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Deus absconditus, anno 96, n. 1, Gennaio-Marzo 2005, pp. 25-32

 

Andrea Bedina*

Niccolò Cusano sullo scaffale di Madre Mectilde?
 

                  

Quando, sul finire dell’inverno 1910, la Serva di Dio madre Caterina Lavizzari decise di dare avvio alla pubblicazione, allora mensile, del periodico di spiritualità monastica rappresentativo della Pia Unione Riparatrice, la rivista «Deus absconditus», con ogni probabilità, come rileva la diarista, la sua attenzione si sarà rivolta in particolar modo al carisma dell’adorazione e al ‘Dio nascosto’, vivo e presente nel Ss.mo Sacramento dell’altare, con la finalità dell’adorazione perpetua [1].

       Ma da dove aveva trovato spunto per tale titolo? Viene istintivo pensare che madre Caterina, oltre al celebre passo di Isaia, 45, 15:

  «… Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio di Israele, salvatore».

Abbia avuto quale stimolo ulteriore e come più fondante esempio qualche punto degli scritti della Fondatrice, madre Catherine Mectilde de Bar. Effettivamente, ad una loro puntuale lettura si può rilevare come madre Mectilde abbia avuto una particolare considerazione per il tema del nascondimento di Dio. Se ne hanno alcuni esempi nelle lettera alla contessa di Châteauvieux:

«… Dio è così santo,così incomprensibile e profondo, che possiamo dire veramente che è un Dio nascosto: Deus absconditus, nascosto così profondamente che è al di là di tutto ciò che la nostra mente può pensare. È un Dio nascosto al nostro intelletto, in una parola: «Deus absconditus» in un’infinità di maniere. E se noi lo adoriamo di nascosto sotto le specie sacramentali, quanto più dovremmo adorarlo di nascosto, o meglio nella sua incomprensibilità, e racchiuso nella sua santità divina»  [2]

 

e ancora:

«… Nascondendovi in questo modo, la grandezza divina getterà i suoi sacri sguardi su di voi e si delizierà nel vedervi annientata in omaggio al suo nascondersi a voi. È temerarietà per l’anima il voler comprendere qualcosa di Dio; non spetta a dei piccoli aborti, quali noi siamo, penetrare nell’ineffabilità divina» [3].

«… Diamoci nuovamente a Gesù con rinnovato amore […]. Per questo dobbiamo rinnovarci interamente in Lui e per mezzo del suo Santissimo Sacramento, e cominciare a condurre una vita che sia più simile alla sua vita divina, nascosta e annientata nel Santissimo Sacramento» [4].

Al di là dei problemi testuali legati alla prosa della Fondatrice, di cui si può dire senz’altro che si caratterizza per lo stile vigoroso, sicuro, a tratti perfino duro e dal tono quasi perentorio (nei confronti della contessa ma anche, più in generale, verso un più generico lettore, chiunque esso sia e, con ogni evidenza, di qualunque tempo), l’analisi dei suoi scritti ha dimostrato una rara conoscenza delle sacre Scritture e dei più reconditi passi biblici [5], nonché una continua, mirata riflessione, tra gli innumerevoli punti considerati da madre Mectilde, all’aspetto eucaristico, all’adorazione, all’annientamento di sé, all’inconoscibilità e ineffabilità di Dio [6]. Il passo sopra riportato ne è una prova di assoluto e innegabile interesse anche perché, nel panorama bibliografico di tutto rispetto [7] che la riguarda, il tema del nascondimento di Dio è, a quanto ci risulta, del tutto ignorato. Se non è possibile parlare di una diversa visione, di una connotazione che renda esclusiva, nell’interpretazione di madre Caterina, la presenza nascosta di Dio nel Ss.mo Sacramento, è comunque chiaro che la riflessione della Fondatrice si fonda invece e propriamente sulla più complessa traccia di un Dio nascosto e «incomprensibile» [8]. È, questo, un saggio di quella teologia apofatica o negativa che esercitò un ruolo che non si esita a definire fondamentale nella spiritualità di madre Mectilde, e a cui ella si rifà sovente e con evidente ammirazione.

Se è nota la diffusione, in quel Seicento politicamente, religiosamente e filosoficamente ancora irrequieto, di ritorni neoplatonici, neodionisiani e neoagostiniani che avevano contribuito a creare un clima di grande effervescenza spirituale da un lato e, dall’altro, di generale incertezza su non pochi tra i grandi temi e valori fondamentali della religione cattolica [9], ci si può chiedere tuttavia cosa, quando e come abbia letto la giovane Catherine de Bar, poi madre Mectilde. In una Francia ormai gallicana che, uscita a stento dal terribile periodo delle guerre di religione che avevano insanguinato il regno[10] e scossa dalle più recenti atrocità della Guerra dei Trent’anni[11], lacerata da correnti filoprotestanti, quietiste e soprattutto gianseniste, quali saranno state le letture della giovane e aristocratica Catherine prima, e della fervente Fondatrice madre Mectilde poi?

Lungi dall’essere indiscreto o improponibile, il problema del sapere mectildiano è stato già parzialmente trattato, a riprova della sua importanza e del vivo interesse suscitato da tale interrogativo [12]. A noi interessa sapere e capire in ambito più ristretto, quali autori, tra noti e meno noti, tardoantichi, medievali e a lei contemporanei, abbiano influenzato madre Mectilde quanto al problema del nascondimento divino.

Sarebbe inutile approfondire in questa sede l’importanza, tra medioevo ed età moderna, della teologia dell’invisibilità o dell’innominabilità di Dio. Va tuttavia, quanto meno, ribadita l’antichità e la profondità di tale interpretazione in negativo della divinità, individuandone il suo massimo rappresentante in quell’autore misterioso che la storiografia ha sempre individuato in Dionigi l’Aeropagita (forse del tardo V sec. d.C.). È assai probabile che la Fondatrice, leggendone direttamente gli scritti o desumendone di riflesso, per così dire, alcuni insegnamenti presenti in autori, tra mistici e spirituali, a lei più vicini [13], abbia cominciato ad addentrarsi nei complessi meandri della teologia negativa e, segnatamente, nella comprensione e reinterpretazione del concetto che ci interessa qui:

«…Ma sta bene attento che nessuno di coloro che non sono iniziati ascolti queste cose; voglio dire quelli che aderiscono alle cose che sono e che non immaginano che esista alcunché in modo soprasostanziale al di là degli esseri, ma credono di conoscere con la loro propria scienza colui che ha posto le tenebre come proprio nascondiglio»  [14].

In ogni caso anche in età tardoantica, già Tertulliano (II-III sec. d.C.) ne accenna fugacemente nel suo trattato sul Sacramento del Battesimo [15] ricordando che:

«…Christus ipsemet sub Eucharistico Sacramento absconditus in columba adumbratur».

Anche in S. Agostino (354-430) il tema dell’inconoscibilità e, viceversa, della presenza palese e non recondita di Dio in mezzo agli uomini [16] è affrontato, sebbene non vi si menzioni direttamente il termine «nascondimento» [17].

Un’ulteriore, possibile lettura della Fondatrice, quantunque non sia dato di sapere se prima o, come parrebbe certo più logico, dopo il suo ingresso in monastero, è quella di Giovanni Scoto Eriugena. In questo autore irlandese vissuto in pieno secolo IX e attivo presso la corte di Carlo il Calvo, la teologia apofatica e i temi della superessenza, dell’inaccessibilità, dell’incomprensibilità e dell’ineffabilità divine raggiungono il loro punto espressivo più alto. Può averne avuto sentore madre Mectilde? È più che probabile, se si pensa che proprio a metà del Seicento in Francia e Germania cominciarono ad essere noti ad un più vasto pubblico i lavori di questo erudito e filosofo dell’età carolingia [18].

Forse meno noto, al tempo di madre Mectilde, o comunque presente ad un ristretto numero di laici eruditi o di esclusiva cerchia ecclesiastica o religiosa doveva essere un autore monastico quale Ugo di S. Vittore, vissuto tra lo scorcio dell’XI e la prima metà del XII secolo. Difficilmente la Fondatrice, qualora abbia conosciuto i suoi scritti e il suo pensiero, avrebbe potuto esserne al corrente nella vita secolare. Di lui tratta diffusamente uno studio di C. Schütz  OSB di qualche decennio fa. Pare proprio che uno dei temi su cui il monaco sassone allievo di Guglielmo di Champeaux e attivo a Parigi presso la schola dell’abbazia benedettina di St. Victoire fosse il Deus absconditus, e il suo contrario, il Deus manifestus che, come si è detto, erano riflessioni compresenti in Isaia e che più tardi, lo si vedrà, saranno proposte in s. Giovanni della Croce, mistico spagnolo dell’età della Controriforma [19].

Ed a proposito di controriforma, vale la pena sottolineare che il Deus absconditus era un punto importante, ancorché non sempre così chiaramente definito, della riflessione dottrinale dei primi riformatori. In una più vasta e profonda polemica con la dottrina sacramentale eucaristica di Santa Romana Chiesa – ci troviamo qui nella prima metà del Cinquecento, in età pretridentina – Martin Lutero, in un passo del De servo arbitrio della fine del 1525 [20] affermava infatti che:

«…Ezechiele (XXX, 1/11)… non parla della volontà nascosta e tremenda di Dio che ordina ogni cosa secondo il suo consiglio… Questa volontà non bisogna indagarla ma adorarla con timore e tremore come il mistero più venerabile della Maestà divina».

Anche Giovanni Calvino nel 1541, con il suo Piccolo trattato della s. Cena, interveniva nell’acceso dibattito sacramentale che sarebbe stato al centro della celebre XIII sessione del Concilio di Trento, argomentando con toni aspramente polemici e, qua e là, con riferimenti alla liturgia protocristiana sulla presenza divina nella liturgia eucaristica; in diversi passi del suo denso trattatello il nostro concetto riappare, sia pure tra le righe [21].

Se madre Mectilde ebbe sicuramente modo di leggere s. Vincenzo de’ Paoli e s. Francesco di Sales, così come conobbe, attraverso letture biografiche od opere autografe, un personaggio quale Giovanna di Chantal (con ogni probabilità attraverso la lettura della biografia redatta nel 1644 da Henry de Maupas) [22], è assodato che abbia letto e apprezzato anche un autore quale Giovanni della Croce. Ed a proposito di questa importantissima figura di religioso, di mistico, di Dottore della Chiesa attivo nel secondo Cinquecento, in anni difficili per la religione in Spagna e nell’intera Europa del tempo, attraversata dalle più diverse correnti di derivazione protestante e segnatamente dai cosiddetti Alumbrados e dai seguaci di Juan de Valdés [23], va sottolineato che proprio in una prima sua opera, La fiamma d’amore viva, è presente un richiamo esplicito al nostro tema [24]:

«…Dio dimora segreto e nascosto nella sostanza di tutte le anime poiché altrimenti esse non potrebbero sussistere […] L’anima…è quella dove Dio dimora più solo, più contento e come in casa propria […] L’Amato vi abita in maniera segretissima […] Dio vi dimora in modo del tutto segreto».

E così pure in un altro scritto, il Cantico spirituale, è presente un interessante riferimento al nascondimento e all’invisibilità di Dio e, come si è visto anche per Ugo di S. Vittore, all’esatto contrario e, quindi, all’appariscenza, al palesarsi di Dio [25]:

«…Non voler essere come molti insipienti i quali, avendo un concetto volgare di Dio, allorché non lo intendono, non lo gustano e non lo sentono, credono che egli sia lontano e nascosto, mentre è piuttosto vero il contrario e cioè che quanto meno distintamente lo intendono, più si accostano a lui poiché come dice il Profeta David: Pose il suo nascondiglio nelle tenebre (Sal 18, 12»).

Che dire poi, tornando al secolo di madre Mectilde, delle letture ‘pericolose’ che, pure, sicuramente non mancarono di affascinare la Fondatrice per l’attualità del tema del Dio nascosto e la passione che traspariva dalla prosa di un autore tra i più letti e dibattuti nel secondo Seicento francese ed europeo: i Pensieri di Blaise Pascal [26] e, ad esempio, il Pensiero 242, che tratta «Dei mezzi di credere», dove il giansenista francese afferma con veemenza:

«…Mi stupisce la sfrontatezza con la quale queste persone si mettono a parlare di Dio […] La Scrittura, che conosce meglio le cose che sono di Dio… afferma anzi che Dio è un Dio nascosto, e che dopo che la natura si fu corrotta ha lasciato gli uomini in un accecamento da cui possono uscire soltanto per mezzo di Gesù Cristo: fuori dal quale ogni comunicazione con Dio è tolta […] È quanto la Scrittura ci vuol significare quando dice in tanti passi che coloro che cercano Dio lo trovano. Non si parla d’una luce come quella del «giorno al colmo del meriggio». Non si dice che coloro i quali cercano il giorno nel colmo del meriggio o l’acqua nel mare ne troveranno; e così bisogna proprio che l’evidenza di Dio non sia tale nella natura. Perciò la Scrittura ci dice altrove: Vere tu es Deus absconditus».

A questo punto, tuttavia, è necessario fare un passo indietro e riflettere sulla questione che attiene particolarmente a questo contributo. Abbiamo infatti ripercorso il lungo periodo che dall’età veterotestamentaria [27] giunge al pieno e tardo Seicento tralasciando volutamente, quanto al tema oggetto di queste brevi note, il secolo XV. Tra le molte letture che madre Mectilde ebbe la possibilità di consultare, leggere, studiare, a quelle già note agli studiosi e a quelle che qui sono state proposte, è possibile aggiungerne un’altra. Un’opera su cui, a quanto sembra, nessuno studioso della Fondatrice ha indagato. È il Dialogus de Deo abscondito di Niccolò Cusano [28]. È possibile che madre Mectilde ne abbia posseduto una copia, in casa o, più facilmente, in monastero, o che ne abbia letto un commento? L’ipotesi, certo suggestiva, che il saggio del cardinale tedesco facesse bella mostra di sé nella biblioteca monastica di madre Mectilde o fosse tra le sue letture predilette non può che rimanere tale in mancanza di prove che ne accertino la fondatezza.

È un fatto, tuttavia, che si tratti dell’unico autore che, sia pure inquadrabile nel più vasto panorama di scrittori mistici e di filosofi attratti dalla teologia negativa, abbia dedicato un intero saggio al nascondimento di Dio.

Vale forse la pena di spendere due parole su Niccolò. Nacque a Kues (umanisticamente italianizzato in Cusa) presso Treviri nel 1401. Dopo una rapida parentesi presso l’Università di Heidelberg venne a Padova, dove si addottorò in diritto nel 1423, per poi raggiungere Costanza, dove si laureò in filosofia forse verso il 1425. Nel 1426 incontrò Giordano Orsini, legato papale in Germania, divenendone il segretario. Nel 1427 fece ulteriore esperienza come segretario dell’arcivescovo di Treviri e, verso il 1429, raggiunse l’Orsini a Roma. Ormai famoso tra gli umanisti di tutta Europa, entrò al servizio di papa Eugenio IV e da quel momento cominciò la sua ascesa presso la curia papale.

Dopo i torbidi del Concilio di Basilea del 1439 che portarono alla caduta di papa Eugenio IV e all’elezione dell’antipapa Felice V (al secolo Amedeo VIII di Savoia), Niccolò, fedele al papa deposto e contrario al conciliarismo, si ritirò in Germania dove, tra il 1440 e il 1445, compose il breve ma fondamentale Dialogus de Deo abscondito. Nel 1446 venne nominato legato apostolico presso l’imperatore e nel 1448, dopo essere stato cardinale in pectore dell’ormai deposto Eugenio IV, il nuovo pontefice Niccolò V lo nominò cardinale col titolo di San Pietro in Vincoli. Ricevette il cappello cardinalizio in occasione del Giubileo del 1450 e, nel 1459, papa Pio II lo nominò Vicario di Roma. Tra il 1460 e il 1464 trascorse il suo tempo presso la corte di Roma e proprio nel fatale 1464 aiutò il pontefice ad organizzare l’ultima grande e ormai impossibile crociata contro i Turchi. Morì a Roma l’11 agosto 1464.

Il suo pensiero è quello di un solitario neoplatonico in un Quattrocento segnato invece profondamente dalla vigorosa rinascita dell’aristotelismo. Niccolò rilancia idee e concetti già cari a Dionigi l’Aeropagita, a Scoto Eriugena, a parte della Scuola parigina di cui faceva parte Ugo di S. Vittore e comuni a certi tratti della mistica tedesca Due-Trecentesca, come nei Sermoni di Meister Eckhart [29]: capisaldi sono il nascondimento di Dio, la sua (impossibile) conoscenza e solo per via negativa.

In cosa il Deus absconditus di madre Mectilde assomiglia al Dio nascosto di Niccolò Cusano? I punti di contatto non mancano: così infatti, ad esempio, afferma il cardinale nel suo dialogo tra un cristiano (C) e un pagano (P)  che domanda chiarimenti sulla figura di Dio:

 

«…(P): Ti prego, fratello, portami fino al punto in cui possa intenderti a proposito del tuo Dio. Rispondimi: che cosa sai di quel Dio che adori?

(C): So che tutto ciò che so non è Dio, e che tutto ciò che comprendo mediante concetti non è simile a lui, poiché egli è al di sopra di tutto.

(P): Ma gli si può dare un nome?

(C): Ciò a cui si dà un nome è piccola cosa. Resta invece ineffabile colui la cui grandezza non può essere concepita».

Le spiegazioni che il dotto “Cristiano” rivolge al “Pagano” desideroso di comprendere e, come infatti avverrà, di convertirsi alla fede cattolica, non sono dissimili, come pare, dalle spiegazioni di madre Mectilde alla contessa di Châteauvieux. E si potrebbe continuare nella descrizione di altri passi della succinta opera del cardinale tedesco, perché molti sono i punti di contatto tra quanto egli scriveva a metà del Quattrocento e quanto raccomandava la Fondatrice delle Benedettine dell’Adorazione Perpetua del SS. Sacramento.

Non è, quello di Cusano, il Dio nascosto, vendicativo e severo che, nella sua «indifferenza» verso un’umanità predestinata al peccato o alla grazia e priva della libertà di arbitrio personale, pare quasi attendere al varco – per Lutero e le sette protestanti – le creature che nulla possono fare se non accettare passivamente il loro destino, quale esso sia. È, al contrario, la non manifestazione di un Dio che si sa essere presente nel Sacramento dell’altare ma che è incomprensibile, indefinibile, ineffabile, oscuro nella sua luminosità. Tutti concetti, questi, che Niccolò mutua dai prediletti Dionigi Aeropagita e Scoto Eriugena, e che madre Mectilde a sua volta riprende; ma è solo un’interessante congettura, avendo letto, oltre ai non pochi autori sopra ricordati, forse proprio la breve opera del Cardinale tedesco.

È possibile che madre Mectilde conoscesse Cusano e i molti altri autori che, sulla scorta della teologia negativa, avevano posto in evidenza la figura e il ruolo di un Deus absconditus? Si tratta di un’eventualità affascinante e inedita, ma destinata a rimanere una certo suggestiva ma semplice ipotesi [30].

 



* Dopo la laurea in Storia – indirizzo medievale – ha conseguito nel 1997 il Dottorato in Storia medievale presso l’Università degli Studi di Milano. Dal 1995 è stato nominato Cultore della materia per le cattedre di Storia Medievale III, Storia Medievale VII, Storia Medievale V e Storia della Lombardia nel Medioevo. È membro delle redazioni di «Nuova Rivista Storica«, «Studi di storia Medioevale e Diplomatica« e della Società Storica Lombarda. Ha all’attivo numerose pubblicazioni e collaborazioni a vari livelli con diversi Atenei. In qualità di perito storico ha iniziato una collaborazione con la dott. Francesca Consolini, postulatrice per le cause dei santi. Attualmente sta lavorando alla redazione della storia del nostro Monastero.

[1] In particolare, la documentazione si riferisce all’azione dei Sacerdoti adoratori a quel tempo presenti e attivi in Roma: cfr. Archivio del Monastero della Ss.ma Trinità, Ronco di Ghiffa (VB), Annali, I, anno 1910, p. 94.

[2] Cfr. C. M. DE BAR, Il sapore di Dio. Scritti spirituali/ 1652-1675, Milano 1977, p. 114, ovvero anche in Ead., Lettere di un’amicizia spirituale (1651-1662). Madre Mectilde de Bar a Maria di Châteauvieux, Milano 1999, n. 9, p. 97 (n. 88).

[3] Cfr. Ibid., n. 9, p. 98.

[4] Cfr. Ibid., n. 40, p. 195, (n. 167).

[5] Cfr. G. Guerville, Catherine Mectilde de Bar. II. Uno stile di «Lectio divina« nel secolo XVII, Roma, 1989, pp. 71-88.

[6] C. M. De Bar, Lettere di un’amicizia spirituale cit., pp. 20-21, 33-36, 48-50, 55-61.

[7] Cfr. Bibliographia Mechtildiana. Verzeichnis der gedruckten Schriften von und über Mectilde de Bar und die Benediktinerinnen vom Heiligsten Sakrament, a c. di M. Albert OSB u. U. Wahle OSB, Köln 2001.

[8] Non mancano altri esempi circa l’interesse di madre Mectilde sull’argomento: cfr. M. DE BAR, Lettere di un’amicizia spirituale cit., pp. 132, 133 e passim.

[9] Cfr. M. Marcocchi, La spiritualità tra giansenismo e quietismo nella Francia del Seicento, Roma, 1983, e, sia pure con un’impostazione prevalentemente filologica, l’analisi condotta da M. Bergamo, La scienza dei santi. Studi sul misticismo secentesco, Firenze, 1983, e, nonostante il ben determinato argomento trattato, le considerazioni contenute in ID., L’anatomia dell’anima. Da François de Sales a Fénelon, Bologna, 1991.

[10] Nella sterminata bibliografia sul drammatico momento storico culminato con la strage della notte di s. Bartolomeo e terminato con il regicidio di Enrico IV nel 1610, si vedano almeno l’ancora validissimo lavoro di C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa in Francia fra Cinque e Seicento, Torino, 1963, e i più recenti studi di P. Miquel, Les guerres de religion, Paris, 1980, e di E. Le Roy Ladurie, Lo stato del re. La Francia dal 1460 al 1610, Bologna, 1999 (ed. orig. Paris, 1987), pp. 139-346 (con aggiornata e mirata bibliografia).

[11] Nella vasta produzione storiografica sul lungo conflitto secentesco, cfr. almeno G. Parker, La Guerra dei Trent’anni, Milano, 1994 (ed. orig. London, 1986).

[12] Cfr. Guerville, Catherine Mectilde de Bar cit., pp. 31-58. Il taglio offerto dall’indagine, in questo caso, è relativo soprattutto alle letture sacre, alla patristica, agli scrittori mistici e ai più autori spirituali dell’epoca di madre Catherine.

[13] Se ne veda un’attenta disamina in Guerville, Catherine Mectilde de Bar cit., pp. 31-70, e in Lettere di un’amicizia spirituale, cit., p. 20 ss.

[14] Cfr. Dionigi Aeropagita, Teologia mistica, in Id., Tutte le opere, a c. di P. Scazzoso e P. Bellini, Milano, 1981, in partic. p. 407, ma si veda anche p. 411 ss.; e, Ivi, Nomi divini, pp. 254-255, 258.

[15] Cfr. Tertulliano, De Baptismo, in Patrologia latina, ed. J. P. Migne, I, Paris, 1857, col. 1208.

[16] Un Dio manifesto perciò, già presente in Isaia 45, 19 dove, poco dopo aver parlato del nascondimento di Dio (cfr. 45, 15) si dice, in riferimento al Signore, che: «…Io non ho parlato in segreto, in un angolo di terra tenebrosa, non ho detto alla discendenza di Giacobbe: ‘Cercatemi in un luogo deserto!’. Io sono Jahve, che parlo rettamente, che preannuncio esattamente«.

[17] Cfr. Sant’Agostino, Le Confessioni, a c. di C. Carena, Milano, 1979, XIII, 1-16, pp. 384-396.

[18] Cfr. Giovanni Scoto, Il Prologo di Giovanni, a c. di M. Cristiani, Milano, 1987, in particolare la Premessa della Curatrice, pp. I-LXI.

[19] Cfr. C. Schütz, osb, Deus absconditus: Deus manifestus. Die lehre Hugo von St. Viktor über die Offenbarung Gottes, Roma, (Studia Anselmiana, 56), 1967.

[20] Cfr. Martin Lutero, Il servo arbitrio, Torino, 1993, p. 207. Sull’intransigente posizione di Lutero, per ciò che concerne l’impossibilità, per il debole uomo, di comprendere la volontà e il mistero del Dio nascosto, si veda il recente contributo di G. Cotta, La nascita dell’individualismo politico. Lutero e la politica della modernità, Bologna, 2002, p. 65 ss., e segnatamente p. 83.

[21] Cfr. Giovanni Calvino, Il «Piccolo trattato sulla S. Cena» nel dibattito sacramentale della Riforma, a c. di G. Tourn, Torino, 1987, pp. 85-94.

[22] Cfr. Lettere di un’amicizia spirituale cit., p. 26.

[23] Sull’intera questione si veda M. FIRPO, Tra Alumbrados e «spirituali». Studi su Juan de Valdés e il Valdesianesimo nella crisi religiosa del ‘500 italiano, Firenze, 1990.

[24] Cfr. Juan de la Cruz, Llama de amor viva, in Id., Obras, IV, Burgos, 1940, pp. 733-734, IV, 14.

[25] Cfr. Juan de la Cruz, Cantico spirituale, in Opere, Roma, 1991, p. 514.

[26] Cfr. B. Pascal, Pensées, Paris, 1950, (trad. It. a c. di F. Masini e E. Giovannini Masini, Milano, 1964) pp. 381-382.

[27] Per un’analisi dettagliata sul ruolo di un Deus absconditus tra testo biblico e modernità cfr. A. MELLO, Quando Dio si nasconde. Una metafora della rivelazione biblica, in Liber Anuus, LII (2002), Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem, 2002, pp. 9-29, con ricca bibliografia specifica.

[28] Cfr. Niccolò Cusano, Il Dio nascosto, a c. di F. Buzzi, Milano, 2002 e, per uno sguardo sulla situazione della cultura teologica e della spiritualità tra Umanesimo e Rinascimento, Id., Teologia e cultura cristiana tra XV e XVI secolo, Genova, 2000, in partic. pp. 97-168. D’altra parte, anche altrove Cusano tratta dell’inconcepibilità di Dio: cfr. il suo De Quaerendo Deum, in Il Dio nascosto cit., c. 18, p. 67, dove la riflessione del mistico tedesco prende avvio dall’elaborazione dell’episodio paolino della predicazione agli Ateniesi, cit. in Atti degli Apostoli, 17, 18-30, e in partic. 17, 23.

[29] Cfr. Meister Eckhart, Sermoni tedeschi, Milano, 1985: in particolare si vedano le prediche risp. alle pp. 139-152 e pp. 172-177.

[30] È altrettanto suggestiva la possibilità che l’idea di nascondimento divino di madre Mectilde de Bar, al di là della sua dipendenza da insegnamenti quali quelli di Cusano, abbia lasciato un segno: sarebbe interessante verificarne la potenziale eredità in un’opera quale il Deus absconditus in sacramento altaris edito a Salisburgo nell’anno 1700, a due anni dalla scomparsa della Fondatrice, da parte di Placidus Sei(t)z, OSB, abate del monastero di Ettal, non distante da Monaco.