alcune eccezioni come il Manuale dei diversi uffici divini delle carmelitane scalze che conosce diverse edizioni dal 1622 al 1780 [2]. I titoli dei “cerimoniali” delle clarisse, delle carmelitane scalze ma anche delle cappuccine sembrano rivelare una certa reticenza riguardo alla “modernità” rappresentata dal titolo di “cerimoniale”, e differenziano nettamente queste famiglie religiose dalle nuove congregazioni che adottano generalmente il termine “cerimoniale”.

In questo contesto, dietro questa uniformazione del titolo, si può considerare una trasformazione del contenuto? Si possono fornire qui alcune piste di riflessione nella misura in cui solo alcuni testi possono essere consultati. Tuttavia gli elementi forniti dal Répertoire consentono in parte di rispondere a questa domanda. Prima del 1660, come del resto dopo tale data, il “cerimoniale-rituale” riguarda essenzialmente le cerimonie di vestizione e professione (pubblicate sempre insieme) e in maniera abbastanza generale quelle riguardanti la fine della vita e le esequie (a volte pubblicate a parte). In definitiva, qualunque sia il titolo – Cérémonial, Cérémonies, Rituel ou Rituel ou Cérémonial – e per tutto il periodo, il libro si concentra attorno a questi tre tempi forti della vita monastica, includendo talora delle particolarità liturgiche proprie di questa o quella famiglia. La presenza di un cerimoniale completo legato  a questa trilogia riguarda essenzialmente le opere intitolate “Cerimoniale” ; quanto al cerimoniale isolato da ogni rituale, è relativamente raro. Si tratta, con l’impiego della lingua locale, della differenza più evidente tra il mondo delle religiose e quello dei religiosi, laddove questi ultimi (particolarmente in ambiente benedettino) in genere separano il cerimoniale dell’ufficio divino (sul modello del cerimoniale dei vescovi) dal rituale che contiene vestizione, professione e morte. L’analisi comparata dei contenuti di alcuni cerimoniali monastici femminili consente di confermare tale ipotesi.

 

 

B : Alcuni cerimoniali femminili benedettini e cistercensi

 

Alcuni “cerimoniali” femminili benedettini e cistercensi degli anni 1580-1540 permettono di confermare i caratteri sopra citati. Nel numero di una quindicina, essi coprono il periodo che va dalla fine del XVI al XIX secolo e provengono contemporaneamente da monasteri antichi e da congregazioni e istituzioni fondate nel XVII secolo. L’insieme di questi testi è in vernacolo. Anche il libro delle cerimonie del monastero e collegio delle cistercensi di Santa Susanna a Roma (1588), pur pubblicato in latino, utilizza la lingua italiana per alcuni elementi molto precisi. Certo, il rituale dell’accoglienza, della vestizione e della professione delle sorelle ma anche della benedizione delle vergini e delle vedove, come pure il rituale dei funerali sono essenzialmente in latino. Di contro, l’uso dell’italiano è chiaramente affermato per lo svolgimento dell’elezione della abbadessa e per “l’interrogatorio” condotto nel quadro dell’accompagnamento della morente, due elementi lasciati quasi esclusivamente alla sorelle e che non sono propriamente momenti liturgici. Anche il testo stesso vi fa allusione quando afferma, nel quadro de l’ Ordo servandus in electione Abbatissae: “Cum hic agatur de electione fienda per Moniales nostri Monasterii, quae ut plurimum linguam latinam non recte intelligunt, ideo vulgari sermone prosequemur” [3].  Gli altri testi forniscono le formule liturgiche e i canti in latino ma descrivono il susseguirsi delle cerimonie propriamente dette in francese. Questa attenzione all’utilizzo della lingua e alla suddivisione tra latino e francese è da mettere in relazione con la questione dell’utilizzo di questi testi per le monache. La presenza o l’aggiunta di canti con notazione stampati ma anche manoscritti, contribuiscono a fare di questo libro un elemento centrale del dispositivo liturgico a servizio di una uniformazione della vita conventuale. È il caso del cerimoniale di Montivilliers (1626) e di quello delle benedettine di Beaumont-les-Tours (1694) per ciò che riguarda la vestizione, la professione e i funerali. È anche, a partire dal 1638, il caso di quello delle benedettine di San Giuseppe di Châlons-sur-Marne che fornisce, con la notazione musicale, anche le litanie della Vergine e di san Giuseppe, diverse antifone, più di una decina di inni ma anche il responsorio della Settimana Santa. Può essere che la presenza di pezzi musicali in un’opera che non è tanto comune in coro quanto i libri strettamente liturgici, rafforzi la volontà di imporre un modello musicale e liturgico monastico a tutte le sorelle, allo stesso titolo delle costituzioni, sotto il controllo delle superiore e della maestra delle cerimonie ? 

Il “Coutumier” delle benedettine di Notre Dame de la Déserte di Lione è in questo senso caratteristico dell’ambiguità del cerimoniale, libro liturgico e al contempo libro normativo. Pubblicato verso il 1640, contiene dapprima un “libro degli usi” tradizionale che raduna l’insieme dei regolamenti dei diversi uffici della comunità (visite, capitolo, ritiro, ordine del noviziato, infermeria, parlatorio, refettorio, cucina, elezioni, pensionanti…). Il tutto è seguito, con una numerazione continua, dal “Direttorio particolare delle ufficiali” del monastero, ossia la priora, la maestra di coro (la quale altro non è che la cerimoniera nella maggior parte dei cerimoniali), la maestra delle novizie, le cantore e la sacrestana ma anche i compiti non liturgici come la segretaria, la depositaria, la portinaia… Una lettera del cardinale arcivescovo di Lione, datata 11 dicembre 1640 giustifica la necessità si un simile testo :

 

Per conservare la pace tra voi, l’uniformità e la buona intelligenza, è necessario che non soltanto abbiate una Regola e delle costituzioni, ma anche un Direttorio e Libro degli Usi, affinché tutto si faccia sempre nella stessa maniera, senza turbamento né fretta [4].

 

Dopo questo primo esempio, viene aggiunto il “cerimoniale per l’ufficio divino e il funerale delle religiose” con una nuova numerazione delle pagine, il che consente di ritenere che fossero possibili edizioni separate. Il contenuto di questo cerimoniale mette in risalto le prescrizioni necessarie al buon andamento del coro (canto, entrata, uscita, inchini, processioni, segni di croce, comunione), le caratteristiche specifiche del calendario locale e delle grandi feste e tempi dell’anno. Tra queste prescrizioni, quella riguardante l’uso del breviario non è affatto rara in altri cerimoniali:

 

Le religiose, mettendosi in ginocchio all’inizio dell’Ufficio, metteranno i Breviari sur leurs formes ou places. Al primo sicut erat, lo prenderanno per tutto il tempo dell’ufficio, secondo quanto ordina la Chiesa, per evitare gli sbagli che si potrebbero commettere. Saranno attente a prenderlo e posarlo così impercettibilmente da non alterare l’uniformità, e dopo l’ufficio, lo riporranno nel luogo deputato a conservarli [5].

 

Questa “prima parte” termina su una serie di preghiere di devozione. Segue una «seconda parte» con una diversa numerazione delle pagine, consacrata alla trilogia: vestizione, professione e preparazione alla morte; seconda parte che termina con la domanda del ricevimento del visitatore e della Regina, due elementi che ritroveremo più in generale tra le cerimonie straordinarie o relegati alla fine del cerimoniale nella seconda metà del XVII secolo.

Gli anni 1650-1660 costituiscono qui, come per l’insieme dei “cerimoniali” femminili un punto di svolta. Tra la quindicina di testi presi in considerazione, nove hanno come titolo “cerimoniale”, 3, prima del 1640, utilizzano dal titolo la parola “cerimonie”, uno solo si chiama “libro degli usi” mentre tre rimangono fedeli a “Rituale” (Montargis, Val de Grâce e Cîteaux). Tra i fattori di unificazione dei titoli e dei contenuti e l’unione tra cerimoniale femminile e cerimoniale maschile nel mondo benedettino, non vi è forse l’influenza dell’ambiente religioso dei monasteri e delle congregazioni femminili? Le prefazioni di alcuni dei testi in questione appaiono rivelatrici del fatto che si tratti dei benedettini della Congregazione di Saint-Vanne per Saint-Joseph de Chalons, di Padre Joseph de Paris per le benedettine del Calvario o del fogliante Pierre de Sainte-Catherine per Montmartre e, per estensione, per numerosi monasteri che presero come modello il cerimoniale di Montmartre del 1669 come Catherine de Bar, fondatrice delle benedettine del SS. Sacramento, anch’essa fortemente influenzata dai maurini.

 

Primo caso è quello di un monastero recente, Saint-Joseph de Châlons, priorato benedettino fondato nel 1614 dall’abbadessa d’Avenay, sorella di Maria de Beauvilliers e abbadessa di Montmartre, Francesca de Beauvilliers. Questo priorato ottenne l’indipendenza nel 1627 mentre, a partire dal 1614, i monaci della congregazione di Saint-Vanne erano stati designati come visitatori. Dom Philippe François che ebbe un ruolo essenziale nell’inquadramento monastico benedettino femminile di quella regione e sembra aver soggiornato in quel monastero come pure a Juvigny o Avenay.[6] La redazione del cerimoniale sopraggiunge qualche anno dopo l’indipendenza acquisita dal priorato e la pubblicazione delle costituzioni proprie [7]. La lettera al lettore redatta dall’editore, Simon Belgrand e posta all’inizio del secondo volume di questo Manuale delle cerimonie, mette in evidenza sia l’esigenza di uniformità delle cerimonie che caratterizza il monachesimo benedettino femminile e che ha per conseguenza, agli occhi dell’editore, il moltiplicarsi dei libri di coro, sia il ruolo particolare dei benedettini nella redazione di questo tipo di opere:

 

Avendomi chiesto in molti qualche bel Cerimoniale o lavoro, sia per la vestizione che per la professione delle Religiose, sia per amministrare loro i santi sacramenti quando sono malate, per aiutarle a ben morire e rendere loro gli ultimi doveri di pietà e religione dopo la morte, ho creduto di non poter far di meglio che rivolgermi alle religiose del Monastero di S. Joseph de Chaalons del detto Ordine, le quali si sono preoccupate molto sin dalla fondazione di farsene redigere uno dai più dotti e versati in questa materia, e particolarmente dai Padri del loro Ordine. Mi sono convinto che le eminenti virtù di quelle buone figliole e la loro instancabile attenzione per l’esatta e la stretta osservanza della loro santa regola, darà modo a tante sante Signore Abbadesse e Religiose dello stesso Ordine, di servirsi anch’esse di questo mio lavoro, poiché è certo che non vi è nulla che abbia reso tanto raccomandabili gli Ordini e le Congregazioni di S. Benedetto più dell’uniformità al Coro e alle altre Cerimonie della Chiesa, e che è molto ragionevole che avendo tutte una stessa regola, uno stesso Breviario e modo di salmodiare, e facendo tutte una stessa professione, abbiano anche le stesse Cerimonie, assodato che non vi è nulla di più efficace per conservare la pietà e devozione delle Case Religiose che l’uniformità in tutto, specialmente in ciò che abbiamo detto [8].

 

 

Gli autori delle approvazioni sono, oltre al vescovo, due vannisti, dom Jean Placide, priore di Saint-Pierre de Châlons, abbazia riformata da Saint-Vanne nel 1627, Visitatore del monastero, e dom Laurent Maioret, priore di Saint-Arnoult de Metz [9]. Certo, insistendo sull’uniformità delle cerimonie nel monachesimo benedettino femminile, l’editore cerca di vendere la sua edizione molto al di là dei pochi esemplari necessari alla comunità di Saint-Joseph. Tuttavia questo argomento risponde anche ad una necessità nella Francia monastica femminile degli anni 1620-1670: il libro liturgico, se è indispensabile, costa caro, soprattutto per comunità isolate, ossia non riunite in congregazione, cioè le più numerose. Messale e breviario monastico sono sufficienti a tutte le comunità con qualche adattamento locale o particolare. Perchè dunque non pensare, seguendo lo stesso ragionamento, ad un cerimoniale o ad una raccolta di tutte le cerimonie (metodi generali e rituali di vestizione, professione e morte) ?

Il caso delle benedettine del Calvario offre una prima risposta che appare a prima vista negativa. Questo cerimoniale completo (ufficio divino in generale e «rituale» per la vestizione, la professione e la fine della vita), pubblicato nel 1634 poi rieditato con alcune modifiche nel 1661, intende rispondere anzitutto ad un’esigenza: fissare in modo immutabile le cerimonie per un insieme di monasteri precisi, quelli della congregazione delle benedettine del Calvario, fondato essenzialmente da Padre Joseph, un po’ a immagine del centralismo maschile maurino. Le approvazioni del 1660 come la prefazione di Padre Joseph del 1634, vero commento spirituale e teologico della nozione di “cerimonie”, si rivolgono solo alle figlie di Antonietta di Orléans e non considerano alcuna apertura verso un possibile utilizzo da parte di altri monasteri di un’opera che, come le costituzioni di una famiglia centralizzata, non può essere estesa a monasteri esterni all’insieme considerato.

Altra risposta ma anche altro ambiente, il cerimoniale di Montmartre, pubblicato nel 1669 dal fogliante Pierre de Sainte-Catherine. Una stessa regola, quella di san Benedetto, ma cerimonie percepite come diverse: ecco quello che giustifica la pubblicazione di un cerimoniale “ufficiale”. Si ritrova a Montmartre un ragionamento molto simile a quello sviluppato all’inizio del “cerimoniale” di Saint-Joseph de Châlons, ma insieme ad un’ambizione legittima riguardo all’influenza dell’abbazia parigina nella Francia benedettina dei primi decenni del XVII secolo. Come vedremo nel caso delle benedettine del SS. Sacramento, il cerimoniale di Montmartre offre il modello di equilibrio tra uniformazione liturgica post tridentina e specificità locali provenienti da una tradizione e una storia plurisecolari.

 

2. Madre Mectilde e la questione del cerimoniale

 

A: faccia a faccia coi testi

 

Senza distinzione di supporto (manoscritti o stampati), disponiamo, a margine delle costituzioni pubblicate nel 1675, almeno i seguenti cerimoniali:

 

* 1668 : Cérémonial des Religieuses bénédictines de l’Institut de l’Adoration perpétuelle du Très Saint Sacrement, 1° parte, Paris, Ballard, 88 pagine: contiene la «cérémonie de la vesture des religieuses bénédictines de l’Institut de l’Adoration perpétuelle du Très-Saint Sacrement» seguita dalla «cérémonie de la profession des religieuses bénédictines de l’Institut de l’Adoration perpétuelle du Très-Saint Sacrement». Si tratta di un rituale tradizionale, nella misura in cui questa piccola opera contiene non solo le rubriche ma soprattutto l’insieme dei testi e dei canti destinati a questi avvenimenti essenziali della vita monastica. Possediamo almeno una copia manoscritta di questo primo “cerimoniale”, probabilmente della fine del XVII secolo. E’ conservato nel monastero scozzese di Largs (H-01-031) e contiene un ex libris: “libro ad uso di sr. dell’Incarnazione”.

 

* verso il 1690 e probabilmente prima della morte di madre Mectilde (1698): due manoscritti (conservati negli archivi di Rouen), vicinissimi l’uno all’altro; uno di essi è intitolato cerimoniale delle Religiose benedettine del Santissimo Sacramento del monastero di Dreux.

- 1° parte : dell’ufficio divino (liturgia delle ore e messe).

- 2° parte: feste mobili, avvento e quaresima e santorale, comune dei santi.

- 3° parte: campane, classi di feste, osservanza della quaresima, orazione, confessione, comunione, predicazione, organi, benedizione dell’acqua e processioni.

- 4° parte: “cerimonie straordinarie”.

 

* fine del XVII secolo o inizi XVIII : Cerimoniale delle Religiose benedettine del santissimo Sacramento. Manoscritto che si presenta sotto forma di libretti, non rilegato, di formato piuttosto ridotto, conservato negli archivi di Largs (H-01-059).

- 1° parte: senza titolo ma corrispondente all’ufficio divino in generale (ore, messe…)

- 2° parte: feste dell’anno (feste mobili e santorale, inclusi avvento e quaresima)

- 3° parte: suono delle campane, distinzione delle solennità e delle classi di feste, confessione, comunione, predicazione organo, benedizione dell’acqua, processioni.

- 4° parte: più o meno ciò che riguarda le cerimonie straordinarie nell’edizione del XIX secolo.

 

* verso il 1710 : Cerimoniale delle Religiose benedettine dell’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento dell’altare. Manoscritto P 36 degli archivi del monastero di Rouen. Testo proveniente dal monastero di Parigi sulla cui rilegatura è stata aggiunta, probabilmente nel XX secolo, la data del 1668 ma che, in effetti, menziona elementi databili al 1671, 1709 e che parla di Madre Mectilde (morta nel 1698) al passato almeno una volta. E’ quindi posteriore al 1710.

- Libro primo : 1. L’ordine del coro. 2. Le parti dell’Ufficio divino. 3. Cerimonie particolari.

- Libro secondo: 1. L’ordine delle feste e ciò che conviene loro. 2. Le feste mobili.  3. Le feste dei santi.

 

* XVIII secolo (o fine del XVII): Il cerimoniale delle religiose benedettine dell’Adorazione perpetua del Santissimo sacramento dell’Altare, manoscritto dalla impaginazione molto curata e chiara, formato in ottavi. Sono stati aggiunti due elementi: una menzione manoscritta del fatto che nella diocesi di Rouen si celebra la dedicazione di tutte le chiese nella prima domenica di ottobre; un’altra menzione dell’epoca, sulla pagina interna di copertina: “questo cerimoniale non si osserva, avendone trovati parecchi altri”. Non è tutto, perché con questo cerimoniale è stata rilegata la seconda parte di un rituale stampato ad uso delle monache, riguardante le malate, l’estrema unzione, l’accompagnamento dell’agonia, la sepoltura, con righi musicali a 5 righe, in bianco, al di sopra dei testi cantati. Si tratta del rituale delle benedettine di Nostra Signora degli Angeli di Montargis.

 

Struttura di questo cerimoniale :

- 1a parte : le cerimonie in generale

- 2a parte : le cerimonie che si osservano in alcuni periodi e feste dell’anno.

 

* XIX secolo :  Cerimoniale delle Religiose Benedettine dell’Adorazione perpetua del Santissimo Sacramento dell’Altare. Manoscritto probabilmente del XIX secolo, la cui prefazione offre alcune varianti rispetto al precedente (manoscritto conservato al monastero di Largs con la menzione di varianti tratte da altri manoscritti del medesimo tipo). Questo fu verosimilmente uno degli esemplari all’origine del lavoro preparatorio alla pubblicazione del cerimoniale del 1840.

- 1° parte: le cerimonie in generale.

- 2° parte: riguardante le cerimonie che si osservano in alcuni periodi e feste dell’anno: nessun calendario preciso ma solo le specificità che si osservano in alcuni casi (incensazione, arredi d’altare, libri, canti).

- aggiunta di diverse orazioni, preghiere e regolamenti redatti dalla fondatrice riguardanti la ricreazione, il coro, la maestra delle cerimonie e le cantore. Si può ritenere che questi regolamenti ebbero un ruolo importante nell’elaborazione e la diffusione di una sorta di cerimoniale parziale.

 

* 1840 : Cerimoniale delle Benedettine del Santissimo Sacramento della V.M. Mectilde del Santissimo Sacramento, istitutrice dell’Adorazione perpetua, Lille, L. Lefort 1840, 572 p. Opera estremamente dettagliata, poiché si passa da 4 a 9 parti, affermando al contempo che si tratta dell’opera della fondatrice.

- 1° parte: uffici divini e doveri delle principali funzioni in coro

- 2° parte: tutto ciò che riguarda la messa e la funzione di maestra delle cerimonie

- 3° parte: “Obblighi essenziali dell’Istituto”: adorazione e riparazione, ufficio del Santissimo Sacramento, esposizione del Santissimo Sacramento

- 4° parte: osservanze regolari: disciplina, orazione mentale, capitolo delle colpe, confessione e comunione, lavoro manuale, refettorio

- 5° parte: campane

- 6° parte: feste mobili e uffici propri del tempo

- 7 parte: feste dei santi

- 8° parte: comuni (santi e dedicazioni)

- 9° parte: cerimonie straordinarie

 

B: Il cerimoniale tra il 1660 e il 1840.

 

I sette cerimoniali manoscritti consultati sono abbastanza simili gli uni agli altri. La loro presentazione, molto spesso di formato del tipo stampato in octavo, è curata in maniera molto ineguale, ponendo così la questione del vero utilizzo del documento. Ciononostante, la maggior parte di essi presenta una tavola di parti e di capitoli, ma pochi hanno una vera suddivisione in paragrafi. Qualunque sia il numero delle parti o dei libri, il cerimoniale delle benedettine comincia sempre con le diverse cerimonie generali o particolari, trattando dell’Ufficio divino, la messa, l’organizzazione del coro…mettendo in un secondo tempo quello che riguarda il ciclo del tempo e il santorale. Questa disposizione è la più diffusa e costituisce probabilmente un elemento di una definizione di cerimoniale sia nel XVII che nel XIX secolo.

Due esemplari presentano un cerimoniale in due parti. In questo caso, la prima parte è consacrata all’insieme delle cerimonie, ivi comprese la confessione, la comunione, l’assistere alla predicazione, la benedizione dell’acqua, le cerimonie particolari… La seconda parte tratta essenzialmente dell’anno liturgico, l’ordine delle feste, feste mobili, santorale e calendario. Ricalca un poco il piano del cerimoniale del 1634 delle benedettine del Calvario.

Più in generale, il seguente schema si impone alla fine del XVII secolo: una prima parte presenta l’insieme delle cerimonie in coro, l’ufficio divino, la messa, ma anche gli inchini, le campane, il portare l’abito corale… Una seconda parte è dedicata sia al ciclo del tempo che al santorale seguendo l’ordine dei mesi, insistendo sulle specificità di alcune feste proprie dell’Istituto. La terza riunisce le diverse osservanze, dal refettorio alla quaresima, passando attraverso l’illuminazione, le campane, le benedizione dell’acqua, la confessione, la comunione, l’orazione mentale… Infine, la quarta riunisce il cerimoniale delle cerimonie particolari, quelle che vengono definite, nel cerimoniale stampato nel 1840, le cerimonie straordinarie. Questo schema è molto vicino a quello dei maurini del 1645, anche se la specificità femminile impone evidenti differenze. Si avvicina molto anche a quello di Montmartre del 1669, il quale è molto più completo e dettagliato, isolando l’ufficio divino dalla messa e dividendo l’anno liturgico in tre parti. Uno dei manoscritti delle benedettine, sempre del XVIII secolo, presenta la stessa separazione tra ufficio divino (con la descrizione delle ore e il dovere delle ufficiali in coro) e messa, relegata in una seconda parte nella quale si trovano anche tutte le osservanze regolari (campane, refettorio..). Vi è dunque una autentica evoluzione che sfocia, nel XIX secolo, in una volontà di chiarificare, di dettagliare e di specificare i caratteri propri dell’Istituto. Da qui le nove parti: l’Ufficio divino e i doveri in coro, la messa, le specificità dell’Istituto (riguardo al SS. Sacramento), le osservanze regolari, le feste mobili, il santorale, gli uffici comuni  e le cerimonie straordinarie.

La semplice comparazione tra questi diversi esemplari consente di ipotizzare il seguente processo: l’eventuale utilizzo di un cerimoniale monastico femminile esteriore come fonte di un primo cerimoniale, la pubblicazione rapida di un rituale di vestizione e professione, resosi necessari per fissare il quadro liturgico e le caratteristiche specifiche dell’ingresso e dell’appartenenza a una nuova famiglia religiosa, l’adattamento ai nuovi monasteri di questo cerimoniale-modello, prima della pubblicazione di un cerimoniale molto dettagliato nel XIX secolo, nel quadro di una restaurazione rapida e di una nuova diffusione nazionale e internazionale della congregazione.

 

 

3. Il modello e le fonti del cerimoniale

 

Tutte le domande legate al cerimoniale, alla sua costituzione, alla sua importanza e ai suoi adattamenti trovano alcuni elementi di risposta nell’esame delle fonti allegate. Ecco alcuni esempi che non hanno nulla di esaustivo. Si tratta in primo luogo di un passaggio del “registro contenente la fondazione di questo monastero di Leopoli” a Lwow nella Polonia ucraina verso il 1710, secondo monastero dopo la fondazione di quello di Varsavia: una religiosa che arriva nel nuovo monastero porta le “bolle dell’istituto che esse non avevano” (le fanno copiare dal notaio apostolico) ma anche alcune “carte da copiare che fecero loro piacere”:

 

“e siccome desidereremmo molto avere uno stesso cerimoniale, e dato che le ho viste nella disposizione di prendere il nostro [quello della fondazione di Varsavia] essendo quello che era stato fatto per ordine della nostra degna Madre Istitutrice, al quale aveva dato la sua approvazione, l’avevo portato a questo scopo e le ho aiutate a copiarlo prima della nostra partenza. Abbiamo lavorato a sistemare il calendario per noi e per le nostre madri di questa casa, lavoro per il quale ci hanno aiutate i Reverendi Padri camaldolesi, che hanno il nostro stesso breviario.

 

Il cerimoniale non è la sola guida all’epoca della fondazione di una casa, soprattutto se questa è lontana dalla Francia. Sempre in Polonia, al momento della fondazione del monastero di Varsavia, negli anni 1687-1689, le monache si portano dei libri di coro e delle costituzioni[10]. Alcuni anni dopo, madre Mectilde promette di mandare tutti i regolamenti di “tutti gli uffici e impieghi della Religione...Speravo di poterlo far stampare” [11]. Deve in questo modo rispondere a una richiesta proveniente dalle religiose che risiedono in Polonia perché, scrive in una lettera dell’11 marzo 1695, senza regolamenti tutto è confusione, “ma quando li si mette in pratica, tutto va in benedizione... La vostra comunità che è agli inizi, sarebbe ammirevole se mettesse in pratica tutti i regolamenti” [12].

Il caso di una fondazione lontana non è il solo interessato dalla necessità di un cerimoniale uniforme. Probabilmente negli ultimi anni di vita, negli anni 1694-1698, la fondatrice redige un testo essenziale su ciò che deve unire i monasteri del suo Istituto. Dal punto di vista canonico, la fondazione non ha potuto essere eretta in congregazione, tuttavia “tutti i nostri monasteri” devono essere “strettamente uniti e legati nella carità sull’esempio delle carmelitane e delle figlie di Santa Maria, le cui case vivono in una reciproca santa unione e associazione senza essere ufficialmente in congregazione”.

Fin da quell’epoca, i mezzi di tale unione sono i seguenti: da un lato la segnalazione degli avvenimenti e dei decessi delle religiose tra i diversi monasteri, l’aiuto materiale e umano vicendevole; dall’altro l’uniformità negli “usi delle Regole, costituzioni, cerimoniali e altri regolamenti propri e particolari del nostro istituto”. Tuttavia, il primo monastero di Parigi, fondato da madre Mectilde de Bar, rimane il punto di riferimento in materia di pratiche. Le altre case ricevono da esso “non solo le costituzioni, usi e regolamenti particolari ma anche l’intelligenza per la pratica delle Regole e costituzioni menzionate e i chiarimenti dei dubbi e delle difficoltà che potrebbero insorgere”. Di conseguenza, il monastero di rue Cassette non deve cambiare nulla e deve rispondere alle richieste degli altri monasteri [13].

Messa in rapporto alle sue esigenze di uniformità, la realtà che appare a partire dall’esame di questi differenti cerimoniali si fa più complessa. Beninteso, non vi è alcuna contraddizione tra le parole della fondatrice e l’esistenza di cerimoniali manoscritti molto simili tra loro ma rimaneggiati. Tuttavia, madre Mectilde, sempre alla fine della vita, esprime la sua difficoltà a pubblicare opere normative e quindi ad fermare una riflessione: le costituzioni del 1675 saranno incessantemente rivedute fino alla sua morte. Allo stesso modo, madre Mectilde non pubblicherà i suoi regolamenti per le officiali, che esse facevano ricopiare e diffondere (la pubblicazione sarà fatta nel XIX secolo).

Per il cerimoniale, probabilmente perché aveva soggiornato un anno a Montmartre e manteneva per quelle monache un grande affetto, la fondatrice si rifà al cerimoniale del Fogliante Pierre de Sainte-Catherine, pubblicato nel 1669. La comparazione tra quel cerimoniale stampato e la maggior parte dei testi manoscritti della fondazione mectildiana illumina la stesura di un simile documento. La prefazione di Pierre de Sainte-Catherine espone il motivo dell’edizione del cerimoniale. Anzitutto “è stato ritenuto necessario che ognuna singolarmente possedesse un esemplare del cerimoniale”; ciò confermerebbe che l’idea era che non fosse il caso, e che soltanto alcune religiose, la maestra delle cerimonie, le cantore, la sacrestana e la superiora potevano averne un esemplare in possesso, ad esempio in sacrestia. La soluzione delle copie manoscritte è stata scartata a Montmartre dato che “oltre alla difficoltà di trascriverle, esse sono generalmente accompagnate da parecchi errori”[14]. Seconda ragione, e non di poca importanza, il fatto che “le Abbadesse e Superiore di parecchi altri Monasteri, specialmente quelle che sono state formate in questa Casa, avendo saputo che si lavorava al Cerimoniale, hanno testimoniato un grande desiderio di averne degli esemplari, per conformarsi nell’osservanza delle Cerimonie che hanno visto praticarvi”. Questa destinazione ampia del cerimoniale e l’importanza della riforma di Montmartre nel paesaggio monastico femminile fanno del volume del 1669 un cerimoniale di riferimento. La sua composizione conferma tutto questo:

 

“così possiamo dire che in quest’Opera si troveranno tutte le Cerimonie più comunemente osservate nella Chiesa lungo tutto il corso dell’anno, secondo l’uso Romano, al quale quelle [le cerimonie] del nostro Ordine di san Benedetto hanno grande rapporto, sia per l’Ufficio, sia per la Santa Messa. E’ quanto si può costatare nel Cerimoniale della Congregazione di San Mauro, e che servendoci del Breviario Monastico comune a tutto l’Ordine, abbiamo tuttavia il Messale Romano più universalmente accolto e osservato nelle Chiese” [15].

 

Questo cerimoniale è quindi destinato a servire da base a possibili adattamenti:

 

“Se nelle Abbazie che vorranno praticare questo Cerimoniale vi sono particolari osservanze non descritte qui, potranno essere supplite aggiungendo qualche foglio, o stampate o anche scritte a mano”.

 

Un esempio consentirà di illustrare le modalità di questa rilettura e adattamento fatti da Madre Mectilde del SS. Sacramento al cerimoniale di Montmartre. Certo, i piani sono diversi. Quello del cerimoniale di Montmartre, elaborato con cura, è più metodico e realmente utilizzabile. Separa ciò che riguarda le officiali, gli atteggiamenti in coro (entrata e inchini…) l’organo e l’illuminazione dell’insieme delle cerimonie comuni, toccando le ore canoniche e descrivendone ciascuna di volta in volta. Inoltre, Montmartre consacra un libro alle ore canoniche e uno alla Messa. Infine, come le Benedettine del SS. Sacramento, Montmartre dedica una parte al cerimoniale del refettorio. Il capitolo intitolato sia a Montmartre sia dalle Benedettine del SS. Sacramento: “l’ordine che bisogna avere per suonare l’organo” è rivelatore. A Montmartre si tratta del capitolo 13 del libro 1 (pp. 44-48) e per le benedettine del SS. Sacramento si tratta del cap. 12 del libro 3, almeno nel manoscritto privilegiato, conservato a Rouen, non numerato (p. 447-453). Il cerimoniale delle benedettine riprende i passaggi più significativi e generali ma allegandovi gli sviluppi introduttivi che propongono riferimenti biblici e patristici. I passaggi vengono ripresi quasi letteralmente. Beninteso, un’insistenza tutta particolare viene fatta per la Festa del SS. Sacramento anche se Montmartre la segnala come essenziale. Infatti, le benedettine del SS. Sacramento sono invitate a ricordarsi

 

che questa festa è quella dell’Istituto per eccellenza; e che se essa è comune a tutti i fedeli, è però molto particolare per le figlie che hanno l’onore di essergli consacrate e di portare il suo augusto nome.

 

In ciò che è essenziale, non vi è quindi notevole differenza, anche se madre Mectilde sembra voler racchiudere e semplificare il contenuto per guadagnare in efficacia e mettere in rilievo l’originalità liturgica e devozionale della sua fondazione. Offrendo maggiore libertà alla priora di introdurre l’organo in questa o quell’occasione, escludendo i giorni in cui è proibito, la fondatrice iscrive in modo ufficiale tutto il suo interesse per la musica di chiesa, interesse che si può mettere in relazione con la presenza, in qualità di organista del suo primo monastero parigino, di Guillaume Nivers [16].

 

Conclusione

 

Nell’epoca moderna, il cerimoniale benedettino femminile si inscrive come un elementi essenziale dell’avvio di una riforma, della creazione di una congregazione e dell’affermazione di una identità monastica. Ma questo cerimoniale trova la sua sorgente nel rituale legato a tre avvenimenti fondanti della vita monastica: vestizione, professione e morte della religiosa. Tale rituale costituisce molto spesso una parte del libro o del manuale delle cerimonie. La novità del XVI secolo consiste nel redigere un direttorio dell’ufficio divino sempre più preciso, un insieme la cui struttura si avvicina ai cerimoniali benedettini e cistercensi maschili e i cui autori furono spesso monaci provenienti dall’ambiente riformatore o all’origine di questa o quella famiglia (come p. Joseph per le Benedettine del Calvario). L’avvicinamento progressivo si evidenzia anche nei titoli. Che ci si trovi nel mondo delle monache o in quello delle congregazioni recenti, dedite all’insegnamento o agli ospedali, il termine “cerimoniale” si impone su quelli di “Manuale”, Forma e modo”, “Libro degli Usi”…

Lo studio di alcuni cerimoniali benedettini tra cui quello delle Benedettine del SS. Sacramento consente anche di porre in evidenza le tensioni fra tradizione benedettina, uniformità verso cui si aspira e tradizioni locali o specificità devozionali. L’attenzione particolare ai destinatari dei quest’opera mostra, al di là del caso particolare dei cerimoniali destinati ai monasteri di una stessa congregazione, la capacità di alcune abbazie femminili come quella di Montmartre,  di essere figura di riferimento liturgico e monastico, ruolo completamente assunto, in particolare nella prefazione dello stesso libro. In altri termini, per una congregazione il cerimoniale, allo stesso titolo degli statuti e delle costituzioni, non può essere condiviso così com’è con l’esterno, poiché è uno degli elementi fondativi di una identità (Benedettine del Calvario, cistercensi della Congregazione di San Bernardo). D’altro canto, nel caso di un monastero indipendente come Montmartre, la redazione e la pubblicazione di un cerimoniale, possono essere rivolti a una vera e propria rete benedettina femminile che trova la sorgente nella dinamica spirituale sviluppata parecchi anni o decenni prima dall’abbazia nella riforma monastica. Accanto a questi due blocchi, alcune comunità hanno potuto ritenere necessario pubblicare un cerimoniale per diversi motivi tra cui il consolidamento di una indipendenza recentemente acquisita o al volontà di affermare il potere della Badessa nel quadro di una successione difficile. E’ il caso di Saint-Joseph de Châlons, priorato di Avenay diventato indipendente. E’ forse anche il caso del cerimoniale dell’Abbazia di Beaumont-les-Tours, pubblicato nel 1694 sotto l’abbaziato di Gabrielle de Rochechouart de Mortemart, qualche anno dopo la morte di Anne de Béthune, Badessa la cui corrispondenza con Catherine de Bar lascia intravedere una personalità estremamente complessa. Pubblicare il cerimoniale dell’Abbazia consentiva forse anche di ricordare l’importanza di questa abbazia alla fine del XVI secolo, sotto l’abbaziato di Anne Babou mentre vi soggiornarono Marie et Françoise de Beauvilliers, future badesse di Montmartre e di Avenay [17].

Rimane da porre la domanda dell’impatto del Cerimoniale nella vita delle comunità. Il caso delle benedettine del SS. Sacramento permette di rispondere in parte alla domanda nella misura in cui l’incrocio delle diverse fonti non liturgiche apporta un chiarimento sulla relativa importanza del cerimoniale nella storia di una comunità femminile con l’accento posto sul cerimoniale delle vestizioni, professioni e funerali delle sorelle, che forniscono l’occasione di pubblicazioni parziali, probabilmente ad uso dell’insieme delle religiose e non solo di colei che svolge l’incarico di cerimoniere. E’ il caso delle benedettine del SS: Sacramento neòl 1668 per le vestizioni e le professioni; quello delle  benedettine di Caen una trentina di anni ptima per l’accompagnamento e le esequie delle sorelle funte. Questi testi contengono quindi, come in un rituale, l’insieme dei testi ma anche dei canti forniti di notazione. D’altra parte, l’analisi comparata di questi diversi testi mostra l’importanza accordata da madre Mectilde, un po’ come per i Marini, alla sperimentazione e all’adattamento ai diversi luoghi, cosa che spiega in parte, probabilmente, che il cerimoniale completo non conobbe alcuna edizione prima del XIX secolo.

L’edizione del XIX secolo rinvia anche alla questione dell’uniformizzazione e dei legami tra il centralismo e il cerimoniale. Non c’è cerimoniale completo stampato delle benedettine del Santissimo Sacramento nel XVII secolo ma la fondatrice, con la sua personalità e la sua presenza, gioca un ruolo fondamentale nella ostruzione di una fisionomia spirituale e liturgica sino alla sua morte, nel 1698; il suo lavoro principale è stato probabilmente quello di adattare il cerimoniale di Montmartre.  La sola diffusione e il solo adattamento di copie di questi testi di regolamentazione sembra essere stato sufficiente. Il caso delle benedettine del Calvario è molto diverso: senza una vera e propria fondatrice, poiché era morta nel 1618, fu padre Joseph, forse ispirato dal modello centralizzato e normativo maschile e benedettino, a pubblicare l’insieme dei testi normativi completi, ivi compreso il cerimoniale, essendo la congregazione del Calvario molto più centralizzata dell’Istituto di Catherine de Bar. La storia monastica dell’Europa moderna non può rinunciare ad un esame attento e comparato dei diversi libri liturgici collegati con gli altri libri normativi. Il cerimoniale ha quindi un posto privilegiato perché la sua prospettiva liturgica lo obbliga a proporre una uniformazione integrando modalità spirituali e devozionali specifiche.

 

 

 



[1] L’Iris espanouie. Celeste livree des Espouses de Iesus Ch., Paris, Jean Laquehay, 1624 (J.-B. Molin, A. Aussedat-Minvielle, op. cit., n°2145, p. 458).

[2] Edizioni del 1628, 1634, 1661, 1680, 1705, 1735 et 1780 : cf. J.-B. Molin, A. Aussedat-Minvielle, op. cit., n°2047, 2048, 2050, 2052, 2053, 2054, 2057.

[3] Rituum Sacrarum Cerimoniarum Venerabili Monasterii et Collegii Sancti Bernardi in S. Susanna de Urbe…, 1588, f. 25v°.

[4] Coustumier des Religieuses du Monastere Royal de Nostre Dame de la Déserte, 1640, p. 229.

[5] Ceremonial pour le Divin office et funerailles des religieuses du Monastere Royal de Nostre Dame de la Deserte, Lyon, Vincent de Coeursillys, 1641, p. 18.

[6] Cf. Yves Chaussy, Les bénédictines et la réforme catholique en France au XVIIe siècle, Paris, éditions de la Source, 1975, p. 243, 251, 257.

[7] Règle de saint Benoist, avec les Constitutions… du monastère Saint-Joseph de Châlons, Châlons, 1632.

[8] Manuel des ceremonies pour les Religieuses du Monastere  S. Joseph de Chaalons…, Toul, 1638, 2d tome : « au lecteur ».

[9] Cf. Gilbert Cherest, Matricula religiosorum professorum clericorum et sacerdotum congregationis sanctorum Vitoni et Hydulphi (1604-1789), Paris, Lethielleux, 1963, n°66 (Laurent Majoret, deceduto nel 1657) et n°214 (Jean Placide, deceduto nel 1673).

[10] En Pologne avec les bénédictines de France, Paris, 1984, p. 42, 50.

[11] Lettera del 26 agosto 1694 di Madre Mectilde à M. Suzanne de la Passion Bompard (a Varsavia), pubblicata in  En Pologne avec les bénédictines de France, Paris, 1984, p. 189.

[12] Lettera del 11 marzo 1695 di Madre Mectilde a M. Marie de Jésus Petigot, priora di Varsavia, pubblicata in En Pologne avec les bénédictines de France, Paris, 1984, p. 193.

[13] Rouen, archivi di Largs (Dumfries 11), H 01-008 : « De l’union et société que doivent avoir ensemble tous les monastères de l’Institut de l’adoration perpétuelle du très Saint sacrement de l’Autel ».

[14] Ceremonial monastique des religieuses de l’abbaye royale de Montmartre lez Paris, Ordre de Saint Benoist, Par le R. P. Dom Pierre de Sainte Catherine, Visiteur de la Congrégation des Religieux Feuillants, à Paris, Barthelemy Vitré et Marin Vitré, Imprimeur du Roy és Langues Orientales, 1669, prefazione non numerata, in 4°.

[15] Ceremonial monastique… de Montmartre, op. cit., prefazione.

[16] Cécile Davy-Rigaux, Guillaume-Gabriel Nivers. Un art du chant grégorien sous le règne de Louis XIV, Paris, CNRS éditions, 2004.

[17] Cf. Y. Chaussy, Les bénédictines et la réforme catholique, op. cit.