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Deus absonditus, anno 95, n. 4, Ottobre-Dicembre 2004, pp. 32-39

 

Nicola Gori *

Morire per vivere nascosti in Cristo secondo madre Mectilde de Bar

Un laico legge e commenta un testo di madre Mectilde sulla vita religiosa come immersione nel mistero pasquale di morte e di vita. Attraverso la «morte», l’esistenza diventa in realtà vita nuova in Cristo Gesù.

ECCO ANCORA IL SEGUITO DELLO STESSO RITIRO SULLA VITA NASCOSTA IN GESÙ CRISTO [1]

E’ vero, non l’ignorate, che la vostra condizione vi obbliga a vivere ormai in un perpetuo stato di morte, ne avete fatto un giuramento solenne e irrevocabile. Non vi sono richiami né dispense a questo obbligo.

Occorre assoggettarvi alla sentenza che S. Paolo vi enuncia da parte di Dio: VOI SIETE MORTE E LA VOSTRA VITA E’ NASCOSTA IN GESU’ CRISTO. Se la vostra vita è sepolta in Gesù, non dovete più sembrare aver nessun movimento di vita. Gesù solo deve apparire vivente in voi, poiché in verità Lui è l’unica vita e sorgente di vita. Ed è fare un affronto a questo principio di vita e un ‘ingiuria insopportabile e che merita dei castighi infiniti, impedire un momento questa divina vita. Sarebbe meglio scendere agli inferi che farla cessare un attimo.

Ciò supposto, il problema è sapere come la vostra anima deve rimanere nascosta e tutta sepolta in Gesù Cristo, e vivere di questa vita di morte. Non sono capace di parlare di questo stato, ma vi dirò semplicemente, per adempiere il mio obbligo, che dovete portare uno spirito d’annientamento in tutto e per tutto, senza scelte, senza desideri, senza affezioni, senza disegni, e senza alcuna volontà che essere solo di Gesù Cristo. Ma senza attività, senza sollecitudine, senza inquietudine e senza impetuosità del vostro proprio spirito; portando attualmente nell’intimo del vostro cuore una propensione e sfogo, e una possessione amorosa di Gesù in voi per una disposizione di pura fede, lasciandovi immergere in Lui come un piccolo ruscello che scorre nell’oceano, lasciandovi, così sepolte e come completamente inglobate senza risorsa.

Perdendovi voi stessa in questo modo, anche i vostri interessi si perderanno, e niente di creato potrà sottrarvi da questo beato centro.

Voi siete morte perché Gesù Cristo è vivente! La vista continua del vostro niente vi mantiene nella morte molto facilmente, se siete fedeli nel seguire il tratto che si fa risentire nel profondo dell’anima. E vivendo così, si può dire che voi non vivete.

O felice morte che doni la vita a Gesù! Mai è così glorioso in noi – qualsiasi amore sentiamo per lui – che nel farlo vivere in questo modo. L’anima in questo stato sopporta tutto e sostiene tutto, vivendo solo Gesù in essa. E basta per tutto: di morire incessantemente.

Occorrerebbe ridurre questo stato a qualche semplice pratica che possa facilitare l’anima a rimanervi attualmente. Prego Nostro Signore che doni luce a qualche persona per redigere un regolamento a questo scopo, per quelle che Dio chiama. Io mi contenterò di dire che:

1) Dovete fare un frequente uso d’un santo raccoglimento; non solo un silenzio della parte esteriore, ma un silenzio di spirito con voi stesse e le creature.

2) Un abbandono di tutti i vostri interessi, tanto interiori quanto esteriori, a Gesù Cristo, rimettendovi in tutto ciò che vi riguarda alla sua amabile Provvidenza.

3) Una esattezza in tutte le vostre osservanze.

4) Mai fare niente di testa vostra.

5) Mai sostenervi in voi stesse né negli altri, se ci va di mezzo la pura gloria di Dio. Questo punto è delicato, e la natura ci si trova spesso avvolta dagli interessi di Dio.

6) Non tenete niente di creato nel vostro spirito volontariamente, se la carità del prossimo o I’obbedienza non vi obbligano, per adempiere quello che vi ordinano, fedelmente.

7) Conservate la vostra pace. Mai, né per chi, né per qualunque cosa, non lasciatevi preoccupare di una cosa che può turbare anche poco la calma interiore.

8) Cercate tutte le occasioni per sacrificarvi a Nostro Signore, in tutte le croci e contraddizioni della Provvidenza; non vi giustificate se non vi siete obbligate; morirete sempre con Gesù Cristo.

9) Quando quelli o quelle che Dio stabilisce come arbitro della vostra condotta, vi chiederanno lo stato della vostra interiorità, rispondete loro molto semplicemente e senza timore o rispetto umano.

Il pensiero di Madre Mectilde è espresso qui in maniera inequivocabile e franca: rivolgendosi a coloro che hanno seguito la via dei consigli evangelici, optando per la scelta religiosa, la Madre evidenzia loro che questo nuovo modo di vivere le immerge senza mezze misure in un «perpetuo stato di morte». Se alla parola «morte» colleghiamo il suo opposto «vita», vediamo come Madre Mectilde intende la scelta della consacrazione religiosa, come un passo radicale, un netto taglio ai comportamenti fino ad allora seguiti, un completo capovolgimento dei valori e delle sicurezze. Ma la Madre non si ferma qui: essa informa coloro che hanno scelto di abbracciare la sequela Christi, che questo «stato di morte» è stato acquisito in base a un «giuramento solenne e irrevocabile»: non si può tornare indietro, ne cercare di svincolarsi da questo atto solenne, perché il passo compiuto in quella direzione è «irrevocabile» e «solenne», quindi esso ha un valore pubblico oltre che privato, e definitivo, non si torna indietro dallo «stato di morte»! Tutto questo ha un valore essenziale, in quanto affermato con una forza singolare, un giuramento! che è impegno totale davanti a noi stessi e a coloro davanti ai quali vien pronunciato. Per questo, la Madre parla di «stato di morte», perché l’impegno riguarda la vita ma anche la morte, il tutto della persona.

Per ribadire ancora più il suo pensiero, Madre Mectilde aggiunge che le scelte compiute non hanno bisogno né di «richiamo», né di «dispensa», perché chi ha emesso il «giuramento» ha oltrepassato una soglia di non ritorno, che non potrà fare a ritroso tanto facilmente. A conferma del suo enunciato, Madre Mectilde ricorda quanto scrive l’Apostolo Paolo: «Siete morti in Cristo e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio». Si delinea così ancora più chiaramente il pensiero della Madre: il «giuramento» che conduce allo «stato di morte» non è fine a se stesso, né votato alla «morte» in quanto tale, ma è finalizzato a vivere nascosti in Cristo. E’ qui il segreto di Madre Mectilde, accettando la morte per lasciare vivere Cristo in noi, ecco che scopriamo la vera ragione del «giuramento» e della scelta religiosa, al cui centro non vi è il colore della morte, ma della vita riappropriata e riofferta al Creatore in Cristo.

«Se la vostra vita è sepolta in Gesù»: con queste parole la Madre sembra indicare il nuovo stato a cui le religiose, e in questo caso le Benedettine del SS.mo Sacramento, devono tendere; infatti, se accettiamo come un fatto che la vita dopo il «giuramento» è sepolta in Gesù, allora possiamo accettare anche le conseguenze che ciò comporta, prima tra tutte che la religiosa non deve «più sembrare avere nessun movimento di vita». Se prendiamo sul serio quanto il «giuramento» comporta, l’anima religiosa non può più possedere movimento alcuno che le ricordi la vita precedente. Madre Mectilde ribadisce ancora una volta quanto crede fermamente, e cioè che qualora l’anima sepolta in Cristo, non abbia alcun movimento autonomo, l’unica azione possibile è quella che Gesù compie in lei. Si apre a questo punto un altro aspetto molto importante: in «verità» dice la Madre, quindi affermando con tono autorevole, sul serio, Cristo è «l’unica vita e sorgente di vita», perciò l’anima che volontariamente si è posta nello «stato di morte», non morrà veramente, ma avrà la vera vita, quella di Colui, che solo può esserne l’unica e vera fonte. Naturalmente, tutto questo non si riduce a «quietismo», perché il movimento è, in definitiva, necessario, ma deve muoversi in Cristo, con Cristo, per Cristo. Ed è un’azione dunque, quella di procedere con l’appello in Cristo.

Se la sola sorgente di vita è Cristo, quanto più coloro che hanno abbandonato la propria vita per ridursi a uno «stato di morte», avranno e potranno possedere in loro la vera linfa vitale che sgorga dal Costato di Cristo. Ma la Madre prevede un grande rischio a cui l’anima può andare incontro, quello di «impedire questa divina vita»: se la religiosa, dopo il «giuramento», è in uno «stato di morte», lasciare che la linfa divina apportatrice di vita autentica cessi in lei, o almeno venga ostacolata, è non solo un atto di follia, ma è un «affronto» alla sorgente della vita, che merita dei «castighi infiniti». E’ proprio qui che si gioca il dramma della vicenda umana: morire per vivere in Cristo, e una volta che viviamo in Cristo, scegliere di nuovo la morte glaciale e tetra alla vera vita; ecco perché la Madre parla con tono tanto severo e radicale a questo proposito. Non vi è giustificazione alcuna che possa accettare la fine della vita nell’anima, anzi al solo pensiero che per «un istante» venga sospesa o impedita, ecco, che «sarebbe meglio scendere agli inferi», tanto il danno è grande e incalcolabile.

Ma a Madre Mectilde interessa anche come insegnare alle sue figlie a vivere nello stato di nascoste e sepolte in Cristo, e come riuscire a conciliare e «vivere di questa vita di morte». Sembrano parole che si annullano a vicenda, condizioni inconciliabili, si può forse vivere una «vita di morte»? O la vita non è forse il contrario della morte, non è forse la sua antagonista? Il mistero rimane, ma la Madre cerca di invitare le sue figlie a vivere nel migliore dei modi questo stato, ben sapendo che le spiegazioni sul perché sarebbero solo un mero esercizio mentale o un semplice filosofare, che non avrebbe nessun approdo. Ecco, che, allora, la Madre sente il bisogno di dare dei consigli alle sue religiose, sente un obbligo, un urgente impulso a comunicare il modo migliore per vivere questa «vita di morte», che in quanto tale non fa terminare l’esistenza, ma nemmeno la risolve. L’anima religiosa deve lasciarsi abbandonare completamente a Gesù, essere nelle sue mani un docile strumento, eliminare quanto di proprio limita l’azione di Dio nella propria vita, cercare di annullarsi in Lui per vivere e per lasciare Lui vivere in lei: la Madre parla di uno «spirito d’annientamento», perché l’anima deve seppellirsi in Gesù, quindi farsi terra, polvere, ridursi a molecole, non avere nessun disegno, nessuna pretesa, nessuna volontà che non si conformi alla volontà divina. Madre Mectilde aggiunge ancora che non basta questo desiderio di adeguarsi e concordare in tutto alla volontà di Dio rinunciando alla propria e vivere in Lui come morte, anzi, senza possedere né cercare nessun impegno che non sia da Lui richiesto, senza ansia né gioia, distaccata da tutto e da tutti, ma avendo sempre nel cuore, anzi «nell’intimo» una cosa fondamentale: «una propensione e slancio» e una «possessione amorosa di Gesù».

E’ nell’intimo che si deve operare quella «possessione amorosa», cioè quell’attitudine a voler possedere una dilezione verso Gesù Cristo, ma tutto basato su di una «disposizione di pura fede». Senza la «pura fede» non basta la «possessione amorosa», perché essa è la condizione indispensabile senza la quale l’amore non esiste, in quanto non possiamo amare chi non conosciamo...

L’anima religiosa è paragonata a un «piccolo ruscello che scorre nell’oceano», un ricco simbolismo in cui l’acqua è il fondamento vitale, allo stesso modo in cui Cristo era stato già descritto come «sorgente di vita». Ma ciò non basta, perché la religiosa deve lasciarsi «sciupare in Lui»: strano modo di vivere, ma per niente inusuale se pensiamo a quanto la Madre vuole far comprendere, tutto è inutile senza Dio, la radicalità della vita consacrata è al primo posto, e l’anima deve imparare a svuotarsi a poco a poco della propria acqua, come un ruscello che si getta nell’oceano. Il travaso di acqua dalla religiosa a Gesù avviene con lo stesso principio del nascondersi in Lui, in maniera che l’anima sia una cosa sola in Lui e senza resistenze («risorse»), «sepolta» appunto.

Tutta questa attitudine all’abbandono in Dio e a lasciarsi vivere da Lui, invece di cercare di vivere da se stessa, conduce l’anima religiosa alla vera pace e alla felicità: occorre prima perdersi come un «ruscello che scorre nell’oceano», poi tutti i sensi si acquieteranno e a quel punto, così docili all’azione di Dio, niente e nessuno potrà più togliere l’anima da questo «beato centro».

Madre Mectilde a questo punto giunge alla conclusione che la religiosa ha raggiunto la vera morte perché Cristo è vivente e vittorioso nell’anima, a condizione che essa sappia mantenersi in quell’attitudine di abbandono e di spogliamente completo, che permette a Dio di inserire la sua linfa vitale. Cos’è che àncora l’anima alla morte quando è sempre in vita? La Madre precisa che è «la vista continua del vostro niente»: l’accettazione della limitatezza, dell’incompletezza, dell’imperfezione, della precarietà, favorirà lo «stato di morte» deliberatamente scelto e ricercato per lasciare operare in sé la mano di Dio. Ma occorre sempre e comunque che l’anima rimanga fedele a questa scelta, perché il cammino intrapreso della consacrazione religiosa non è un vaccino che rende immuni dalle prove e dal rischio di smarrirsi, ma la fedeltà si conquista giorno per giorno nel profondo del cuore. E questo modo di vivere è nientemeno che la sua negazione: non più l’anima vive in questo stato, ma non vive più, anzi è morta definitivamente, ma per lasciarsi vivere da Colui che solo può dare una vita imperitura. E’ il paradosso cristiano, annientarsi e morire per rivivere in Cristo per sempre e senza limiti!

Madre Mectilde può, allora, esclamare: «O felice morte che doni la vita a Gesù! » La nostra vita si converte, quindi, in una glorificazione del Signore, della sua opera in noi e della sua redenzione, perché senza la morte non vi è vita, e così è vero il contrario. Queste due antagoniste si sono affrontate in duello e la vita in Cristo è risultata vincitrice, pertanto la morte dell’anima consacrata è feconda di vita in Cristo, anzi è la condizione essenziale perché Cristo viva in noi. La vita religiosa diventa, allora, una fucina di vita, dove la morte diviene sì necessaria, ma per vivere! La gloria di Dio si manifesta proprio in questo annientamento dell’anima, in questa annichilazione, in questo farsi seppellire sotto Gesù, e Lui sarà glorificato al massimo proprio da questo lasciare che Lui viva in noi. E’ il punto più alto dell’umiltà e del sacrificio, spengere la vita propria in noi, affinché Lui la possa riempire della sua e innestare un nuovo corso e un nuovo vigore. E’ grazie alla forza di questa nuova vita, alla presenza di Gesù in lei, se essa può «sopportare e sostenere tutto»: non resta che lasciarsi morire ogni giorno, è questa l’unica condizione indispensabile, altrimenti tutto è vano, e questa morte deve essere incessante. Ogni istante, ogni momento, deve ricordare all’anima di morire, non per un gusto macabro, ma per vivere di una vita superiore, per avere nelle proprie vene la linfa vitale divina, e allora Gesù, avendo il consenso della nostra libertà, potrà compiere in noi grandi cose, meraviglie addirittura!

Il «morire incessantemente» ha già in sé una traccia di eternità, perché quel verbo all’infinito seguito dall’avverbio di tempo, che ne delinea non un termine, ma l’infinito, è chiaro ed evidente: quel morire senza sosta è anche preludio del vivere senza fine, cioè per sempre, nell’eternità. Occorre, certo, una forte dose di coraggio e soprattutto di fiducia in Dio, ma l’anima che saprà abbandonarsi ha davanti a sé sì una morte, ma una morte che non ha più il carattere definitivo di rottura e di distruzione, bensì è il passaggio per giungere alla vita immortale a cui ogni creatura brama.

Madre Mectilde per favorire le sue religiose all’esercizio di questa santa morte per la vita, aggiunge un elenco di pratiche che possono aiutare coloro che sono state chiamate da Dio, perché per accedere alla vita attraverso la morte in questa particolare consacrazione religiosa, occorre innanzitutto una chiamata divina, nessuno può perseverare senza un suo speciale richiamo.

Il primo consiglio che Madre Mectilde indirizza alle religiose è di fare un uso frequente di un «santo raccoglimento», che comporta un silenzio non solo esterno, ma soprattutto interiore. Occorre lasciare parlare Dio nel proprio cuore, e solo con il silenzio possiamo essere capaci di ascoltare la voce divina, perché il frastuono, le parole, i suoni delle creature e del creato distolgono dal vero obiettivo della nostra esistenza, ricongiungerci con Dio. E il silenzio deve essere anche in primo luogo silenzio di noi stessi, occorre imparare ad ascoltare e non solo saper parlare, fare spazio all’Altro, affinché possa colmarci della sua presenza.

Il secondo consiglio è quello dell’ «abbandono»: un abbandono che comporti la rinuncia agli affanni per tutto quanto riguarda il nostro essere, sia per le cose spirituali, sia per i beni materiali, orientando la vita interamente verso Dio, vivendo nella sua ottica, nell’ottica dell’eternità, relativizzando gli eventi terreni, come le prove. Infatti, la Madre intende qui rendere consapevole l’anima che la Provvidenza divina è presente e opera al di là delle nostre richieste, nessuno ne è escluso, e basta solo un gesto di fiducia, di affidamento per far sì che la nostra vita venga interessata dalla sua azione, senza più pensieri né timori»

Il terzo consiglio è quello di avere sempre un interesse altissimo verso il proprio dovere e gli obblighi della vita religiosa, la Madre arriva a dire che occorre 1’«esattezza», cioè quell’atteggiamento di fondo che impone di compiere il proprio dovere in ogni circostanza e in ogni momento...

Il quarto consiglio si ricollega all’abbandono: mai compiere qualcosa di testa propria, che non sia conforme all’obbedienza e ai doveri, e soprattutto non impedire alla vita di Cristo di continuare a scorrere nella propria esistenza, con lo «stato di morte» come ribadito prima.

Il quinto consiglio è la richiesta di una radicalità e di un agire rivolto solamente alla «pura gloria di Dio», che richiede un grande sacrificio, perché gli interessi e la natura umana impongono il loro punto di vista, la loro visione delle cose, che talvolta viene giustificata con la ricerca della gloria di Dio, ma che, invece, se ne distaccano profondamente. Il rischio di credere di eseguire la volontà di Dio secondo i nostri piani è sempre in agguato!

Il sesto consiglio si fonda sulla necessità di avere uno spirito di distacco, di povertà, che permetta all’anima di non possedere nessun attaccamento a persone o a cose, che distolgano dalla vita divina, in modo che anche quanto viene ordinato per obbedienza, venga vissuto in maniera da tutelare il primato di Dio tra i valori di riferimento. Anche la carità al prossimo non deve diventare fine a se stessa, ma nell’ottica evangelica deve ricondurre la sua azione come espressione dell’amore a Cristo!

Il settimo consiglio si ricollega all’abbandono, in maniera più o meno esplicita, perché l’anima deve non lasciarsi sopraffare dalle esigenze terrene, anzi, deve mantenere la calma, la pace che solo l’unione con Dio produce. E’ frutto dell’azione dello Spirito possedere la vera pace interiore, e una volta che l’anima l’ha ottenuta, occorre vigilare moltissimo perché il rischio di perderla facilmente è sempre pronto. Tutti gli avvenimenti esterni e interni, così come nessuna creatura deve avere il potere di turbare con parole o fatti la calma interiore, che non significa indifferenza, ma che è espressione di affidamento completo al Signore e di speranza in Lui.

L’ottavo consiglio è di vivere in continua donazione a Dio, nella ricerca di compiere la sua volontà anche a costo di sacrifici, e nell’accettare dalle sue mani ogni prova e ogni sofferenza, ben sapendo che tutto ciò avrà un termine e una ricompensa, tenendo sempre ben presente che siamo nelle mani della Provvidenza divina, la quale non permette mai che siamo tentati oltre misura e che proporziona la forza al male da combattere. La Madre ricorda ancora una volta in questo consiglio, la necessità di morire in Cristo, di rimanere in silenzio, di lasciarsi vivere da Lui, tramite la morte apportatrice di vita.

Il nono consiglio è rivolto all’accertamento dello stato interiore che i superiori devono compiere nei riguardi delle anime religiose: il loro discernimento deve essere accolto, dopo che l’anima morta e nascosta con Cristo in Dio per la vita, abbia aperto il cuore a coloro che sono stabiliti come superiori. Niente deve turbare queste anime religiose, neppure l’autorità e il discernimento dei superiori, perché l’abbandono completo a Dio e la scelta di morire alla propria vita per rinascere con Cristo, sono il primo dei nostri principi, in modo che come l’Apostolo Paolo si possa esclamare: «Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me»!, e questa non sia solo un’aspirazione, ma diventi realtà quotidiana.

Siamo grati alla Madre Mectilde di aver così profondamente e sapientemente saputo descrivere lo stato di vita delle anime consacrate, che avendo provato la morte, adesso vivono nascoste in Cristo nella vita immortale.

 



* Laico, si è laureato in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Firenze con una tesi su san Giovanni della Croce. Collabora con la Cattedra di letteratura spagnola della Facoltà di lettere e Filosofia. Ha affrontato l’argomento della scrittura dei mistici su riviste specializzate quali «Collectanea Franciscana», «Studi Francescani», «Rivista d’Ascetica e Mistica», «Rivista cistercense» e altre. E’ autore di volumi e saggi su mistici e santi, pubblicati presso l’editrice Vaticana e le edizioni Paoline.

[1] Catherine de Bar, Documents historiques, Bénédictines du Saint-Sacrement, Rouen, 1973, pp. 142-143. La traduzione dal francese è nostra.