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Deus absconditus, anno 75, n. 1,  Gennaio-Marzo 1984, pp. 18-22
 

Mons. Santi Pesce
La «Riparazione» nella teologia giuridica della Redenzione

 

1. La « riparazione » nella teologia giuridica della redenzione

A) La riconciliazione tra Dio e l’uomo avviene attraverso la «riparazione» o «soddisfazione», o «espiazione», o «riscatto», o «redenzione», operata dal sacrificio della Croce; «sine sanguinis effusione, non fìt remissio» (Eb 9,22).

La riparazione offerta da Cristo al Padre fu cruenta, perfetta, condegna, cioè sovrabbondante.

B1) Dio poteva non esigere la riparazione per il peccato dell’uomo; non avrebbe agito ingiustamente, perché la persona offesa può perdonare senza riparazione l’offesa ricevuta.

B2) Dio ha voluto una riparazione adeguata.

Poiché il peccato è un’offesa a Dio, ha una gravità infinita. La riparazione adeguata deve avere un valore infinito. Non poteva l’uomo dare da sé tale riparazione, perciò fu necessario che un uomo di dignità infinita fosse il riparatore.

Tale è Gesù Cristo: il Figlio di Dio fattosi uomo.

B3) La riparazione offerta da Cristo, è riparazione vicaria; Cristo cioè si è sostituito a tutti gli uomini: Cristo, infatti, è l’incontro di due amori: l’amore di Dio e l’amore dell’uomo; l’amore unisce così due esseri da consentire la sostituzione; perciò Cristo è da Dio costituito: Capo del genere umano.

C) Necessità della riparazione?

Nell’ordine della stretta giustizia, detta giustizia commutativa, è necessaria la riparazione dell’offesa.

Di qui nascono nella mente umana delle antinomie:

1a antinomia: Dio, richiedendo una riparazione adeguata, è ingiusto, perché ha castigato il Suo Figlio, che mai ha commesso peccato.

2a antinomia: Se Dio esige una riparazione adeguata per il peccato, non si può più parlare di perdono.

3a antinomia: Non si può parlare di offesa di Dio, perché Dio non è raggiungibile da nessun torto che venga dall’uomo: Dio è l’Assoluto, il Trascendente, il «Tutt’Altro».

Alla 1° antinomia si risponde: la morte di Cristo in croce, non fu un castigo personale di Cristo innocente. Cristo non ha espiato i propri peccati, ma quelli commessi dall’uomo e li ha espiati non perché costretto dalla volontà del Padre, ma perché liberamente lo ha voluto.

L’obbedienza di Cristo alla volontà del Padre, è il gesto di amore verso il Padre e verso gli uomini. Cristo si sacrifica per amore del Padre, dandoGli quella gloria che l’uomo Gli aveva negato con il suo rifiuto d’amore; e si sacrifica per amore dell’uomo, che è suo fratello, in vista del bene comune della famiglia umana.

In nessun momento il Padre ha cessato di amare Suo Figlio: «Ecco il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto»!

Alla 2a antinomia si risponde: la nozione di giustizia è ambigua quando si riferisce a Dio e all’uomo. Non vi è rivalità tra Dio e l’uomo, ne concorrenza tra i diritti di Dio e i diritti dell’uomo. Dio non ha doveri verso l’uomo, perché tutto quello che l’uomo è, e tutto quello che l’uomo ha, è grazia.

La riparazione dell’offesa, non è la causa del perdono di Dio. Dio ci perdona perché è: Amore. E il suo amore non ha spiegazione fuori di Lui – Dio non ha causa fuori di Sé.

Alla 3a antinomia si risponde: il peccato non è un male che l’uomo fa a Dio; il peccato è un danno che l’uomo produce contro se stesso. Col peccato l’uomo colpisce la propria natura: la sua «razionalità», la sua «libertà», la sua «dignità». Col peccato l’uomo rinnega se stesso.

2. Il concetto di riparazione nella teologia personalistica [1] della redenzione

II rapporto tra Dio e l’uomo non è un rapporto di giustizia, ma un rapporto di amore.

Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, come suo figlio adottivo, per amore.

Perciò sulla terra l’uomo è la parola parlata di Dio.

Dio ha redento l’uomo, inviando sulla terra la sua parola sussistente, Suo Figlio Unigenito, che si è fatto uomo per amore dell’uomo.

Nonostante la incorrispondenza dell’uomo all’amore di Dio, ed è questo il peccato del mondo, Dio non ha cessato di amarlo. «Dio così ha amato il mondo, da dare il Suo Figlio Unigenito» (Giov 3,16). Perciò solo l’uomo è beneficiario sia della creazione che dell’Incarnazione. Dio non perde nulla quando l’uomo gli volta le spalle, come non guadagna nulla quando l’uomo corrisponde con l’amore all’amore di Dio.

S. Anselmo lo dichiara apertamente: «La sola causa della mia creazione e della mia redenzione è il tuo amore. Tu ci hai dato molto come creatore e molto più ancora come redentore. Tu mi hai amato quando io non ti amavo e se tu non lo avessi fatto, non avresti fatto che io Ti ami» (Meditazioni XII).

S. Giovanni lo afferma esplicitamente: «In questo consiste l’amore di Dio: non siamo noi che lo abbiamo amato, ma è Lui che ci ha amati per primo e ha mandato il Suo Figlio come vittima di propiziazione per i nostri peccati» (1 Gv 4,10).

Se di giustizia si vuol parlare, riferendola a Dio, è solo quella che noi chiamiamo «distributiva», nel senso che Dio dà a ciascun essere ciò che conviene alla sua natura, e all’uomo ciò che gli spetta.

Poiché il peccato è un atto umano, l’uomo ne è responsabile e il peccato gli è imputabile.

L’uomo pecca perché si rifiuta di amare Dio e il prossimo; di amare Dio nel prossimo.

«Fratelli – scrive S. Giacomo – non parlate male gli uni degli altri. Chi parla male di un fratello e lo giudica, è come se parlasse male della legge di Dio e la giudicasse» e «Una cosa è certa: se voi rispettate la legge del regno di Dio così come la presenta la Bibbia: Ama il tuo prossimo come tè stesso, voi agite bene».

La riparazione del peccato, che è il rifiuto di amare, è pertanto esigenza dell’amore di Dio per l’uomo e dell’amore dell’uomo per Dio.

La riconciliazione è un’esigenza fondamentale dell’amore: «Amor aut similem invenit, aut similem facit».

La riparazione offerta da Cristo per i peccati del mondo, non ha perciò avuto lo scopo di riparare l’offesa recata a Dio, ma di riparare il danno prodotto nell’uomo, che si è chiuso all’amore di Dio.

Cristo ha offerto la sua morte in croce al Padre, non solo per dare ai fratelli l’esempio, ma anche la forza di rinunziare al loro egoismo, di lasciarsi unire a Lui nell’amore del Padre per dare con Lui, una risposta di amore al Padre.

Ci chiediamo: per riparare il peccato del mondo, fu necessario il versamento del sangue di Cristo?

Rispondiamo: certamente no. S. Tommaso afferma che «una sola goccia di sangue», o «una sola parola», detta da Cristo, sarebbe bastata per purificare il mondo da tutti i peccati.

Tutte le azioni di Gesù Cristo, essendo il Figlio di Dio fatto uomo, sono teandriche, cioè, simultaneamente: divine e umane. Perciò le sue azioni umane hanno un valore infinito, perché se il principio elicitivo delle azioni è la natura, il principio attributivo e significativo delle azioni è la Persona, che in Cristo è la seconda Persona della SS. Trinità.

D’altra parte, è lo stesso S. Tommaso che offre, nella legge fondamentale dell’amore, che è la sofferenza, il motivo supremo della convenienza della riparazione cruenta, operata da Cristo: «Maiorem hac dilectionem nemo habet ut animam suam ponat quis pro amicis suis» (Gv 15,13).

Dio non poteva soffrire nella sua natura divina; ebbe perciò bisogno di farsi uomo per dimostrare all’uomo, attraverso la sofferenza, il Suo amore.

In questo modo Dio comprese quanto può costare all’uomo uniformare la propria volontà alla Sua: «Dio, a sue spese, attraverso cioè le sue sofferenze, imparò la virtù dell’obbedienza» (Eb 5,8). L’uomo di oggi desidera e ricerca una divinità che non appaia indifferente, anzi che sia piena di compassione per le manchevolezze dell’uomo, specie per il suo egoismo nell’amore e in questo senso che «compatisca» con loro.

«Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio affinché seguiamo le sue tracce» (1 Pt 2,21).

Poiché il peccato è il rifiuto dell’uomo all’amore di Dio e il ripiegamento dell’uomo nell’amore di sé, era necessario che il peccato fosse vinto alla sua radice.

Cristo, obbedendo al Padre fino alla morte ignominiosa della Croce, ha dato la prova più grande dell’amore più perfetto.

Ci chiediamo perché la S. Scrittura chiama «riscatto» o «prezzo», il sangue versato da Cristo per riparare il peccato del mondo?

Chi è il padrone dell’uomo peccatore?

L’uso del termine «riscatto o prezzo» nella S. Scrittura si comprende bene, rifacendosi al contesto storico della tradizione giudaica, per la quale Israele è il «Popolo eletto di Dio», è la proprietà di Jahvè.

Quando il popolo si mostrava infedele alle promesse fatte al Signore, era da Dio severamente castigato; ne sono esempio i lunghi periodi trascorsi nella schiavitù d’Egitto, nella deportazione in Babilonia, nella dominazione romana.

Ma il castigo di Dio non era mai senza speranza; era come il normale comportamento di un buon padre di famiglia, o di un bravo pedagogo, per indurre alla riflessione e al ravvedimento il figlio scanzonato o il discepolo dalla «dura cervice».

Il riscatto che il popolo ebraico doveva pagare per meritare il perdono, ossia il riacquisto della sua libertà e della sua dignità era il pentimento sincero e il proposito leale di ritornare all’osservanza dei patti e della Legge Divina [2]

Nel Nuovo Testamento, Cristo è il riscatto offerto al Padre per la liberazione del genere umano dal suo peccato.

S. Paolo scrive ai Corinti: «Voi siete stati acquistati ad alto prezzo» (1 Cor 6,20; 7, 23) e ai Galati specifica che questo prezzo è Cristo: «II Cristo ci ha riscattato dalla maledizione della legge» (Gal 3,13)

Possiamo concludere con Carlo Massalki che tutti i termini adoperati nella letteratura vetero e neo testamentaria: redenzione - espiazione - soddisfazione - riscatto - riparazione - sono termini metaforici e servono a significare l’amore infinito di Dio per l’uomo [3].

Per questo motivo Paolo VI, chiudendo l’ultima sessione del Vaticano II, poté giustamente affermare che era stato «Il Concilio dell’uomo», quale oggi in realtà si presenta: l’uomo com’è, che pensa, che ama, che lavora... l’uomo sacro per l’innocenza della sua infanzia, per il mistero della sua povertà, per la pietà del suo dolore... l’uomo individualista e l’uomo sociale... l’uomo peccatore e l’uomo santo. La religione cattolica è per l’umanità».

Il Concilio Vaticano II ha segnato nella storia bimillenaria della Chiesa, l’inizio della teologia personalistica, storica, concreta.

 

[1] Cfr. A. Grillmeier: Considerazione storica dei misteri di Gesù in generale in Mysterium salutis, vol. 6, pag. 12, 599 - Edizione Queriniana - Brescia 1971.

[2] Cfr. Prat, La teologia di S. Paolo, vol. 2°, SEI, Torino, 1961.

[3] Cfr. C. Massalki, Cristo, incontro di due amori. Elle - di - Ci, Torino, 1967, pag. 767, 599.