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Deus absconditus, anno 91, n.4, Ottobre-Dicembre 2000, pp. 17-40.

sr. Carla Maria Valli osb a.p.*
La vocazione delle Benedettine del Santissimo Sacramento

Premessa

Questa seconda sezione dello studio sulla "Prefazione alle Costituzioni" di Madre Mectilde de Bar, ha un taglio un po’ più tecnico. Potrebbe, perciò, sembrare più arida e meno proficua per l’arricchimento spirituale, ma la tradizione monastica ci insegna quanto sia fondamentale l’ascolto, che è una realtà impegnativa e complessa.

Dal Prologo della Regola Benedettina sappiamo che non basta l’orecchio del corpo per ascoltare, occorre piegare anche l’orecchio del cuore (RB Prologo 1). Così anche in ciò che si ascolta e si vuoi recepire non basta ascoltare il contenuto, occorre un ascolto più globale: ascoltare non solo le parole, ma anche colui che parla e il modo con cui ci parla.

Tornando alla Prefazione, potremmo dire che nella I sezione dello studio abbiamo cercato di cogliere il contenuto, in questa II sezione ci occuperemo della forma in cui ci è stato trasmesso. Vedremo che il messaggio di Madre Mectilde acquisterà una nuova intensità e, collocato nella cornice in cui è nato, potrà essere apprezzato nel suo autentico spessore.

Di fronte a ciò che la Madre dice ci si può chiedere in modo utilitaristico: quanto mi serve oggi ciò che dice? Ma ci si può anche mettere in ascolto della sua alterila chiedendoci: "Perché ha detto questo? Perché l’ha detto così? In quale contesto l’ha detto? Quali reazioni ha suscitato nell’ambiente in cui viveva?".

Dietro alle semplici parole di uno scritto emergono allora un mondo e un’epoca, che a loro modo ci parlano di Dio.

Come testo base per il presente studio non utilizziamo più il manoscritto P 103, ma risaliamo alla prima redazione ufficiale della Prefazione, che è quella contenuta nelle Costituzioni del 1675.

 

I. IL MISTERO DI UN TESTO DALLE MOLTE VERSIONI

1.1 Un problema complesso

Partire con l’intenzione di analizzare uno scritto e trovarsi di fronte a quattro versioni[1] simili, ma non uguali... è una bella sorpresa. Se poi si viene a sapere che ne esistono anche molte altre, si ha l’impressione di trovarsi in un ginepraio.

Si intuisce che anche uno scritto è qualcosa di vivo, che cresce o cala, che cambia nel tempo.

Ha una storia: ne porta in sé i segni. Non è possibile qui ricostruirla, ci accontentiamo di alcuni riferimenti che permettano di collocare nel loro contesto storico i testi utilizzati.

Perché esistono molti manoscritti differenti di uno stesso testo? Un primo semplice motivo è che la riproduzione di altre copie era fatta con una certa libertà, cioè apportando al documento quelle piccole modifiche che permettevano di renderlo più adatto al pubblico al quale era destinato.

Altre varianti (soprattutto parole o brevi espressioni omesse o aggiunte, o sostituite con altre) possono verificarsi a causa del linguaggio che nel tempo cambia, o a motivo di un clima diverso che viene ad instaurarsi nella cultura e nella spiritualità e che si esprime con un diverso sentire. Queste variazioni a volte si colgono visivamente nei manoscritti dove si incontrano cancellature o abrasioni, accanto alle quali si aggiungono termini nuovi.

Ci sono però differenze più considerevoli, per esempio un intero brano che in un manoscritto c’è e in un altro manca. E’ il caso, della differenza tra il manoscritto P 103 e il testo delle Piccole Costituzioni. Per fortuna esistono anche altri testi, come quello pubblicato da Arras, che sembra testimoniare un passaggio intermedio tra i due estremi.

Se poi accade di scoprire il testo di un contemporaneo della Madre, che analizza e critica ciò che la Fondatrice ha scritto nelle sue Costituzioni[2]... la questione si fa sempre più interessante, ma anche complessa.

Senza voler entrare subito nel vivo, vediamo ora alcune indicazioni cronologiche sulle due versioni utilizzate per le due sezioni del presente studio.

I. 2 La Prefazione alle Costituzioni del 1675 (-1677)

Era il giorno 20 del mese di giugno dell’anno di grazia 1675. Si era nell’Ottava della festa del SS. Sacramento. Le sorelle del primo monastero dell’Istituto, a Parigi, erano riunite in Coro.

Madre Mectilde presentò loro le Costituzioni alle quali aveva lavorato per alcuni anni. Non era il primo regolamento proposto all’osservanza delle monache. L’Istituto infatti esisteva già da ventidue anni e le prime Costituzioni erano state redatte da Dom Ignace Philibert (Priore di Saint Germain des Près dal 1661 al 1666[3], morto nel 1667) e approvate dal Legato pontificio Cardinale di Venderne nel 1668.

Rispetto a quelle prime Costituzioni, molto curate dal punto di vista giuridico, queste, accolte dalle sorelle nel 1675, sviluppavano soprattutto la spiritualità propria dell’Istituto. Per ogni capitolo della Regola era specificato il modo in cui viverlo secondo il carisma eucaristico. All’inizio delle Costituzioni era posta la Prefazione, come illustrazione preliminare della nostra specifica identità.

Così dice la dichiarazione che accompagna quelle Costituzioni:

"La Nostra reverenda Madre Catherìna Mectilde del Santo Sacramento, Priora di questo Monastero, avendoci presentato le Costituzioni riformate e idonee ad una Osservanza più regolare e più comprensibile delle precedenti, chiedeva se avessimo intenzione di accettarle "[4].

La dichiarazione è seguita dalle firme. Ci sono i nomi di 36 monache e 8 converse.

Due anni dopo, nel 1677, per facilitarne la diffusione e l’uso, le Costituzioni furono fatte stampare in un volumetto di piccole dimensioni (cm 8 x cm 12), anche per questo furono chiamate "Les Petites Constitutions".

Dall’analisi della Prefazione contenuta in quel volume coglieremo la struttura dell’opera.

Proprio al testo stampato in tale edizione fa riferimento il monaco maurino Dom Lue d’Achery muovendo le sue critiche. Egli cita frasi soprattutto della Prefazione e nota che sono eccessive nel loro tono, che è troppo frequente l’uso del termine "vittima", che si insiste troppo su espressioni tipiche di tale spiritualità, mentre ci si dovrebbe riferire maggiormente alla Regola di S. Benedetto.

Non manca di porre domande argute, piene di ironia. Ad esempio, riguardo alla frase:

"Negli altri Ordini Religiosi, non si fa professione di una perfezione acquisita, non ci si stupisce d’avere inclinazioni naturali e manchevolezze umane, e si perdonano facilmente questi piccoli sbagli che la volontà ha più corretto che commesso. Ma tra le Religiose del SS. Sacramento, per le quali la perfezione non deve essere tanto un ‘aspirazione, quanto una realtà";

dice:

 

"Domando, quando una ragazza entra nell’istituto del Santo Sacramento, si può pensare che abbia una perfezione acquisita? Se lo si crede, bisogna che l’abbia acquisita nel mondo, ciò che non accade quasi mai, specialmente se una ragazza è di certa età..." [5].

E drasticamente conclude:

"Per far bene, bisognerebbe ritagliare la maggior parte di questa Prefazione e comparne un ‘altra, fondata sul Vangelo e sulla Regola di S. Benedetto ".

Il confronto tra i rilievi del monaco e il testo della Prefazione permette di cogliere la differenza di prospettiva tra l’erudito Maurino e l’animo mistico della Madre.

L’uno si attende da un documento, come quello delle Costituzioni, precisione, linearità, termini appropriati. Ha presente soprattutto il peso coercitivo e giuridico del testo:

 

"Per costringere le religiose all’osservanza di queste costituzioni, è assolutamente necessaria l’approvazione del vescovo oppure della Santa Sede e dei superiori. Senza questa, sembra che le religiose non contraggano alcuna obbligazione di osservarle sotto pena di peccato "[6].

L’altra sembra preoccupata piuttosto di mostrare l’altezza dell’ideale, la dignità di questa chiamata e le esigenze ad essa legate. Più che sull’obbligo sembra voler far leva su un’osservanza cordiale, cioè mossa dall’amore. Nella lettera-aperta alle destinatarie dell’opera, che si trova all’inizio del volume, la Madre dice:

"Poiché mi sembra che le abbiate ricevute di buon grado, conservatele con cura e osservatele esattamente. Ve ne preghiamo con tutta la sollecitudine possibile, ce lo aspettiamo dal vostro affetto sincero come i segni più evidenti che possiate dare del vostro amore per il SS. Sacramento "[7]

I. 3 Il manoscritto P 103

II manoscritto P 103, che abbiamo analizzato nella prima sezione dello studio è da collocarsi almeno venti anni dopo il testo delle Costituzioni del 1675, di cui sopra abbiamo parlato.

In tale periodo, grazie all’accresciuta esperienza nel guidare l’Istituto, tenendo conto certamente (ma non al 100) anche dei rilievi di Dom Lue d’Achery, avendo avuto modo di calare l’altezza dell’ideale nella concretezza del vissuto quotidiano di tante sue fìglie, la Madre ha apportato delle modifiche al testo della Prefazione.

Il lavoro di revisione, del resto, si era reso necessario per le intere Costituzioni.

L’Istituto era nato, inizialmente, come Congregazione, posta sotto la giurisdizione diretta della Santa Sede. In seguito a vertenze sorte tra Roma e i vescovi francesi, si è ritenuto più opportuno porre ciascuno dei monasteri sotto la giurisdizione del vescovo locale. Così le prime Costituzioni non erano più adeguate alla nuova situazione[8].

Si sa comunque che la Madre non riuscì a far approvare il testo da lei corretto.

Poco dopo la sua morte si presentò un’occasione opportuna e le Costituzioni furono portate a Roma per l’approvazione. Può darsi, non si sa con certezza, che il manoscritto P 103 sia servito come base per la versione da presentare alla Santa Sede. Le monache di Madre Mectilde hanno però apportato delle modifiche[9] al testo secondo il desiderio della fondatrice stessa.

I. 4 I motivi di una scelta

Dunque il manoscritto P 103 è quello che sembra presentare lo stadio più maturo del pensiero della Madre. Per questo è stato utilizzato nella parte teologico-spirituale del lavoro (la sezione).

Dal punto di vista dell’attribuzione, le Costituzioni stampate nel 1677 offrono però maggiori garanzie, perché la stampa non ha correzioni aggiunte.

Per uno studio sulla forma e per una valutazione letteraria è perciò sembrato più opportuno prendere in considerazione la Prefazione del 1675 (-1677).

In vista della presentazione a tutti i monasteri, la Madre ha certamente profuso in questo testo il meglio delle sue capacità. E se aveva in mente di comporre un’opera chiara e ordinata, per dire anche con una bella forma la solennità del contenuto, nel testo stampato la possiamo certo trovare nella sua integrità, priva dei tagli o delle modifiche che nel tempo sono sopravvenuti.

La Madre aveva infatti buone capacità letterarie. Molti suoi scritti lo rivelano, ma la Prefazione in particolare. Del resto, appartenendo ad una famiglia di non basso ceto sociale, deve aver ricevuto una buona istruzione. Le biografìe ne fanno cenno, a volte indirettamente, ma i testi ne danno conferma.

La lettera di Madre Mectilde che introduce l’edizione delle Costituzioni del 1677 dice:

"Non ve le diamo affatto nella perfezione di stile e di composizione che potreste desiderare. Perché, oltre all’insufficienza che riconosciamo ingenuamentè essere in noi per un ‘opera di simile importanza, saranno le attuali occupazioni che la divina provvidenza ci fornisce ogni giorno per il Servizio dei Monasteri dell’Istituto a farci da scusa per gli errori che potrete facilmente notare"[10].

Dopo aver preso atto della modestia della Madre, che non le permette di riconoscere nella propria opera la perfezione, dobbiamo però dedurre da questo testo che la compositrice era ben consapevole del fatto che un documento simile richiedeva uno stile adeguato.

II. UN’EPOCA E LA SUA LETTERATURA[11]

II. 1 Lo stile letterario e i sentimenti da cui è mosso

La Prefazione alle Costituzioni del 1677 rappresenta un raro esempio di stile précieux, che può essere definito una delle tentazioni del barocco. Lo chiamo raro perché, mentre esistono numerosissimi esempi letterari di questo genere, risultano pressoché sconosciuti quelli riguardanti l’ambito mistico-religioso, quasi sempre custoditi in monasteri a cui nessuno ritiene interessante rivolgersi per lo studio della spiritualità dell’epoca.

Parlando del barocco in modo generale, si ha la tendenza a immaginarlo in senso spregiativo, anche se esso appare inconsapevolmente persino nel nostro secolo o volutamente, per esempio, in un autore contemporaneo come Celine. Il barocco è legato ad una concezione del mondo in trasformazione permanente, avido di libertà, cosciente della forza delle apparenze, aperto alla complessità della vita.

L’uomo del XVII secolo conosce una situazione perturbata, sconvolta da trasformazioni incessanti. Questa permanente agitazione esplica una delle idee forza del barocco: il mondo è in via di costruzione. Niente è definitivo, niente è fissato, tutto si modifica senza posa, tutto cambia, tutto si muove.

Il movimento è principe: trionfa nelle realizzazioni architettoniche, musicali, letterarie. Madre Mectilde non poteva non essere influenzata dallo spirito dei suoi tempi.

"Si donc une Religieuse du Saint Sacrement veut prendre l’esprit de sa vocation, qu’elle se tienne toujours en estat d’Hostie en sa sainte presence"[12].

Se dunque una Religiosa del SS. Sacramento vuole assumere lo spirito della sua vocazione, si tenga sempre in stato[13] di ostia alla sua santa presenza.

Per la Madre, il movimento era rappresentato da una continua conversione alla vocazione iniziale. Il conservarsi nella purezza dell’Ostia, era per lei il massimo movimento spirituale. C’è come un apparente contrasto tra lo stare immobili di fronte a Dio e il movimento verso di Lui. E’ il più puro stile barocco nella torma e nella sostanza. In pratica, sembra dire, la staticità di una monaca e il più nobile dei movimenti perché riguarda lo spirito e non la banalità della materia

Questo è solo un esempio preso a caso, perché tutto il testo è un invito alla trasformazione, al cambiamento esasperato per la costruzione di un mondo nuovo degno della grandezza del Cristo Salvatore. Il trionfo del movimento nelle arti va di pari passo con il trionfo del movimento anche nello spirito religioso.

Un’altra caratteristica è il gusto per il provvisorio. Questa concezione determina i gusti dell’uomo barocco. E attirato dall’acqua, immagine stessa dello scorrere, dell’inafferrabile.

"...Celuy qui est la pierre angulaire & mystique, d’où découlent en nous les eaux de la vie étemelle".

...Colui che è la pietra angolare e mistica da cui scorrono verso di noi le acque della vita eterna.

"Comme l’eau, qui vient d’une source pure, est claire, & celle qui sort d’une source impure, est sale & troublée".

Come l’acqua che sgorga da sorgente pura è chiara, mentre quella che esce da sorgente impura è sporca e torbida.

O dal fuoco dalle forme strane ed effimere:

"Ou le Dieu du Ciel est venu habiter dans la nuë des Espèces Sacramentelles qui n’ont pour eux que des feux que des éclairs, & que des foudres".

Dove il Dio del ciclo è venuto ad abitare nella forma delle Specie Sacramentali, che per essi non hanno che fuochi, lampi e folgori.

L’uomo barocco ama travestirsi. La tragicommedia dell’epoca utilizza frequentemente questo gioco di travestimento che, per convenzione, lo trasforma fondamentalmente. Madre Mectilde, invece, chiede una trasformazione reale usando tuttavia l’unico stile letterario che le era noto e che poteva essere compreso dai suoi ascoltatori.

"Elles perdent tout l’être naturel qu’elles ont tiré de la corruption du vieil homme & se transforment en l’être divin qu’elles ont receu du nouvei homme",

Perdono tutto l’essere naturale che hanno ricevuto dalla corruzione dell’uomo vecchio e si trasformano nell’essere divino che hanno ricevuto dall’Uomo nuovo,

La gente di quel tempo si dimostra sensibile alla natura che, attraverso le modificazioni che subisce nel corso delle stagioni, da segni concreti, palpabili di incessanti trasformazioni.

Questi cambiamenti incessanti conducono l’uomo barocco a sviluppare un senso acuto della complessità. Una realtà non è mai semplice. Per definirla in modo soddisfacente, bisogna tener conto di tutto ciò che la costituisce. Per esprimere questa complessità, gli scrittori barocchi utilizzano spesso delle immagini la cui funzione è di stabilire dei legami fra dati apparentemente differenti. Hanno in particolare una predilezione per la metafora.

"& participer aux divines communications de ce Soleil inaccessible de la

Divinité rayonnante au très-saint Sacrement".

E partecipare alle divine comunicazioni di questo sole inaccessibile della

Divinità che si irradia nel SS. Sacramento.

Dando vita all’inanimato, anche la personificazione contribuisce a riunire campi abitualmente separati.

"Si la première oblige une Hostie de se regarder comme consacrée à la gloire du tres-saint Sacrement, la seconde l’oblige de se regarder comme sacrifiée pour toutes les prophanations de cet adorable mystere".

La prima obbliga un ‘ostia a considerarsi come consacrata alla gloria del SS. Sacramento, la seconda la obbliga a considerarsi come sacrificata per tutte le profanazioni di questo adorabile mistero.

Una realtà può essere contraddittoria. L’antitesi, che consiste nell’avvicinare termini o nozioni di significati contrari, è particolarmente adatta a render conto di queste contraddizioni.

"& si elle veut vivre en estat de véritable Victime, qu’elle s’estime, comme un objet d’amour et de complaisance envers son divin Sauveur, qui reçoit volontiers la réparation qu’elle luy fait de sa gloire, & tantost comme un sujet d’horreur & d’indignation devant son souverain juge qui exige en justice l’expiation qu’elle luy doit de tant de prophanations".

Se vuole vivere in stato di vera vittima come ella si ritiene si reputi sia oggetto d’amore e di compiacimento verso il suo Divin Salvatore, che volentieri accetta Gli venga fatta la riparazione della sua gloria, sia come oggetto d’orrore e d’indignazione davanti al suo Giudice sovrano, che esige, in giustizia, la soddisfazione dovutagli per tante profanazioni.

Sono sicuro che la Madre, condizionata dal suo tempo, non se ne rendeva conto appieno, ma un simile approccio permette di cogliere la diversità delle cose ed evita l’intolleranza. Per paradossale che possa sembrare, questa donna barocca precorreva di tre secoli i sentimenti ecumenici odierni.

L’uomo barocco ama il concreto, è aperto al sensazionale. E’ affascinato dall’ornamento, dal sovraccarico che si esprime specialmente con la iperbole, una forma di esagerazione.

"Il nous faut donc entrer dans l’obscurité de la foy & dans les brouillards de la seule révélation".

Bisogna quindi che entriamo nell’oscurità della fede e nelle nebbie della sola rivelazione divina.

E’ ossessionato dal movimento, preferisce la linea curva alla linea diritta, i sentieri sinuosi a quelli rettilinei, la perifrasi che sviluppa alla parola che precisa.

"Ne doivent point consulter d’autre Oracle, ou emprunter d’autres lumieres que celles de la foy & de la révélation divine, puisqu’il n’y a qu’elles seules qui puissent leur faire connoitre la verité des grandeurs & des perfections incomprehensibles qui y sont renfermées".

Non devono affatto consultare altro oracolo o servirsi di altre luci che non siano quelle della fede e della rivelazione divina, perché non ci sono che esse sole capaci di far conoscere la verità delle grandezze e delle perfezioni incomprensibili che vi sono racchiuse.

Ha il gusto del lirismo e del poetico che lo soddisfano, perché gli permettono di esprimere con forza le sue sensazioni, la sua individualità. Non disdegna, pertanto, il realismo di cui si serve per cogliere la complessità della realtà umana, talvolta per descrivere le distruzioni della morte.

E’ attirato dal fantastico, da quello sconosciuto a cui la sua curiosità aspira. Il barocco è la vita, è l’arte della vita, talvolta esagerato e teatrale, ma seducente per la sua capacità di completa adesione al mondo. Anche se alcune espressioni, soprattutto della préciosité, sono decisamente ridicole, non possiamo dimenticare che altre hanno attraversato i secoli e sono diventate di uso comune (far figura, portare lontano, gli occhi sono lo specchio dell’anima e solo per citarne alcune). Tutto sommato, si può dire che la préciosité ha raffinato il gusto e i costumi di una società.

E quindi importante comprendere il secolo in cui la Madre visse, per non farsi sopraffare dal senso di fastidio che talvolta si può avvertire da alcune espressioni che oggigiorno ci appaiono come forzatamente esagerate. In realtà non lo sono, rispecchiano uno stile al quale non siamo più abituati perché l’attuale cultura è ancora pesantemente condizionata dalla presunta essenzialità del pensiero positivista.

II. 2 Indizi lasciati dal tempo

Volendo stabilire un ordine cronologico, non ho dubbi sul fatto che il più antico testo sia quello delle Costituzioni del 1677, dal titolo: La vocation des Religeuses du Très Saint Sacrement. Infatti, corrisponde al di là di ogni dubbio ai canoni letterari del XVII secolo, che ho brevemente illustrato poco sopra. Persino l’ortografìa conferma questa mia sicurezza.

Il secondo testo è senz’altro il "P 103". Lo stile è lo stesso del primo, ma le molte correzioni fanno pensare ad una intenzione di ammorbidire il senso iniziale, se non addirittura di evitare l’accusa di errori dottrinali.

Parlando di "consumazione perfetta", nel contesto in cui si trova, poteva dare adito ad una accusa di quietismo che, all’epoca della correzione, aveva fatto vittime illustri come Fénelon (m. 1715). "Una continua e intera consumazione", invece, evitava ogni equivoco. Anche "intenzione deiforme" poteva essere facilmente intesa come una esagerazione prossima al deismo che proprio allora cominciava a imporsi come alternativa all’intransigenza dottrinale cattolica, perciò è comprensibile la sostituzione con "intenzione pura". Penso, tuttavia, che la Madre non avesse preoccupazioni di questo tipo, troppo leguleio e lontane dal suo genuino slancio mistico. E’ assai probabile che le correzioni siano da attribuirsi all’iniziativa delle prime consorelle e databili non oltre il 1750. Dopo quella data non avrebbero avuto timori per certe affermazioni di cui ho citato solo due esempi; la Chiesa sarebbe stata impegnata nel più complesso confronto con l’Illuminismo. Ed anche lo stile sarebbe stato almeno un po’ diverso. Se io avessi dovuto portare una "Préface" nella Roma dei primi del ‘700, avrei portato il "P103", sicuro di non aver travisato lo spirito della Madre e sicuro di non incorrere in qualche polemica dottrinale.

Per concludere, trovo che le osservazioni di Dom d’Achery siano mosse più dal desiderio di salvaguardare la precisione teologica che dalla volontà di comprendere un misticismo a cui era estraneo.

III. LA STRUTTURA DELLA PREFAZIONE[14]

III. 1 La visione d’insieme

Nella prima sezione abbiamo già avuto modo di intuire, mediante la disposizione dei brani, che la Prefazione è un’esposizione ordinata.

Bisogna riconoscere a Madre Mectilde un talento: quando scrive, ha il gusto di esporre con ordine. Lo si riscontra anche in alcuni capitoli de "II Vero Spirito" [15] Spesso parte dall’enunciazione di un tema, suddividendolo in due o tre punti, che poi sviluppa articolando il discorso.

Guardando la Prefazione come una mappa nel suo insieme, vediamo un testo ben strutturato che consta di una parte iniziale, che chiamiamo prologo, dove la nostra vocazione viene messa a confronto con altre.

Il prologo è seguito da una seconda parte che denominiamo enunciato, dove le due esigenze fondamentali della vocazione delle Benedettine del SS.mo Sacramento sono presentate sinteticamente.

C’è infine il corpo della Prefazione, costituito da un ampio sviluppo delle due esigenze precedentemente enunciate. Il corpo si articola in due quadri collegati fra loro da un macarismo.

Ogni quadro illustra uno dei due doveri ed è diviso, a sua volta, in due parti.

Provando a leggere la Prefazione non solo in senso verticale (dall’inizio alla fine), ma disponendola anche orizzontalmente, cioè mettendo uno accanto all’altro gli elenchi che la Madre fa, se ne trae una visione d’insieme che lo schema riportato qui di seguito cerca di sintetizzare. Esso non pretende di essere l’unica chiave di lettura, ma può aiutare a cogliere l’intento programmatico di questo scritto e anche la sua dinamica pasquale.

 

PROLOGO

Confronto con altre forme di sequela di Cristo

- Religiosi in genere

- Sacerdoti

- Primi discepoli di Cristo

Confronto sacerdote-ostia

- Il sacerdote dev’essere santo.

- La santità del sacerdote influisce su quella dell’ostia.

- Le Figlie del SS. S.to devono essere pure e sante, perché sono ostie.

- Se il sacerdote pecca può ancora offrire l’ostia, ma se l’ostia non è santa, non può essere ostia.

- Se Gesù Cristo ha potuto essere ostia e propiziazione non tanto in quanto uomo ma in quanto Dio santo, la santità della nostra vocazione richiede la santità stessa di Cristo.

- Necessità della santità come condizione imprescindibile della nostra vocazione.

 

Enunciato

 

Le Benedettine del SS. S.to sappiano che la loro professione richiede

  "due cose"

la prima: Rendere gloria a Dio                                           la seconda: soddisfare la sua giustizia

sull’esempio del Salvatore che

non si è accontentato di

ma ha voluto anche sacrificarsi e

rendere gloria a Dio

soffrire per i peccatori


CORPO DELLA PREFAZIONE

PRIMO QUADRO (SANTITA’):

RENDERE A DIO LA GLORIA

 

SECONDO QUADRO (GIUSTITIA):

SOFFRIRE PER I PECCATORI

Richieste

 

 

Per riparare

 

Prima contrapposizione

Condizioni

se vuole entrare...se vuole vivere...

1 perdita di sé

 

 

1 con la perdita di sé

 

consacrata-

sacrificata

Seconda contrapposizione

2 intenzione pura

Condizioni

 

2 con l’intenzione pura

MACARISMO

doni tutto-

perda tutto

ogetto d’amore e di compiacimento

oggetto d’orrore e d’indignazione

3 fede

saranno nello stato richiesto dalla loro vocazione

 

3 con la loro fede

Felice l’anima che

rispetto e amore

timore e confusione

chiamata a ciò che cè di più santo

a ciò che è di più mortificante e annichilente

4 amore d’unione

5. (se hanno) spirito di preghiera

lo spirito di 5.preghiera

4 con l’amore d’unione

saprà vivere ciò che è stato fin qui esposto)

 

 

 

se nel primo

 

 

 

in questo

provare gli effetti della misericordia

gli effetti della giustizia divina

5 preghiera

4. (se) amore d’unione

le disporrà 4.all’amore d’unione

5 con la preghiera

Ancora più felice

5.Consolazioni nella pregiera

aridità

perché la sua professione la obbliga ad onorare entrambi

 

3. (se) vivono di fede

3.alla pura fede

 

se sapra vivere anche

4.amore d’unione

amore di saparazione

croce, disprezzo, sofferenza

virtù, grazia, merito, perfezione

 

2. (se) ntenzione pura

e alla 2.purezza d’intenzione

 

 

3.Vita di fede

Vita di sofferenza

morte, abbandono, annichilime,to

santità, benedizione

 

1. (se) tutto il loro essere

fede, purezza e amore ne faranno

 

 

2.Intenzione deificata,(pura)

stato di morte

Tutto per il zelo della

mode, adorazione, Tutto per la

 

è totalmente dato per la gloria di Gesù Cristo

1.Delle vittime per riparare

 

 

1.Stato di consumazuine (dono totale di sé)

stato di annientameto

GIUSTIZIA

riparazione della GLORIA

 

 


III. 2 II prologo

II prologo, in questa versione della Prefazione (1677) è molto più lungo rispetto a quello che si può riscontrare in altri manoscritti.

Dopo una serie di tre confronti tra altre forme di sequela di Cristo e la nostra specifica vocazione (confronti che sono stati conservati anche negli altri manoscritti) c’è un brano dove è messa in rilievo la relazione tra il sacerdote e l’ostia e tra la santità dell’uno e dell’altra.

Riportiamo integralmente questo brano, mentre non torniamo a scrivere per esteso il resto della Prefazione perché pressoché identico, per contenuto, a quanto abbiamo già visto nel manoscritto P 103 [16].

§ 1 I preti, che in qualche modo possono dirsi padri di Gesù Cristo nella Santa Eucaristia, avendo ricevuto da Dio il potere di predarlo sotto le specie del pane e del vino, non devono essere meno puri del sole e devono dimostrarsi così santi nel divino esercizio del loro ministero da accrescere la purezza di cui già sono rivestiti.

§ 2 C’è tanto collegamento e unione fra il prete e l’ostia, che se il prete è santo essa ne è in qualche modo santificata, mentre se egli è peccatore ne è in qualche modo macchiata, come l’acqua che sgorga da sorgente pura è chiara, mentre quella che esce da sorgente impura è sporca e torbida.

§ 3 Quanto, dunque, devono essere pure e sante le religiose del SS. Sacramento per portare degnamente la qualità di ostia data dalla loro professione. Un prete non deve essere santo che a causa dell’ostia che egli consacra e offre; ma una religiosa del SS. Sacramento deve essere santa perché lei stessa è ostia.

§4 Se il prete pecca, può ancora presentare l’ostia in riparazione per la sua offesa, e l’ostia presentata lo santificherà. Ma se l’ostia stessa è macchiata, come potrà placare Dio e contribuire alla santificazione di coloro per i quali è offerta? Perché l’ostia deve essere completamente santa e se non è santa, non è ostia.

§ 5 Gesù Cristo non era il Santo dei Santi soltanto in qualità di uomo e per portare degnamente il nome di ostia e di propiziazione per i peccati del mondo, era anche necessario che fosse Dio. Questo fa ben vedere quale debba essere la santità delle religiose del SS. Sacramento che, essendosi consacrate a Dio come tante vittime in riparazione dei sacrilegi e delle profanazioni degli uomini, non saranno mai capaci di corrispondere a tutta la santità della loro vocazione se non diventano in qualche modo sante, come Gesù Cristo è Santo.

§ 6 Negli altri Ordini religiosi, non si fa professione di una perfezione acquisita, non ci si stupisce d’avere inclinazioni naturali e manchevolezze umane, e si perdonano facilmente questi piccoli sbagli che la volontà ha più corretto che commesso. Ma tra le Religiose del SS. Sacramento per le quali la perfezione non dev ‘essere tanto un ‘aspirazione, quanto una realtà, e lo spirito di riparazione non domanda niente di meno che una vita in qualche modo esente da peccato, bisogna essere morte al mondo e a se stesse, non sapere cosa sia inclinazione naturale, imperfezione e infermità umana. Questo divino stato di santità consumata[17] può ben far portare il titolo di ostia e la qualità di riparatrice alle Religiose del SS. Sacramento.

Questo è il brano che è stato maggiormente preso di mira dalle critiche del Maurino Dom Lue d’Achery. Ben tre passaggi di questo brano sono incriminati, in particolare dei paragrafi 3 e 4 è detto:

Quanto, dunque, devono essere pure e sante le religiose del SS. Sacramento ecc. tutto questo articolo deve essere soppresso perché pieno d’errori e per certi aspetti contrario alle massime cristiane o è almeno una manifesta temerarietà. Basta leggerlo [18].

È stato detto che la Madre, in questo prologo, sembra voler fare della Benedettina del SS. Sacramento un "alter Christus", quasi ponendola al di sopra del sacerdote. Sembra che parli della santità necessaria per questa vocazione in termini esagerati, soprattutto ponendo a confronto il nostro Istituto con altri Ordini religiosi per sottolinearne sempre l’eccellenza. Oggetti vamente in questo brano risulta essere particolarmente ardita e spinta dall’enfasi.

Vogliamo però anche spezzare una lancia in suo favore. Bisogna leggere la Prefazione nel quadro del genere letterario cui appartiene, allora apparirà forse meno esagerata.

Il tono di tutto il testo è quello di un elogio del proprio stato di vita. Non è un documento strettamente giuridico (infatti la parte normativa è sviluppata nelle Costituzioni vere e proprie), può perciò permettersi qualche trasporto a scopo esortativo.

Se andiamo a leggere un’omelia di S. Bemardo (autore che la Madre esplicitamente cita), possiamo stupirci degli accenti lirici con cui parla della vita religiosa e ci è forse più facile entrare nel tono encomiastico che la Madre ha dato alla Prefazione.

O chiostro, dimora di Dio e dei suoi angeli! Qui vi mettono residenza i suoi fedeli. O vita monastica, vita beata, vita degli angeli! [...] O porta eccellentissima, per la quale si entra nella città santa, per la quale si è rapiti e si possiede il regno dei deli!

[...] O solitudine beata! O eremo, morte dei vizi, vita delle virtù!

La legge e i profeti ti hanno prefigurato e coloro che giunsero a perfezione, attraverso di tè furono introdotti in paradiso...! O chiostro, campo d’esercizio spirituale, mirabile laboratorio!

In te l’anima fedele riproduce l’immagine del suo Creatore e la restituisce alla purezza di lui. Tu fornace dove si modellano i vasi del Rè supremo, dove si disciolgono i peccati e ci si innalza con gli angeli in lodi divine [19].

Anche il fatto che si esalti l’eccellenza della propria famiglia religiosa sulle altre forse fa parte del genere letterario.

Nella Regola delle Annunciate, che avremo modo di considerare meglio più avanti, si dice:

Questo Ordine religioso sovrasta ed eccede gli altri Ordini in purezza, umiltà e pietà, perché la gloriosa Vergine Maria ha amato peculiarmente e specialmente queste tre virtù tra le altre... [20].

La particolare connotazione mariana delle religiose Annunciate giustificava il loro eccellere in quelle virtù ritenute prettamente mariane.

Parallelamente, se torniamo al brano introduttorio della nostra Prefazione, dove il modello delle Benedettine del SS. Sacramento è riconosciuto nel Cristo presente nell’Eucaristia, vediamo che Egli, in quanto vittima, è considerato soprattutto con gli attributi di purezza e santità. Sono queste, perciò, le caratteristiche presentate come indispensabili a tale vocazione. non e ‘è che la santità e la purezza del Figlio di Dio che sta sopra a quella a cui la loro Professione le impegna.

Se contiamo il numero di volte in cui i termini "santità" e "purezza" ricorrono come sostantivo o attributo (27 volte nel solo Prologo, non contando i casi in cui l’aggettivo è apposto al vocabolo sacramento) possiamo quasi dire che ci troviamo di fronte ad una apologià della santità.

Ma perché alla Madre preme tanto la santità della vittima? Perché mette a confronto il sacerdote e l’ostia?

Un suggerimento per una chiave di lettura adeguata ci può venire da un’altra versione della Prefazione [21]. Essa ci presenta un esemplare del testo dove questa parte del Prologo non è stata ancora completamente omessa, ma è stata modificata cercando di tener conto o di rispondere alle obiezioni di Dom d’Achery. In tale testo, in luogo del confronto sacerdote-ostia, si dice:

"Ma come ci sono state immagini di questo Mistero (dell’Eucaristia) prima della sua istituzione, così può avere le sue rappresentazioni dopo il suo compimento; ed è ciò a cui devono aspirare le Religiose che gli sono votate ".

Sappiamo come fosse frequente nei Padri della Chiesa il ricorso alle realtà veterotestamentarie quali prefigurazioni e simboli di quelle compiute nel Nuovo Testamento e contenute nei misteri cristiani.

In questa prospettiva, a ben guardare, il confronto sacerdote-ostia non è altro che una lettura tipologica dei moduli rituali: sacerdote e vittima. Il vocabolo italiano "ostia" ci fa pensare innanzitutto alla particela sacramentale, quindi al pane. Il termine usato da Madre Mectilde "hostie" è più vicino ortograficamente al latino "hostia" che significa letteralmente "vittima".

Effettivamente se risaliamo, attraverso il confronto che la Madre ci propone, alle figure dell’Antico Testamento, troviamo che il sacerdote Aronne poteva offrire per la purificazione dei peccati, per sé e per i propri figli, una vittima di espiazione (Es 29,10-14) e questo era contemplato nel rito stesso della loro consacrazione sacerdotale.

Per la vittima invece, a qualsiasi genere appartenesse (per il sacrifìcio di comunione, per l’olocausto, ecc.) era prescritto che fosse "senza difetto" (Lv 1,3.10; 3,1.6; 4,3.14.23; ecc.). La deduzione logica della nostra Fondatrice sembra essere questa: se le vittime di un tempo, che erano semplici figure, dovevano essere perfette, quanto più le fìglie del SS. Sacramento, che sono dette vittime in riferimento al Cristo, Agnello senza macchia, e vera Vittima, devono essere dotate di purezza e santità, perché la loro vita sia il più possibile in comunione con la Sua.

III. 3 Le due tavole della legge

Dopo aver mostrato ampiamente la perfezione e la santità di questa vocazione, la Madre passa ad illustrarne il contenuto. Prima lo enuncia e ne mostra il fondamento, poi lo sviluppa in due quadri paralleli.

ENUNCIATO

I due aspetti fondamentali della vocazione delle Benedettine del SS.mo Sacramento vengono prima enunciati in un breve passo, dal piacevole ritmo binario.

L’enunciato è composto da tre frasi, il cui contenuto da l’impressione di un crescendo:

1° come in un titolo si annunciano i due doveri di base, le due "cose" necessarie;

2° si presentano con un breve sviluppo la prima e la seconda;

3° si ribadiscono: perché non basta..., ma si deve anche...;

Si giunge infine al fondamento, alla radice dei due obblighi, che si trova nell’esempio del nostro Salvatore, il quale non si è accontentato di..., ma ha voluto anche...

CORPO

All’enunciato segue lo sviluppo di ciascun impegno.

Abbiamo intitolato questa parte "Le due tavole della legge", perché i due doveri fondamentali della nostra vocazione sono proposti come un dittico. Come i dieci comandamenti della legge di Mosè sono spesso raffigurati distinti: su di una tavola i precetti verso Dio, sulla seconda quelli verso il prossimo, così anche le nostre due tavole del carisma hanno un orientamento simile.

Nel nostro caso i due obblighi sono trattati in riferimento a due attributi divini.

Noi non siamo più abituati a distinguere in Dio la sua essenza dalle sue perfezioni, ma la teologia scolastica (che al tempo della Madre era ancora in uso), distingueva chiaramente le esigenze della santità di Dio da quelle della sua giustizia.

Quando si parlava della santità di Dio, si parlava di Dio in se stesso, nella sua trascendenza e inaccessibilità, di un Dio degno di essere onorato e glorificato dall’uomo.

Seguendo questo canone, la Madre vede il nostro primo dovere di riparatrici nel rendere a Dio quella gloria che, per il peccato, non gli è data.

Al di là del linguaggio della riparazione, nella prima tavola si può vedere l’impegno ad essere santi, vivendo solo per Lui, con retta intenzione, fede, amore e preghiera, perché questo è il solo modo di onorare un Dio Santo.

Nel rapporto con gli uomini la santità di Dio si manifesta come giustizia.

Essendo la giustizia di Dio perfetta, non può, secondo la teologia del sec. XVII, non esigere che il debito contratto dal peccatore sia pagato. Se lo vogliamo dire in termini a noi più accessibili: Dio non può revocare magicamente gli effetti delle azioni dell’uomo, che Egli ha creato libero. Togliere le conseguenze delle scelte umane significherebbe fare di noi dei burattini. E questo, un Dio che è Amore non lo farebbe mai.

Allora, in Cristo, Dio ha voluto prendere su di sé le conseguenze negative del peccato e ciò ha reso Gesù, nel vocabolario di Madre Mectilde, vittima della giustizia.

Il secondo quadro del dittico presenta le esigenze della nostra vocazione legate proprio a questo aspetto del mistero di Cristo.

Può sembrare una forzatura il voler raccogliere le due tavole del carisma sotto il binomio santità-giustizia ma, scorrendo le stesse Costituzioni manoscritte o altri testi della Madre, capita non di rado di trovare la definizione "vittima della santità e della giustizia", oppure il riferimento della nostra vita o della Persona di Cristo ad uno di questi due attributi divini [22].

Le due tavole del carisma si possono vedere anche come una ripresentazione di ciò che Mectilde de Bar dice in Il Vero Spirito al capitolo 1, dove parla del nostro dovere di imitare i due sguardi di Gesù: sempre rivolto al Padre per rendergli gloria e sempre rivolto agli uomini per procurare loro la salvezza.

Ciò che viene sottolineato ripetutamente dalla Fondatrice nel testo che stiamo prendendo in considerazione è che i due doveri fondamentali della nostra vocazione richiedono disposizioni diversissime e comportano stati interiori quasi opposti.

Una tale differenza è generata dalla loro relazione alla sfera della santità (Dio in se stesso) o a quella del peccato (Dio giusto in relazione all’uomo peccatore).

Ci troviamo così di fronte ai due elementi che compongono anche il mistero Pasquale: la gloria e l’ignominia. Pensiamo al paradosso del Vangelo di Giovanni che, nel momento in cui Giuda esce dal cenacolo per andare a tradire il Maestro, mette sulla bocca di Gesù: "Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato" (Gv 13,31).

Queste due tavole del carisma ci dicono dunque che la nostra vocazione ci colloca proprio nel cuore del mistero della redenzione: ci rende partecipi contemporaneamente del venerdì santo e della domenica di risurrezione.

Rimane da dire qualcosa sul contenuto di ciascuno dei due quadri.

Il primo, quello relativo al "rendere a Dio la gloria", è molto ben strutturato: elenca 5 elementi necessari perché la nostra vita tenda a quella santità richiesta dal contatto con il Dio santo presente nell’Eucaristia. Notiamo che sono tutte vie che richiedono un impegno attivo, un protendersi.

Vivendo secondo queste cinque modalità, come è detto nel passaggio riassuntivo che fa da collegamento tra la prima e la seconda parte del quadro, la nostra vita diviene, nei confronti di Dio e del mistero eucaristico, riparazione per altrettante omissioni. Secondo la dottrina del Corpo mistico, la santità di alcune membra può venire in soccorso alla carenza di vita o di grazia di altre (notare la corrispondenza dei termini tra le due parti del primo quadro).

Il Secondo quadro non è strutturato così simmetricamente, ma con uno stile di contrapposizione. Si richiamano le disposizioni positive, richieste dalla prima "obbigazione" [23], per contrapporvi altrettante disposizioni dolorose esigite dalla seconda. Possiamo dire che l’atteggiamento di fondo espresso dal secondo quadro è la disponibilità non più a protendersi, ma a lasciarsi prendere e a lasciarsi purificare. Senza voler troppo semplificare, diciamo che al primo quadro fa da sfondo la "mistica della presenza" e al secondo la "mistica dell’assenza".

Forse per questo anche il linguaggio procede attraverso la negazione: afferma una realtà dicendo che non è come l’altra.

Così la prima parte del secondo quadro dopo le prime tre contrapposizioni (A, B, C), riprende i 5 impegni positivi del primo quadro, ma in ordine inverso, facendo corrispondere a ciascuno uno stato che richiede disposizioni opposte.

Nel 1° quadro il passaggio tra la prima e la seconda parte, cioè tra i 5 impegni e le 5 ripetizioni dello scopo "per riparare" era segnalato da cinque "se": se hanno lo spirito di preghiera, se tendono all’amore d’unione, ecc.

La ripetizione del "se" serve a sottolineare che i 5 impegni sono elementi costitutivi, condizioni necessarie per essere nello stato richiesto dalla nostra vocazione.

Anche nel 2° dovere troviamo al centro una frase che fa da legame tra le due parti del quadro, caratterizzata da due frasi condizionali:

- se dunque una religiosa vuole assumere lo spirito della sua vocazione...

- se vuole vivere in stato di vera vittima ...

Così vengono espresse anche graficamente, come condizioni necessarie alla nostra vocazione, due accettazioni:

- accettare anche il 2° impegno, pur se tanto diverso dal 1°,

- accettare tanto gli effetti dell’uno quanto quelli dell’altro, perché entrambi necessari e vissuti in riferimento a Cristo presente nell’Eucaristia.

Il tenore passivo della seconda tavola è riassunto dall’espressione "si tenga in stato di ostia", cioè di vittima. Vale a dire: nella posizione di una che si offre, ma il cui sacrifìcio, per compiersi, ha bisogno di qualcuno o di qualcosa che la immoli.

Lo stile dialettico del secondo quadro, mettendo continuamente a confronto elementi antitetici, riafferma che le due ‘‘‘obbligazioni" non si escludono a vicenda ma, misteriosamente, convergono nell’unità di una stessa vocazione che è tutta pasquale. Come nella pasqua di Cristo ci è dato di giungere alla gloria della vita divina partecipando alla sua morte di croce, così il nostro carisma ci chiama a manifestare nella nostra vita sia la faticosa necessità della sofferenza espiatrice che la gioia e lo splendore della comunione con Dio.

IV. UN FUNGO O UN’OPERA D’ARTE?

A volte capita, quando ci si trova di fronte ad una scoperta, che allo stupore segua il dubbio: sarà proprio vero?

Quest’ordine che si coglie nella Prefazione sarà proprio voluto e curato dalla Madre, come si cura e si rifinisce un’opera d’arte, o sarà riuscito bello per caso, nato un po’ all’improvviso come un fungo che ieri non c’era ed oggi c’è?

Proprio un fungo non è, perché, come abbiamo in parte già visto, Mectilde de Bar respira l’aria della sua epoca, usa espressioni barocche, sa che un testo di una certa importanza richiede uno stile appropriato e si lascia trasportare dal lirismo elogiativo concesso nella descrizione di un particolare stato di vita.

Il confronto con altri testi, che la Madre scrisse prima di questo, o che conosceva, può essere ulteriormente illuminante.

IV.l II documento Pensieri sull’Istituto [24]

Questo è uno dei primi testi scritti da Madre Mectilde con l’intento di porre gli elementi costitutivi del carisma.

In esso non si parla ancora di "Istituto", ma di "casa", ciò ne testimonia l’arcaicità.

Potremmo considerarlo l’antenato della Prefazione. In esso la Madre mostra di aver già chiari i principi fondamentali di questa nuova fondazione. Le tematiche dell’ "adorare-rendere gloria" e "riparare-essere immolate alla giustizia divina", sono già presenti ed emergono in diversi punti.

Non è ancora chiaramente contrapposta la loro diversità, anche se il gusto del contrasto paradossale appare qua e là ed è usato particolarmente nella chiusura finale.

Lo svolgimento del discorso è articolato in nove punti, secondo il procedere ordinato che caratterizza Madre Mectilde, ma il testo non presenta una struttura elaborata come nella Prefazione.

Nel delineare il tracciato del nuovo ramo benedettino sono via via elencati elementi propri allo specifico carisma eucaristico ed altri necessari ad ogni forma di vita consacrata, ma senza distinguere gli uni dagli altri.

Confrontando questo documento con la Prefazione, possiamo dire che la sostanza già c’era, ma che si è manifestata con più consapevolezza.

Certamente dal primo alla seconda si verifica un salto di qualità riguardo alla chiarezza del pensiero, ma soprattutto nella forma e nell’impianto generale del discorso.

IV. 2 La Regola delle Annunciate

Madre Mectilde ha certamente avuto una buona formazione culturale, come dimostra il fatto che ha potuto entrare in dialogo con contesse e duchesse sue contemporanee, fino ad avere un rapporto di dirczione spirituale con M.me de Chàteauvieux.

Non dobbiamo però dimenticare la sua formazione alla vita religiosa. Per lei è iniziata a diciassette anni, con l’entrata nel Monastero delle Annunciate di Bruyères nel 1631. Fino all’inizio del noviziato tra le Benedettine di Rambervillers (2 luglio 1639) [25] ella si è nutrita dello spirito contenuto nella Regola delle Annunciate, e si suppone abbia potuto conoscerlo bene, se a soli ventidue anni, è stata giudicata idonea a guidare, quale superiora, la sua comunità.

In quella Regola la Madre ha trovato il suo alimento spirituale, ma anche un esempio di come si possono ordinare gli aspetti disciplinari della vita religiosa attingendone i principii nella Sacra Scrittura.

E’ stato utile scorrere il testo antico di quella Regola [26] che Catherine de Bar ha vissuto e assimilato. Confrontato con la Prefazione rivela elementi di affinità, che sono in particolare due:

- un impianto generale strutturato

- l’esegesi scritturistica di tipo allegorico-tropologico.

Ovviamente il contenuto è totalmente differente, però si può supporre che la Madre, conoscendo quel testo, avesse lì un modello di come si possano esporre i capisaldi di una spiritualità con ordine, agganciandoli a testi biblici e in modo utile alla applicazione spirituale.

Nella Prefazione Mectilde de Bar deduce i due obblighi principali della nostra vocazione dai due orientamenti fondanti la vita del Salvatore: verso Dio, verso i peccatori.

La Regola delle Annunciate è impostata su 10 virtù mariane. E’ costituita da 10 capitoli che trattano ciascuno una virtù vissuta da Maria. Da tale virtù sono dedotte alcune norme per la vita concreta.

La Vergine Maria sia il vostro modello, sia la vostra patrona, sia la vostra regola e, seguendo la Vergine Maria, non abbiate altro scopo che quello di piacere perfettamente al vostro sposo Gesù.

Nella vostra regola è indicato il modo di imitare la Vergine Maria e di piacere a Dio inseguendo [27] il suo esempio, perché è necessario secondo quanto detto dal Vangelo.

La Vergine vi è resa evidente ed imitabile conoscendo ciò che lei ha avuto, pensato, detto o fatto. Queste quattro cose sono scritte nel Vangelo [28].

La Prefazione di Madre Mectilde articola il primo dovere (rendere gloria a Dio) in cinque impegni che costituiscono le linee forza della vita spirituale, e per ciascuno utilizza episodi biblici quali supporti scritturistici.

Nella Regola delle Annunciate le dieci virtù: castità, prudenza, umiltà, fede, devozione, obbedienza, povertà, pazienza, pietà, dolore/compassione, sono illustrate dagli episodi evangelici in cui Maria ha vissuto tali virtù. Da queste dieci fonti scaturisce la trattazione dei voti religiosi, del regime di vita, dell’ordinamento della preghiera, dell’acccttazione delle novizie, ecc.

Anche la forma espositiva è ordinata e per ogni capitolo si ripete lo stesso tracciato:

a. Della virtù (...) di Maria, che tra le di Lei virtù è (per prima, in secondo luogo, in terzo luogo) ricordata nel santo Evangelo. Questa virtù le sorelle devono avere e in tre modi seguire ed imitare la Vergine Maria;

b. Ad un elogio generico di tale virtù segue l’elenco delle circostanze in cui Maria l’ha vissuta;

c. Sull’esempio e ad imitazione della Vergine, le sorelle si comportino...

segue l’elenco di alcune norme di vita.

Le "Dichiarazioni" che seguono la Regola spiegano il significato della struttura numerica ternaria. Imitare Maria in tre modi significa: non solo avere quella virtù, ma anche pensare secondo tale virtù, parlare e agire secondo la stessa virtù.

Questa delucidazione ci aiuta a capire meglio alcune specificazioni che Madre Mectilde usa e che a noi possono sembrare eccessivamente dettagliate, ad esempio:

"Per non avere mai altra inclinazione, altro spirito, altri pensieri, altre parole e altre azioni che le sue e quelle che la sua grazia e il suo divino spirito ispirerà loro".

Era dunque questo un modo per dire la totalità della trasformazione operata dal mistero.

Un altro elemento di affinità tra il documento della Madre e l’antica Regola delle Annunciate è l’esegesi allegorica della Scrittura, che a volte scivola nell’allegorismo.

Vediamo alcuni esempi della suddetta Regola.

Riguardo alla virtù della prudenza è detto che Maria l’ha esercitata quando fuggì in Egitto per salvare il Figlio da Erode e, in seguito, tenendosi prudentemente a distanza da Archelao. Le religiose la imiteranno tenendosi lontane da Erode, che rappresenta i vizi della carne e da Archelao, che personifica l’ambizione e l’avarizia.

Ancora: Maria visse la virtù della fede quando, obbedendo a quanto aveva udito dall’angelo, salì la montagna per far visita ad Elisabetta. Le sorelle, sull’esempio e ad imitazione della Vergine, saliranno la montagna della perfezione e faranno del bene nella casa di Zaccaria, ossia nella Chiesa militante o nel proprio Ordine religioso.

Maria visse la virtù dell’obbedienza quando, obbedendo alla legge, presentò il Figlio al tempio e offrì due tortore e due colombi.

Le religiose potranno offrire le tortore facendo vera confessione dei loro peccati e le colombe amando Dio con tutto il loro cuore.

Maria visse la virtù della pazienza quando cercò Gesù per tre giorni. Coloro che sono chiamate ad imitarla lo potranno fare se, dopo aver perso Gesù, lo cercheranno vivendo in modo completo il sacramento della riconciliazione: contrizione, confessione e soddisfazione. Se ometteranno una di queste condizioni, non potranno dire di averlo cercato per 3 giorni, ma solo per 2.

Dopo questo excursus, anche le espressioni usate da Madre Mectilde non risultano più tanto strane.

Ricordiamo ad esempio il passaggio che dice:

"Questa intenzione sia seguita da fede pura, che non ci sia alcun commercio con la vita dei sensi e con il ragionamento dello spirito umano, perché le bestie e gli uomini che ci sono rappresentati dai sensi e dalla ragione, sarebbero temerari ad avvicinarsi alla santa montagna dove il Dio del cielo è venuto ad abitare nella nube delle specie sacramentali".

Dom D’Achery aveva definito questa espressione stravagante, ma se guardata tenendo presente l’esegesi allegorica, in questo caso applicata al brano della teofania sul Sinai (cfr Es. 19, 12-13), è solo un modo un po’ originale di dire una verità: nella profondità del mistero dell’Eucaristia non si può giungere ne per ragionamento (la ragione è rappresentata dagli uomini) ne per via di percezione sensibile (il vedere e il sentire sono rappresentati dalle bestie) ma solo con la fede.

San Tommaso d’Aquino direbbe: "Visus tactus gustus in tè fallitur". La Madre lo dice con una tessitura di immagini bibliche.

Concludendo questo confronto e rispondendo alla domanda iniziale, ci pare di poter dire che la Prefazione non è un fungo, nato per caso, ma piuttosto un frutto, maturato lentamente. Porta in sé l’intuizione spirituale della Madre, lo stile dell’epoca, una tradizione di vita religiosa. E’ un’opera non certo nuova in assoluto, ma originale per il modo con cui l’esuberanza del pensiero e lo slancio di un’esperienza mistica si sono calate nell’ordine e nella misura di uno schema. Conclusione

Dopo aver considerato in lungo e in largo la Prefazione alle Costituzioni, non resta che un rammarico per il fatto che questo testo sia stato staccato dalle Costituzioni.

La questione non è chiara. I testi del passato parlano, ma non dicono tutto.

Quando, nel 1705, la commissione deputata dalla S. Sede per l’esame delle Costituzioni respinse la versione detta "Costituzioni manoscritte" (l’ultima stesura realizzata dalla Madre), perché priva della firma dell’autrice, al suo posto furono presentate le Costituzioni del 1675 che erano corredate delle firme delle prime sorelle e anche di Madre Mectilde.

Per l’occasione tale versione dovette essere tradotta velocemente dal francese in latino. Di ciò si occuparono due monaci maurini: Dom Guillaume Laparre e Dom Claude de Vie, che erano stati incaricati di seguire l’iter dell’approvazione [29].

Forse il tempo impose delle rinunce? I due traduttori dovettero lavorare tutto il giorno e parte della notte, per riuscire a completare il lavoro in soli 20 giorni [30].

Forse la prudenza suggerì di tralasciare la Prefazione (che nell’edizione del 1675 era ancora nella forma in cui era stata criticata da Dom d’Achery) per non incorrere in ulteriori censure?

Forse il proposito della Madre di rivedere quel testo ne ha incoraggiato la completa omissione? Oppure il taglio è stato operato dalla commissione d’esame?

Le domande sono ancora senza risposta certa.

Resta il dato di fatto che le "Costituzioni approvate" (P 90 e P 150) non hanno Prefazione. Perciò, questo documento che la Madre aveva curato e voluto come coronamento delle Costituzioni, sintesi della nostra vocazione, è stato privato fin dall’inizio dell’autenticazione della Chiesa, in seno alla quale i carismi nascono e vengono riconosciuti.

E rimasto uno dei tanti scritti di Madre Mectilde, forse da molte sue fìglie pure ignorato.

Anche se il tempo ha lasciato in esso i suoi segni, all’alba del terzo millennio merita di essere rispolverato e preso in considerazione, perché, per molti aspetti, rimane un tesoro.

 

 

 



* Monaca del monastero SS. Salvatore di Grandate (CO). Si tratta della seconda sezione dello uno studio sulla Prefazione alle Costituzioni di madre Mectilde de Bar. La prima sezione, suddivisa in due parte, è stata pubblicata in “Deus absconditus” n. 2 (2000), pp. 28-46 e n. 3 (2000), pp. 29-36.

[1] Nel corso di questo studio sono state accostate quattro versioni:

- la Prefazione alle Costituzioni del 1675 (stampate nel 1677): Les Constitutions des Religieuses Bénédictines de l’Institut de l’Adoration perpetuelle du Très S. Sacrement del’Autel, Paris 1677.

- Il manoscritto n° (546)60, depositato presso la Biblioteca Municipale di Nancy. Testo riportato in Catherine de Bar, Documents Historiques, Bénédictines du Saint Sacrement, Rouen 1973, pag. 124-125, e (in traduzione italiana) nelle Dichiarazioni sulla regola di S.Benedetto delle Benedettine dell’adorazione perpetua del santissimo Sacramento, Federazione "Gruppo Ghiffa" (pag. XXI-XXVIII).

- Il manoscritto P 103. Una traduzione italiana del P 103 si trova in Costituzioni di M. Mectilde de Bar sulla Regola di San Benedetto a cura delle Benedettine dell’adorazione perpetua del SS. Sacramento, Monastero SS. Annunziata, Alatri (FR), 1982.

- La versione della Prefazione contenuta nelle "Constitutions Manuscrites " del volume Les Constitutions réunies des Bénédictines du Très Saint Sacrement, Arras 1862.

[2] Si tratta del testo: Remarques sur les Constitutions des Religieuses du St. Sacrement (Paris, BNF, ms. fr. i 7687, f. 264-267) del Maurino Dom Lue d’Achery, che gentilmente è stato fornito dal Prof. Daniel-Odon Hurel. Il documento sarà citato con "Remarques" e la pagina delle Costituzioni.

[3] Cfr Recherches sur place, Rencontres avec Mectilde de Bar et son époque. Atti del Convegno tenutosi a Parigi-Rouen 4-11 giugno 1999, pag. 3.

[4] Les Constitutions, Paris 1677 o.c., dichiarazione riportata alla fine del volume.

Da copia fotostatica gentilmente fornita, per questo testo come per altri manoscritti, dal Monastero di Ronco Ghiffa.

[5] Remarques, pag. 5.

[6] Remarques, epistre dédicatoire.

[7] Les Constitutions, Paris 1677, o.c. pag. àij (sic!)

[8] "La bolla con la quale Innocenze XI aveva, il 10 dicembre 1676, eretto la Congregazione, fu abrogata il 3 luglio 1696 da Innocenze XII. Il papa, in seguito alle difficoltà tra la Francia e la S. Sede, riponeva i monasteri dell’Istituto sotto la giurisdizione episcopale e le Costituzioni [approvate nel 1668] divennero da quel giorno un documento da serbarsi in archivio." Così recita la nota che accompagna una copia del manoscritto 245 di Toul, realizzata nel monastero di Bayeux nel novembre 1952.

[9] ‘‘ Allegato al manoscritto P 103 c’è un "Avvertissement" che dice:

Le religiose che hanno la fortuna d’essere dell’epoca della nostra Beata Madre istitutrice, sanno che lei ha mantenuto fino ali ‘ultimo anno di vita il proposito che aveva sempre dimostrato di avere: di ritoccare le Costituzioni che aveva dato a tutti i monasteri dell’Istituto nel 1677. Le lettere che aveva loro indirizzato, e che qui riportiamo, sono prova sufficiente per confermarlo. Noi vi abbiamo messo la prefazione dopo aver ritagliato gli articoli come la stessa Beata Madre avrebbe fatto, seguendo in questo la sua intenzione, qualche mese prima della sua morte, avvenuta il 6 aprile 1698.

[10] Les Constitutions, Paris 1677, o.c. pag. àij.

[11] Le ricerche relative a questo capitolo e la sua stesura sono state realizzate dal detenuto che ha tradotto la Prefazione del ms. P 103 nella prima sezione e che ha pure curato la versione dal Francese e dal Latino dei testi citati in queste seconda sezione.

[12] Le citazioni in Francese sono riportate rispettando l’ortografia del testo originale del XVII sec.

[13] Stato nell’accezione spirituale è "un livello vissuto di esistenza, che è permanente e ha un carattere dinamico, attivo, senza essere un’azione propriamente detta. La situazione ideale non è quella dell’azione ma dello stato; è la perfezione dell’adorazione e della configurazione a Cristo. E’ trasformazione esistenziale che crea un dinamismo vitale permanente (Don G. Moioli)". Cfr Véronique ANDRAL, Catherine Mectilde de Bar I, o.c. pag. 316.

[14] Ringrazio Padre Giorgio Giurisato OSB, dell’Abbazia di Einsiedein, per l’incoraggiamento e l’aiuto che mi ha dato nello svolgimento di questo capitolo.

[15] Ad esempio: due sono le azioni che Gesù continua a compiere nell’ostia (Il Vero spirito cap. 1, § 12, pag. 12); tre sono le dimore di Dio (ibid. cap. 3); dieci sono le delizie della Figlia del SS. Sacramento (ibid. cap. 2, § 3, pag. 27-28); sette le mancanze da evitare per poter conservare in sé la vita divina {ibid. cap. 2, § 3, pag. 29); tre gli atteggiamenti esteriori da tenere durante la S. Messa (ibid. cap. 4, § 12, pag. 46 ); tre sono i motivi per cui accostarsi alla comunione (ibid. cap. 6).

[16] Abbiamo suddiviso il testo in paragrafi per agevolarne le citazioni

[17] Consumare significa qui portare a compimento, a perfezione. Da non confondere col significato ordinario di bruciare interamente fino a ridurre in cenere. (Véronique ANDRAL, Catherine Mectilde de Bar I, o.c. pag. 312)

[18] Remarques, pag. 4.

[19] Homilia in illud Matthaei 13,45: Simile est...bonas margaritas, in: Sancii Bernardi opera omnia adpostremam D. loannis Mabillon, voi. Ili, Mediolani MDCCCLII, col. 1211-1213.

[20] Règle des soeurs de la Vierge Marie (Annonciades), copia dell’esemplare conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi [Rés Ld 69 bis 4 (1-2)].

[21] Si tratta del testo contenuto in Constitutions manuscrites de Notre V. Mère Institutrice, edito da Arras 1862, o.c.

[22] Ecco alcuni esempi: "Per avere il privilegio di partecipare in qualche maniera alla qualità che Egli vi assume di ostia immolata alla giustizia e santità divina" (P 103, Cost. Cap. 20 §1);

"si accosterà alla comunione per rivestirsi di Gesù Cristo, il solo che può degnamente riparare la sua gloria e soddisfare la giustizia divina" (P 103, Cost. Cap. 20 §6);

" II profeta Isaia poi, parlando del silenzio, ci dice che esso contiene ogni giustizia e santità" (P 103, Cost. Cap. 6 §1);

"In noi devono operare la giustizia e la santità per renderci vere vittime". (Non date tregua a Dio, Jaca Book 1979); nel manoscritto n°1842 sono trattate le disposizioni sulla via del niente e lo stato di vittima della giustizia e santità di Dio;

"Le anime, a cui Dio farà l’onore d’associarle, per stato, al suo divin Figlio, Vittima della giustizia e della santità di Dio" (Il Vero Spirito, Cap. 1 § 6);

"Gesù, ostia di suo Padre e vittima del peccato per la gloria della santità e giustizia divina" (cfr. Véronique ANDRAL OSB ap, "Catherine Mectilde de Bar, 1, pag. 115, o.c.).

[23] II traduttore ha optato per l’utilizzo del termine obbligazione (lett.: obligation), rispetto a quello più usuale di "obbligo" ritenendolo più opportuno e più atto a sottolineare la dimensione della libertà personale con la quale si aderisce a quelli che vengono tradizionalmente definiti come i "doveri del proprio stato" (N.d.R.).

[24] È un testo del quale esistono molte copie, in manoscritti sia del XVII che del XVIII sec. Una versione, in francese, è pubblicata in Documents Historiques, o.c., pag. 121-123.

[25] Cfr. Véronique ANDRAL, Catherine Mectilde de Bar I, o.c. pag. 36.43.

[26] Règle des soeurs de la Vierge Marie (Annonciades), copia dell’esemplare conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi [Rés Ld 69 bis 4 (1-2)].

[27] Orig. ensuyvre, seguire con passione (N.d. T).

[28] Règle Annonciades, o.c. (f°Ai).

[29] Recherches sur place, o.c., p. 15

[30] cfr Memoire abregé de ce qui s’esì passe dans l’aff’aire de l’approbatlon des Constitutions, Bénédictines de Rouen, archives, p. 10.