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Deus absconditus, anno 94, n. 4, Ottobre-Dicembre 2003, pp. 42-46

 

Lorenzo Emilio Mancini *

Madre Mectilde «finestra privilegiata» sulla storia

Prologo

Bernardo di Chiaravalle così esordiva nel suo celeberrimo trattato De diligendo Deo:

«Volete dunque sapere da me perché e in che modo si debba amare Dio. E io vi rispondo: la causa per cui si deve amare Dio è Dio stesso; il modo è amarlo oltremodo. È sufficiente una risposta siffatta? Forse sì, ma per chi è già esperto» [1].

Questo modo di rispondere non ha mai cessato di affascinarmi per la sua eleganza, il suo stile, la sua logica e il suo contenuto; prendendo in prestito, e adattandole al caso, le parole di Bernardo, confesso che avrei voluto rispondere in questo modo ai docenti della commissione del concorso di dottorato di ricerca ai quali esponevo la mia traccia di ricerca e che mi chiedevano «Perché studiare Catherine Mectilde de Bar?». Rivolgendomi, ora, in modo prevalente ad un pubblico monastico femminile costituito dalle discendenti spirituali di Madre Mectilde, potrei terminare qui questo articolo rispondendo «Perché è Catherine Mectilde de Bar!» sicuro di essere capito e compreso dalle monache.

Una storia nella Storia

Spesso luoghi comuni più o meno giustificati portano a vedere la storia e la teologia come due branche del sapere metodologicamente antitetiche e confliggenti: in questa erratissima visione la storia sarebbe nemica della teologia in quanto tenderebbe a smontarne l’impalcatura dogmatica riconducendo tutto a motivazioni sociali, politiche, economiche, umane in ultima analisi. Falso è anche il luogo comune che giudica la teologia inutile per la storia, dotata di un proprio metodo non conciliabile con quello della teologia. Più che inerpicarsi per tortuose questioni di metodologia della ricerca, la tesi della presunta inconciliabilità fra storia e teologia è confutata per via empirica; vi sono, infatti, delle figure la cui analisi dal solo punto di vista storico o dal solo punto di vista teologico, risulterebbe parziale, incompleta ed epistemologicamente non corretta.

Si pensi al caso di Martin Lutero: per anni si è creduto che la causa prima della Riforma luterana fosse da ricercarsi nella questione della vendita delle indulgenze, della simonia e, in generale, nella corruzione e nel malcostume del clero tedesco del XVI secolo. L’analisi del carteggio di Lutero con il suo monastero di Erfurt durante il suo soggiorno romano del 1510 tuttavia non ha rilevato nessuna presa di posizione del monaco tedesco nei confronti della Curia Romana di Leone X (ambiente non certo noto per la sua santità di vita!). Una successiva lettura teologica più approfondita da parte degli storici ha portato ad individuare le cause principali della Riforma di Lutero nel problema soteriologico e, negli aspetti di carattere sociale, culturale ed economico delle concause [2].

Il caso di Lutero è sicuramente il più noto, ma in termini analoghi si potrebbe parlare di Francesco di Assisi, di Caterina da Siena, o di Roberto Bellarmino o, come intendiamo fare, di Catherine Mectilde de Bar.

Nel caso della monaca lorenese fondatrice delle Benedettine dell’Adorazione Perpetua il connubio storia-teologia, di cui abbiamo poc’anzi parlato, non è solo utile, ma indispensabile al punto che sarebbe possibile ricostruire una storia della Francia del XVII secolo attraverso la vita della De Bar, che si rivela essere una sorta di ‘finestra privilegiata’ su uno degli scenari storici più complessi in cui politica e religione si stringono in un intreccio che non sempre ne permette una chiara e netta separazione.

La lunga parabola di vita della Madre, di ben 84 anni (quasi il doppio di una vita media di quel tempo!) permette che nomi del calibro di Luigi XIII, Luigi XIV, Anna d’Asburgo, Richelieu, Mazarino, Bossuet, De Bérulle, Fénelon, entrino in modo più o meno diretto nella vita di Catherine Mectilde De Bar, mentre calvinismo, giansenismo, quietismo, Guerra dei Trent’anni, Fronde e «Rivoluzione monarchica» [3] di Luigi XIV sono scenari a volte paralleli a volte intersecanti con l’opera della Fondatrice.

Tuttavia, se tanti ed interessanti sono gli spunti di indagine, tale entusiasmo si scontra con un notevole deficit di studio di studi storici sul personaggio, che rende più stimolante (ma anche più faticosa!) la ricerca.

La lettura delle vite scritte sulla Madre fra la fine del XVII secolo e gli inizi del XX ha fatto emergere la necessità di una rielaborazione dei dati in chiave scientifica e meno agiografica (nell’accezione devozionistica dell’aggettivo); le vite più recenti, quelle cioè pubblicate tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento non sono altro che rielaborazioni (talvolta vere e proprie trascrizioni) di quelle precedenti e risentono inevitabilmente del linguaggio, del clima storico e spirituale che le ha prodotte. Il contesto ambientale (politico, sociale e religioso) in cui Catherine nacque e si formò non è assolutamente delineato (se non geograficamente) a vantaggio di numerosi particolari tipici della letteratura agiografìca seicentesca tesa a reperire in ogni atto e in ogni fase della vita del personaggio, elementi di santità; a ciò si aggiunga, inoltre, la quasi totale assenza di un apparato critico che permetta di verificare dati e affermazioni del biografo.

La figura, l’opera, la spiritualità e la teologia di Catherine Mectilde de Bar risultano, dunque, ancora oggi studiate in minima parte e molti dei suoi scritti sono ancora inediti, seppure facilmente reperibili negli archivi dei monasteri della Congregazione; tuttavia la disciplina della clausura delle Benedettine dell’Adorazione Perpetua non ha facilitato le ricerche sulla Madre Fondatrice da parte delle monache stesse.

L’assenza di studi critici approfonditi sul personaggio vorrebbe, tuttavia, essere compensata da una grande quantità di articoli comparsi sulle riviste dei singoli monasteri delle Benedettine dell’Adorazione Perpetua tra cui è doveroso ricordare il contributo di Giovanni Moioli [4]; questa abbondanza di piccoli studi (piccoli esclusivamente dal punto di vista della mole, sia chiaro!) sulla Madre De Bar non è mai riuscita, tuttavia, a tradursi in un unicum organico e coerente, lasciando l’indagine inevitabilmente frammentaria e lacunosa. Anche nel 1998, in occasione dei trecento anni della morte di Catherine Mectilde de Bar, la produzione letteraria edita sul personaggio in questione non ha registrato incrementi notevoli o degni di menzione.

Vi è poi la questione degli archivi. Le monache dei vari monasteri (Francia, Germania, e Polonia in particolare) non hanno mai cessato di catalogare le varie versioni dei manoscritti di opere della Madre o a lei più o meno direttamente collegate, ma possiamo essere abbastanza sicuri che una parte (non stimabile in quantità) sia ancora presente e reperibile, non senza difficoltà, negli archivi di Francia; tale supposizione è sostanzialmente alimentata da casi analoghi a quello della Madre, il cui patrimonio archivistico dovette passare per le varie angherie cui furono sottoposte la quasi totalità delle realtà religiose in Francia principalmente fra la rivoluzione e il periodo napoleonico.

A ciò si aggiunga, poi, tutto il materiale reperibile (questa volta in maniera certa) presso gli archivi vaticani: in questa sede sarà consultabile principalmente tutto il materiale legato all’iter giuridico-canonico di approvazione della Congregazione e delle relative Costituzioni come attestato da alcuni documenti inediti [5].

Ma, in tema di ricerche di archivio, non si può certo dimenticare il contributo fondamentale, lasciatoci da Sr. Véronique Andral che, fino all’ultimo ha lavorato alacremente alla causa di Madre Mectilde e con mezzi non sempre all’altezza del compito che svolgeva. Da ricordare è sicuramente il lavoro sul Véritable Esprit (redatto in collaborazione con M. Emanuela Piazza) in cui la Andrai ricostruisce dettagliatamente la genesi del testo, ponendo in sinossi le tre edizioni del testo e annotando a margine le eventuali variazioni coi manoscritti. A ciò si aggiunga il lavoro di strutturazione teologico-spirituale del testo per cerchi concentrici che tanto ricorda (seppure nella profondissima diversità teologica e di intenti) lo schema dei sentieri tracciati graficamente e spiritualmente da Juan de la Cruz nella «Subida del monte Carmelo».

Volendo, dunque, individuare delle precise piste di ricerca per non annegare nell’affascinante mare magnum delle ricerche mectildiane potremmo così schematizzare alcuni temi di ricerca in due filoni principali:

Lo studio del contesto formativo di Catherine Mectilde de Bar.

Innumerevoli per quantità e insostituibili per qualità sono gli studi sulla Francia del cosiddetto Grand siècle in particolare sulle figure e i movimenti culturali che ne orientarono la teologia, la spiritualità e la devozione. Madre Mectilde respirò a pieni polmoni questa aria, non già solamente durante la sua formazione religiosa, ma anche durante l’infanzia. Non dimentichiamo, infatti, che parlando di Lorena, parliamo di un contesto vivace (e travagliato) da un punto di vista politico, culturale e dei conflitti religiosi: se infatti la terra natale di Madre Mectilde fu una delle zone in cui, già prima del Concilio di Trento, erano visibili e tangibili segni di riforma, non va dimenticato che la stessa fu una terra dove il giansenismo raccolse grande consenso. Tale vivacità e multiformità rende ancora più complessa (ma al tempo stesso stimolante) l’analisi del back ground mectildiano.

Lo studio delle Costituzioni delle Benedettine dell’Adorazione Perpetua.

Le varie edizioni delle Costituzioni presentano già nei titoli delle particolarità redazionali differenti da una versione all’altra, che fungono da indicatori di tematiche più ampie sottese come ad esempio il problema dell’autonomia dei monasteri rispetto all’autorità episcopale e, più in filigrana, il più grande problema dei rapporti tra Chiesa e Stato in Francia nel XVII secolo. Ma al di là delle problematiche più strettamente giuridico-canoniche e storico-istituzionali è altresì interessante ricostruire attraverso tutta la letteratura collegata alle Costituzioni, il particolare clima di entusiasmo e di affetto nei confronti della fondatrice che animava (e anima tuttora) l’Istituto: ancora nell’edizione del 1862 le monache di Arras non rinunciano a pubblicare le Costituzioni mettendo in sinossi il testo approvato da Clemente XI con quello riconducibile al pensiero della Madre con l’effetto di porre in risalto differenze talvolta non solo formali, ma sostanziali che, pur in contrasto con quanto poi disposto dalla Santa Sede, costituivano tuttavia la «volontà della Madre» [6].

Sempre dall’analisi di tali testi, poi, emerge quello strettissimo legame che sempre strinse fin dalla nascita le figlie di Madre Mectilde a quell’altro grande ramo della tradizione benedettina francese: la Congregazione di San Mauro, tanto che dom Jean Leclercq non aveva dubbi nel definirle come le eredi della tradizione maurina [7]. Ciò non è solamente evidente dal fatto che furono due maurini a seguire a Roma l’iter di approvazione delle Costituzioni delle Benedettine dell’Adorazione Perpetua [8] ma anche per via dei numerosi tratti comuni fra le due realtà; si pensi ad esempio alla scelta di Madre Mectilde di porre al vertice dell’Istituto e di ogni singola casa, una badessa di rango davvero eccezionale come la Vergine Maria, delegando le funzioni abbaziali ad una priora, come già era avvenuto agli esordi della Congregazione di San Mauro con dom Grégoire Tarrisse primo Superiore Generale [9].

Questi, si diceva, sono solo due filoni principali di ricerca, come due grosse arterie da cui si diramano numerose vene e numerosissimi capillari che sono le implicazioni fra la vicenda mectildiana e il panorama storico su cui Madre Mectilde è proprio una finestra privilegiata.

Studiare Catherine Mectilde de Bar significa, allora, ricostruire attraverso il prisma di una personalità di altissimo rilievo, il fascio di problemi e di contrasti che contrassegnarono la Francia del XVII secolo, ponendo in luce il complesso delle relazioni che strinsero il personaggio con i protagonisti dell’epoca, sia religiosi, sia laici: si vede allora come ogni forzosa separazione del sapere storico dal sapere teologico – quasi fossero «compartimenti stagni« – sia controproducente se non addirittura dannosa.

Epilogo

Se dunque il motivo di studiare Catherine Mectilde de Bar è il fatto stesso che lei sia esistita e abbia operato e il modo di studiarla è «oltremodo», per via delle numerose implicazioni qualitativamente e quantitativamente considerevoli, non resta che affinare gli strumenti di indagine, consacrare una buona parte di tempo a questa causa e avventuarsi su questo cammino armati – in pieno spirito mectildiano – di «grande semplicità e profonda umiltà» [10].



* Dottorando di ricerca in Scienze storiche presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Oblato del Monastero «San Benedetto» di Milano. Appunti e riflessioni sull’incontro di presentazione del progetto di ricerca su Catherine Mectilde de Bar tenutosi a Ghiffa il 7 aprile 2003.

[1] San Bernardo di Chiaravalle, Il dovere di amare Dio, Milano, Edizioni Paoline, 1990, pp. 112-113.

[2] Si veda a tal proposito Guido ZAGHENI, L’età moderna. Corso di storia della Chiesa, Cinisello B. (MI) San Paolo, 1995, pp. 58-127, in particolare p. 62.

[3] Giovanni Ruocco, «Lo Stato sono io». Luigi XIV e la «rivoluzione monarchica» del 1661, Bologna, Il Mulino, 2002.

[4] Giovanni Moioli, Il «Vero spirito» di M. Mectilde de Bar: una proposta «spirituale», le sue motivazioni, la sua attualità, in «Deus absconditus», LXXI (1980), nn. 5-6, pp. 107-131.

[5] Mi riferisco qui principalmente alla Relation du voyage des R..ses du S.St de la rue S. Louis au Marais, appelées à Rome par la reine de Pologne Marie Casimira ( 1698-1708), manoscritto L 1076 n. 1, Archivio Nazionale (FRANCIA).

[6] Si veda Constitutions des Religieuses Bénédictines de l’Institut de l’Adoration perpétuelle du Très-Saint Sacrement de l’Autel. s.l.. s.e., s.d..

[7] Jean Leclercq, Saint-Germain e le Benedettine di Parigi, in Véronique Andral (a cura di), Catherine Mectilde de Bar.l. Un carisma nella tradizione ecclesiale e monastica, Roma, Città Nuova, 1988, pp. 257-266 in part. p. 266 (Ed or.: Saint-Germain et les Bénédictines de Paris, in «Revue d’Histoire de l’Église de France», XVLIII(1957), n. 140, pp. 222-230.

[8] Si tratta di dom Guillaume Laparre e di dom Claude de Vic. Si veda a tal proposito Daniel-Odon Hurel, Mère Mectilde et les Mauristes, in AA.VV, Recherches sur place. Rencontres avec Mectilde de Bar et son époque, Paris - Rouen, Bénédictines du Saint-Sacrement, 1999, pp. 1-30, in part. p. 15.

[9] Si veda a tal proposito Francois ROUSSEAU, Un promoteur de l’érudition française: dom Grégoire Tarrisse, premier Supérieur Général de la Congrégation de St. Maur, Lille, Desclée, 1924.

[10] Catherine Mectilde de Bar, Attesa di Dio. Riflessioni sulla Regola di San Benedetto, Milano Jaca Book 1981, p. 126 (Ed. or. Catherine de Bar, à l’écoute de saint Benoît, Rouen, s.e., 1979).