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Deus absconditus, anno 88, n. 3, Luglio- Settembre 1997, pp. 4-11

 

Benedettine di Ghiffa
383, ma non li dimostra

Il 6 aprile 1698, all’età di 84 anni, la lunga e movimentata vita terrena di madre Mectilde del SS. Sacramento (Catherine de Bar) si spalancava sulla dimensione eterna: «Me ne vado al mio Dio, me ne vado al Padre mio», disse la Madre il giorno prima di raggiungere per sempre quel Dio che per tutta la vita aveva appassionatamente cercato, amato e fatto amare.

L’inserimento del carisma monastico dell’adorazione perpetua del SS. Sacramento nel solco della millenaria tradizione monastica benedettina, già alla morte della Madre appariva realizzato e operante nei dieci monasteri da lei fondati: nove in Francia e uno in Polonia.

Oggi, i 47 monasteri che in questo carisma si riconoscono e che ancora si sforzano di vivere, si preparano a celebrare il tricentenario della morte della loro fondatrice come momento importante per la vita dell’Istituto ma anche come evento di Chiesa.

Ogni carisma nasce nella Chiesa e per la Chiesa

Ogni forma di vita religiosa che nasce all’interno della Chiesa è testimonianza della fecondità dello Spirito che, sempre presente in essa come dono del Risorto, la anima, la vivifica, la rinnova dal di dentro. Ogni carisma è perciò un aiuto per tutto il corpo della Chiesa a progredire nell’intelligenza della fede. Nella diversità dei carismi e nella santità dei fondatori si può riconoscere l’azione dello Spirito che guida verso la verità tutta intera.

I fondatori, guidati dallo Spirito, completamente e docilmente abbandonati alla sua azione, sono condotti a comprendere in profondità un particolare aspetto del mistero di Cristo: sono resi capaci di penetrarlo in modo nuovo – ecco il loro contributo! – e di rendersene interpreti ed esegeti presso altri.

La loro è – come ha sottolineato Fabio Ciardi – una esegesi vivente [1], cioè una lettura che, dopo essere stata da loro interiorizzata e integralmente vissuta, si traduce in vita per altri, dando luogo ad una famiglia religiosa la quale, a sua volta, diviene, se rimane fedele alle indicazioni del fondatore, una esegesi vivente collettiva.

Per i fondatori, come per i santi in genere, si può affermare che attraverso essi la Chiesa cresce nella comprensione e nell’assimilazione al mistero cristiano, e così trasforma il proprio essere sempre più in quello di Cristo.

Si tratta, in fondo, del cammino di ogni cristiano che tanto più è maturo quanto più manifesta la piena conformità a Cristo e ne riproduce in sé i lineamenti.

Si tratta di verità riaffermate anche nella recente esortazione apostolica post-sinodale Vita Consacrata (un documento, val la pena di ricordarlo, indirizzato a tutta la Chiesa e non solo ai consacrati). Al n. 36, Giovanni Paolo II ricorda che in ogni carisma di fondazione «domina “un profondo ardore dell’animo di configurarsi a Cristo, per testimoniare qualche aspetto del suo mistero”, aspetto specifico chiamato a incarnarsi e svilupparsi nella più genuina tradizione dell’Istituto, secondo le Regole, le Costituzioni e gli Statuti».

I fondatori e le fondatrici si fanno quindi strumenti dello Spirito di Verità che è unico, ma che ricorda e attualizza, in forme sempre diverse, le parole di Gesù. Ogni nuovo carisma è quindi come un «dispiegarsi di Cristo lungo i secoli, un Vangelo vivo che si attualizza in sempre nuove forme» [2].

Il carisma di Mectilde de Bar (1614-1698)

La consapevolezza dell’attualità del carisma mectildiano è cresciuta in questi ultimi decenni tra le monache dell’Istituto delle Benedettine dell’Adorazione perpetua del SS. Sacramento. Negli anni che seguirono immediatamente il Concilio Vaticano II non mancarono le voci, anche all’interno della Chiesa, che profetizzarono l’imminente passaggio della spiritualità benedettino-mectildiana nel novero dei «carismi da naftalina». Paradossalmente, fu proprio lo straordinario impulso dato dal Concilio su tutti i fronti, a guidare l’Istituto verso una più piena comprensione del pensiero della sua fondatrice.

Fiorirono studi, pubblicazioni, interventi di autorevoli studiosi, non solo del mondo monastico. Il lavoro – tuttora in corso – delle archiviste del monastero di Rouen, i contributi di suor Marie-Véronique Andral e di suor Genovefa Guerville ci hanno consegnato un patrimonio di scritti (e non sono ancora tutti!) che costituisce un autentico magistero nato nel vivo dell’esperienza di fede di Catherine de Bar. È inoltre motivo di gioia il constatare l’interesse che il pensiero della fondatrice continua a suscitare nelle giovani monache dell’Istituto.

Alla luce delle grandi riscoperte e delle grandi intuizioni del Concilio, il pensiero mectildiano è emerso in tutta la sua attualità. Anzitutto esso si inserisce, ormai senza più ombra di dubbio, nel solco della più autentica tradizione monastica [3]. Madre Mectilde è – come è stato osservato – «una monaca benedettina che “riprende” la propria esperienza, la propria “regola»”, la propria tradizione dal punto di vista eucaristico, che è il suo» [4]. Come tale, essa riprende i temi essenziali della vocazione cristiana. La sua esperienza di credente del XVII secolo parla ancora a noi oggi. Al suo tempo, madre Mectilde fu un’eminente maestra di spirito: delle oltre 3.000 lettere che compongono il suo epistolario, più di 600 sono indirizzate a laici – per lo più donne – verso cui la Madre esercitava una saggia, illuminata e ferma opera di direzione spirituale [5].

La mole dei suoi scritti ci presenta un pensiero ricchissimo, segnato dalle influenze e talora dai limiti del «secolo d’oro» della spiritualità francese, ma al contempo pervaso da un’originalità e da una vitalità tutta personale. Certo, non si può negare che il linguaggio dell’epoca possa presentare per il lettore di oggi qualche difficoltà: tuttavia, anche se la scorza appare un po’ dura, vorremmo solo per questo negarci la gioia di assaporare un frutto squisito e gustoso?

Un messaggio ancora attuale

Quali sono le linee spirituali che la Madre va tracciando a coloro che si affidano alla sua guida? Stiamo parlando – è bene ricordarlo – della sua opera di direzione spirituale nei confronti di semplici fedeli, poiché le 2.000 lettere indirizzate alle monache ci testimoniano il suo «magistero monastico» che non è possibile mettere in luce in poche righe.

Ci chiediamo quindi semplicemente: cosa può attingere, per la sua vita spirituale, un cristiano di oggi che si accosta agli scritti di questa monaca francese vissuta oltre tre secoli fa?

Attinge, anzitutto, alcuni punti fermi:

- la vita cristiana è un cammino esigente per tutti.

Il Battesimo impegna ogni cristiano, indipendentemente dal suo «stato di vita», a vivere in modo «pasquale», passando continuamente dalla morte (a se stessi, al peccato, al proprio orgoglio ed egoismo) alla vita (vita «risorta», vita di grazia, vita di Cristo in noi). Le parole di Gesù «chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua», non implicano forse questa radicalità? La fermezza di madre Mectilde nel richiamare le esigenze del Battesimo è un «ritornello spirituale» che ricorre con grande frequenza. E quel termine tanto temuto, «annientamento», nel quale è sintetizzato questo dinamismo pasquale morte/vita altro non è che la pratica delle parole di san Paolo: «O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù siamo stati battezzati nella sua morte?» (Rm 6,3). E ancora: «Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù (Rm 6,11)... Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra....» (Col 3,5a). Mortificate, cioè fate morire... «annientate» direbbe la Madre: «Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni, e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore» (Col 3,9b-10); «Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5,24-25).

Il vigore del suo pensiero a questo riguardo scaturisce dalla comprensione profondamente paolina del Battesimo, visto come prima e fondamentale consacrazione:

«Nel battesimo ricevete in Gesù la sua vita di morte e la sua vita risuscitata. San Paolo dice: Voi siete morti, e la vostra vita è nascosta in Gesù. Ricevete una vita di morte ossia una crocifissione nei vostri sensi, nelle passioni, nella volontà, nei vostri desideri e inclinazioni; insomma in tutto quello che voi siete secondo Adamo. Il vostro battesimo è un’espressione della morte di Gesù in croce e della sua risurrezione (… )

Dovete morire continuamente a voi stessa e alle creature: ecco il rapporto con la croce. E bisogna che camminiate, come dice san Paolo, in novità di vita (...) Gesù ha fatto nuove in voi tutte le cose (...) Vivete dunque con cuore e spirito rinnovati fate un cambiamento di vita» [6].

Le esigenze della conversione sono per tutti i battezzati: questo vuole insegnare madre Mectilde. E il cammino della conversione è fatica. Ci chiede di morire continuamente, di «annientarci». Parole che suonano indubbiamente dure se non addirittura prive di senso in un mondo dove il protagonismo, il culto dell’io sino all’idolatria, costituiscono, di fatto, l’orizzonte dei valori. Ma non è questa la direzione giusta per chi ha scelto la sequela di Colui che si pone come modello di umiltà e di mitezza, le uniche due virtù per le quali il Signore Gesù abbia detto «Imparate da me».

Si tratta di prendere sul serio il Vangelo: se il nostro modello è Cristo, il nostro cammino deve essere il Suo, anche oggi. Così esprime questa verità una delle voci più interessanti del nostro secolo, quella di Simone Weil:

«Egli si è vuotato della sua divinità. Noi dobbiamo vuotarci della falsa divinità con cui siamo nati. Una volta capito che si è nulla, il fine di tutti gli sforzi è diventare nulla (...) Dio mio, concedetemi di diventare nulla (...) Essere nulla per essere al proprio vero posto nel tutto» [7].

- La vita cristiana è un cammino graduale.

«Non si diventa perfetti in un istante; avete tutta la vostra vita per arrivare alla perfezione che Dio vi destina. Non precipitate nulla in quello che vi riguarda. Camminiamo nella misura in cui Dio ci conduce» [8].

È necessario tuttavia guardarsi da un attivismo eccessivo, che non giova affatto alla vita spirituale, come pure dalla convinzione che la comprensione intellettuale e la facilità di «parlare» di cose spirituali siano segno dell’avvenuta conversione.

La vita cristiana, che è cammino di santità, non è frutto solo dei nostri sforzi, dietro i quali spesso si celano orgoglio e presunzione, ma è abbandono fiducioso alla potenza di Dio, è semplificazione interiore, è silenzio ed umiltà, è giusto senso della grandezza di Dio, è sincero e sereno sguardo su di Lui e su noi stessi. Non abbiamo bisogno un po’ tutti di ripensare al nostro cammino in questi termini?

«No, no; non occorrono tante cose per la vita interiore. Bisogna solo... credere in Dio e abbandonarsi tutta al suo amore» [9].

«Beata l’anima che può affidarsi e abbandonarsi a Dio; farà più progressi di quelle che parlano tanto: non è il discorrere che perfeziona, ma la vera umiltà e la buona mortificazione» [10].

È interessante notare come madre Mectilde non manchi di fine senso umoristico quando si trova di fronte ad una delle sue figlie spirituali più «vivaci» come la contessa Marie de Châteauvieux, che sembrano voler gareggiare con lo Spirito Santo in quanto a sapienza:

«Non so se... devo continuare a scrivervi, perché vedendo tanta scienza nei vostri scritti, si può dirvi ancora qualcosa?» [11].

- la vita cristiana è «diventare Gesù Cristo».

È questo il nostro fine. Non si tratta di guardare a Cristo come a un modello etico, ma di assimilarci a Lui, di lasciare che la sua vita divina diventi l’unica nostra vita. È molto facile anche oggi ridurre la fede cristiana a un semplice codice comportamentale, per quanto nobilissimo. No, il cristianesimo è molto, è molto di più. È Cristo che vive in noi, è la stessa vita Trinitaria che fluisce in noi e ci fa «pulsare» in essa. È anzitutto vita teologale, che informa e rifulge in tutto il nostro essere e in tutte le nostre azioni:

«E se mi domandate di qual vita dovete ormai vivere, vi rispondo: non della vita delle anime buone, né degli angeli e nemmeno della vita dei santi, ma della vita pura e santa di Gesù. I vostri anni devono essere un proseguimento degli anni di Gesù, e di conseguenza la vostra vita un proseguimento della sua vita» [12].

«La nostra anima deve essere unita all’anima di Cristo, e tutte le nostre azioni devono aver rapporto con le sue. Ecco il nostro obbligo, poiché dobbiamo essere Gesù Cristo in ogni cosa» [13].

L’Eucaristia, centro della vita cristiana

Madre Mectilde non ha scritto trattati sull’Eucaristia. Il suo linguaggio è più simile a quello dei mistici, con una varietà di registri simile a quella di un grande e antico organo da cattedrale. I paradossi, le iperboli ricorrono con grande frequenza: le leggi rigorose della grammatica e della sintassi cedono talvolta il passo alla sua prosa irruente che spazia con la medesima naturalezza dalle «altezze» di Dio alla concretezza della quotidianità. Del resto, è cosa risaputa che nessuno sa essere più realista dei santi.

Non ha scritto – dicevamo – trattati sull’Eucaristia. Ma ha fondato un Istituto che, pur nell’osservanza integrale della Regola Benedettina, pone un’attenzione particolare al Mistero Eucaristico. E la sua è stata un’esistenza votata interamente all’Eucaristia, che ella vede come il bene più grande dato alla Chiesa sulla terra. Dall’Eucaristia, che considera come «luogo» in cui Cristo riattualizza il suo mistero pasquale e da cui sgorga ogni grazia per l’umanità. La comunione sacramentale è il momento privilegiato in cui la vita divina entra in noi:

«Nostro Signore vuole essere mangiato da noi, per stabilire in noi la sua vita divina e affinché entrando in Lui e Lui in noi, attraverso la sacra manducazione della sua carne adorabile, si faccia una cosa sola di Lui e di noi...» [14].

Ciò spiega perché la Madre vuole che le sue monache assicurino un culto continuo a questo mistero attraverso l’adorazione perpetua, cioè attraverso la presenza fisica continua davanti all’Eucaristia, giorno e notte, con l’intento di «riparare» le profanazioni e i sacrilegi del suo tempo e di tutti i tempi.

«Non tralasciate di adorare il Santissimo Sacramento, che è la principale e maggiore devozione, quella che tutti i cristiani devono avere» [15].

Sarebbe però riduttivo pensare che ella consideri l’amore e l’adorazione verso l’Eucaristia come una semplice «devozione», per quanto importante. La Madre definisce l’adorazione perpetua un «rinnovamento universale di tutta la vita».

C’è una dimensione più profonda, che non si esaurisce semplicemente nello stare ai piedi del Tabernacolo. Il contatto assiduo con questo mistero avvolge tutta l’esistenza.

Ecco perché il messaggio di madre Mectilde può essere fatto proprio anche dai semplici cristiani. L’adorazione perpetua può essere vissuta anche nel mezzo delle occupazioni quotidiane, che sembrano assorbirci interamente:

«La nostra adorazione deve essere perpetua, poiché lo stesso Dio che noi adoriamo nel SS. Sacramento ci è continuamente presente in tutti i luoghi. Dobbiamo adorarlo in spinto e verità: in spirito, con un santo raccoglimento interiore; in verità, facendo in modo che tutte le nostre azioni (exercices) siano un’adorazione continua...» [16].

E questa attenzione non può essere vissuta concretamente anche nella vita quotidiana, nelle nostre occupazioni? Vivendole in spirito di adorazione, come continuazione della santa Messa quotidiana, le nostre attività, di qualunque genere esse siano, possono diventare «adorazione».

L’adorazione infatti, non può essere concepita che come prolungamento del Sacrificio eucaristico della Messa.

In un testo molto bello che presenta in tutta la sua ricchezza il tesoro – spesso ignorato – dell’Eucaristia [17], Daniel Ange così spiega quanto stiamo dicendo:

«Ebbene, questa adorazione «concentrata« nel momento in cui si opera il grande mistero [la celebrazione della Messa], deve essere «scaglionata« nel tempo. Più un’adorazione diffusa che differita sul ritmo delle ore del giorno e della notte, ma che sempre trova il suo punto di partenza, di riferimento e di arrivo nella divina liturgia. La straordinaria luce di questa può, così, rifrangersi sul tessuto della quotidianità e colorarne il grigiore. Quale splendore!» [18].

Ecco! Lasciare che la luce dell’Eucaristia illumini e dia valore anche alle azioni che reputiamo più banali e insignificanti. Un modo semplice ma efficace di riscattare quello che spesso erroneamente definiamo il terribile quotidiano ma che può in realtà trasformarsi in una continua e sacra liturgia, in una adorazione continua. Allora la gioia riempirà il nostro cuore: ne faremo l’esperienza e scopriremo che il contatto con questo Mistero, anche quando non saremo fisicamente presenti davanti a un Tabernacolo, ma mente e cuore cercheranno di raccogliersi, di tanto in tanto, e di rendersi «presenti alla Presenza», ci trasformerà pian piano, e che questa Presenza sarà per noi consolazione, sostegno, richiamo, invito. Essa ci attirerà sempre più all’interno di quello stesso movimento di amore che ha spinto Cristo a consegnarsi totalmente a noi nel Pane Eucaristico. Ci renderà partecipi della sua carità:

«Nella santa Eucaristia (è questo il senso dell’adorazione perpetua) entriamo in questo movimento dell’amore dal quale scaturisce ogni efficacia apostolica (Gv 12,32).

Cristo ci coinvolge nel movimento della sua offerta e della sua adorazione» [19].

La nostra vita ne sarà così trasformata. Non ci resta che fare questa esperienza!

Un’ispirazione autentica

Chissà come avrebbe gioito Mectilde de Bar della definizione di fons et culmen che è stata data all’Eucaristia! Nel Sacramento dell’Altare ella vi ha realmente visto «il Tutto in un frammento»!

Il suo messaggio non ha perso nulla della sua attualità e ancora oggi questa monaca può essere maestra per ogni cristiano, come «maestro è ogni santo».

«Lo sviluppo continuo del culto di adorazione eucaristica è una delle più meravigliose esperienze della Chiesa: l’incomparabile fioritura di santità che ne deriva, il grande numero di comunità intere espressamente consacrate a questa adorazione garantiscono l’autenticità di tale ispirazione...» [20].

Ci auguriamo che il terzo centenario della morte di madre Mectilde de Bar riporti alla luce e diffonda il suo messaggio perché ella continui ad essere uno di quei «fari di santità» che illuminano la vita della Chiesa e il cammino dei cristiani.                                                                         

La notizia, non ancora ufficiale, di una probabile apertura del processo di beatificazione non può che riempirci di gioia. Ma lei... lo vorrà?



[1] F. Ciardi, In ascolto dello Spirito. Ermeneutica del carisma dei fondatori, ed. Città Nuova, Roma 1996 p. 68.

[2] Ibidem, p. 69.

[3] citiamo, tra gli altri, J. Lecercq, Una scuola di spiritualità benedettina: le Benedettine dell’Adorazione perpetua, in Catherine Mectilde de Bar, Non date tregua a Dio. Lettere alle monache 1642-1697, ed. Jaca Book, Milano 1979, pp. 11-24.

[4] G. Moioli, Il Vero Spirito di M. Mectilde de Bar: una proposta «spirituale», le sue motivazioni, la sua attualità, in Deus Absconditus, Atti del convegno di spiritualità monastico-eucaristica, p. 109.

[5] Fra le sue figlie spirituali, occupa un posto del tutto singolare la Contessa Maria di Châteauvieux. Parte delle 260 lettere a lei indirizzate sono raccolte nel volume Une amitié spirituelle au grand siècle, ed. Téqui, Parigi 1989, che regolarmente traduciamo e pubblichiamo in Deus Absconditus. Un’ampia e interessante presentazione del loro rapporto costituisce la seconda parte dell’opera di Andral osb ap, Catherine Mectilde de Bar. Un carisma nella tradizione ecclesiale e monastica, ed. Città Nuova, Roma 1988, pp. 191-241.

[6] Catherine Mectilde de Bar, Il sapore di Dio, ed. Jaca Book, Milano 1977, p. 58 46.

[7] Simone WEIL, L’ombra e la grazia. Investigazioni spirituali, ed. Rusconi, Milano 1996 (3a ed.), pp. 46-48.

[8]  Véronique Andral, o.c., p. 215.

[9] Ibid., p. 214

[10] Ibid.,p.2ì5.

[11] Ibid., p. 212.

[12] Il sapore di Dio, cit., p. 71.

[13] Ibid., p. 76 (il grassetto è nostro).

[14] Catherine de Bar, Adorer et adhérer, ed. Du Cerf, Parigi 1994 (ns. traduzione), p. 9.

[15] Ibid., p. 61.

[16] Citato in J. Daoust, Catherine de Bar, Mère Mectilde du Saint-Sacrement, ed. Téqui, Parigi, 1979, p. 96 (ns. traduzione).

[17] Daniel Ange, Il corpo di Dio. Dove arde lo Spirito, ed. Ancora, Milano 1982.

[18] Ibid., p. 203.

[19] Giovanni Paolo II a Montmartre il 1/6/80.

[20] Lettera della Congregazione per l’educazione cattolica sulla formazione spirituale nei seminari, (Oss. Romano supplemento 12/4/1980).