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Deus absconditus,  anno 93, n. 3,  Luglio-Settembre 2002, pp. 32-34

 

Sr. M. Cecilia La Mela osb ap Monaca del Monastero «S. Benedetto» di Catania.

Madre Mectilde e il Giansenismo; divergenze dottrinali e morali sulla comunione frequente

 

L’opera di madre Mectilde si inserisce in un periodo storico vario e contrastante, un contesto carico di esigenze di un maggior rigore morale; il desiderio di rinnovare i costumi della società e la reazione alla tiepidezza di tanti cristiani. Sono gli anni del Concilio di Trento e dei contrasti tra la Riforma e la Chiesa Romana, primo fra tutti quello sul ruolo della Sacra Scrittura come norma di fede e di giustificazione, ma anche delle polemiche sui Sacramenti e in particolare sull’Eucaristia.

In tale contesto si inserisce il Giansenismo, sorto da un lato come reazione ad un certo lassismo diffuso nel Seicento, dall’altro come esasperazione delle controversie sulla grazia nate dalla diffusione dei movimenti protestanti.

Il Giansenismo, prendendo lo spunto dal pensiero calvinista e da alcuni aspetti deteriori della pietà popolare, sosteneva una dottrina molto rigorosa sul tema della grazia e della penitenza, secondo quanto affermava Cornelio Giansenio, Vescovo di Yprès, iniziatore del movimento.

Giansenio si oppose all’autonomia dell’uomo affermando che la ragione è inutile e dannosa alla fede, interpretando in modo restrittivo la teologia di sant’Agostino, negando, cioè, ogni forma di libero arbitrio e attribuendo soltanto alla grazia la salvezza di ciascuno. Si avvicinava così al concetto di predestinazione proprio del calvinismo che distingueva, all’interno della Chiesa, il gruppo degli eletti e quello dei dannati.

Insieme alla dottrina sulla grazia, il Giansenismo si caratterizzò per l’importanza data all’intimità della fede, trovando la sua applicazione pratica soprattutto nel campo della morale.

Negli anni immediati la fondazione del nostro Istituto, sembra che, tra l’altro, madre Mectilde abbia súbito l’ostilità del gruppo giansenista che un tempo aveva sperato di attirarla a sé. Ella, nei suoi scritti, non prende una posizione netta nei confronti del Giansenismo, a lei contemporaneo, che viene ripetutamente condannato come eretico dalla Chiesa, ma il suo pensiero, pur influenzato dalla spiritualità intimistica del tempo, se ne discosta in molti punti, soprattutto per quanto riguarda il tema della comunione frequente.

Il Giansenismo fu diffuso in Francia dall’abate di Saint-Cyran che trovò come suo centro il monastero femminile cistercense di Port-Royal-des-Champs. Egli incoraggiò l’abbadessa Jacqueline Arnauld verso un rigore inumano, tanto che le monache di Port-Royal finirono poco a poco per accostarsi raramente alla comunione e una di esse, madre Agnese, redasse un opuscolo che esprime chiaramente alcune tendenze nettamente individuabili in quell’ambiente. Si tratta del Rosario segreto del SS. Sacramento, che esaltava i vari attributi dell’Eucaristia: l’incomprensibilità, l’inaccessibilità, l’incommensurabilità. Il sacramento dell’amore diventava così il sacramento del timore.

Ma fu soprattutto l’opera di Antoine Arnauld, fratello di Jacqueline, Traité de la fréquente Communion, e che può essere considerato il manifesto del movimento giansenista, a negare la compatibilità della vita religiosa con la vita del mondo ponendo, per ricevere degnamente la comunione, esigenze superiori alle possibilità della natura umana, finendo con il trasformare il sacramento dell’Eucaristia da soccorso alla debolezza umana in una sorta di premio per anime privilegiate.

Madre Mectilde invece, fedele alle disposizioni del Concilio, consiglia ed esorta alla comunione frequente ed è veramente ammirevole in lei questo sentimento che si basa su fondamenti teologici che penetrano con sicurezza nello spirito della Chiesa.

«Ci sono anime che ricevono tanto da Gesù con la santa comunione. Proprio con questo mezzo così prezioso il Signore trasforma l’anima in sé, imprimendole la sua divina somiglianza. La comunione è un mistero che molto pochi comprendono come merita; con Dio, quanto maggiore è la semplicità, il rispetto, l’abbandono, tanto meglio è; non c’è bisogno di parlare molto: Egli penetra il nostro cuore e ne vede il benché minimo movimento» [1].

Questa semplicità di spirito è motivata da due solide affermazioni, si potrebbe dire, sconosciute alla mentalità giansenista eccessivamente timorosa del peccato e votata ad un rigore morale che porta al pessimismo e ad un forte senso di oppressione interiore.

Una di questa affermazioni è che Dio si sente più offeso dalla mancanza di fiducia nella sua bontà che non dal peccato stesso. Non bisogna restare fermi a commiserazioni sterili e spesso nocive, ma umiliarsi di fronte alla maestà divina e lasciarsi inondare dalla misericordia di Dio, trovando in Lui, e non in noi stessi, la forza per risollevarsi e progredire.

L’altra affermazione che porta la Madre ad abbandonarsi a quella povertà di spirito che è semplice e pacata accoglienza della natura umana è che «non vi è peccato se non quando la volontà vi aderisce» [2]. L’importante è agire con retta intenzione e puro amore. Purché la volontà sia innocente e contraria al peccato, Dio per sua bontà tollera la nostra corruzione benché infinitamente opposta alla sua santità.

Queste considerazioni sono ben lontane dallo spirito del giansenismo i cui membri vivevano la paura di ricorrere con frequenza ai Sacramenti perché, dimentichi della disponibilità divina al dialogo e al perdono, definivano l’uomo come totale e irrecuperabile indegnità.

Quello che manca, soprattutto, nella visione giansenista è la scoperta fondamentale che ogni cristiano è chiamato a fare della paternità di Dio.

Madre Mectilde scopre e vive la presenza di Dio Padre nella propria esperienza di donna, e questo è decisivo nel consolidamento in chiave positiva dei principi della sua spiritualità. L’amore di Dio ci spinge a fare grandi cose e a provare gioia non perché Egli ci da dei benefici, ma nel vederlo amato e glorificato. Non è stata questa, in fondo, tutta la vita di madre Mectilde?

 



[1] Catherine Mectilde de Bar, Il sapore di Dio, ed. Jaca Book, Milano 1977, p. 275.

[2] Catherine Mectilde de Bar, Attesa di Dio, ed. Jaca Book, Milano 1982, p. 58.